Nel suo terzo adattamento cinematografico, Niente di nuovo sul fronte occidentale sembra aver raggiunto la sua definitiva consacrazione sbancando ai BAFTA con 7 statuette tra cui Miglior Film, Miglior Regia a Edward Berger (contestualmente si è portato a casa anche la Miglior Sceneggiatura Non Originale) e altri premi tecnici.
Dopo anni di oblio in cui la sua secondogenita ha fatto cinematograficamente da padrona, la Prima Guerra Mondiale è tornata alla ribalta sul grande schermo. Il recente interesse per il primo conflitto d’inizio secolo – cominciato dal 2019 con il successo planetario di 1917 – ha invogliato produzioni americane e non a finanziare blockbuster sulla Grande Guerra come Tolkien e l’ultimo della saga Kingsman.
Netflix si è adeguata al trend producendo il candidato numero uno alla vittoria dell’Oscar come Miglior Film Straniero.
Il fatto che sia un film tedesco ci dà garanzie sull’affidabilità storica, cosa che non sempre si può dare per scontato. Infatti il film esordisce con un interessante quadro storico in cui l’opinione pubblica, ma soprattutto la gioventù germanica (tra cui anche alcuni dei protagonisti), è entusiasta all’idea dell’entrata in guerra per spazzare via i nemici francesi. Discorso opposto invece per la Seconda Guerra Mondiale, in cui la gente vive il dramma anticipato delle conseguenze del conflitto, memore della tragedia che fu.
Ramo di collegamento è, per dirlo con una frase del film, quel “Non è affatto come immaginavo”, pronunciata da uno dei compagni di Paul Bäumer. Sebbene Paul sia il personaggio di spicco nella storia, si percepisce la sua subordinazione alla vera preponderante protagonista, la Guerra, nel suo lato più cruento e talvolta beffardo, come il destino di chi è morto ad un passo dall’armistizio.
Dallo stretto punto di vista bellico sul campo di battaglia – al netto della sua già conclusa storicizzazione che comprende oggettività e assenza di partecipazione emotiva – ritengo che la Prima Guerra Mondiale abbia una tensione drammatica forse superiore alla Seconda.
Il film costruisce la sua trama sui rapporti interpersonali che si costruiscono in trincea, luogo ambiguo che crea e distrugge amicizie, annientando la dignità dell’uomo.
In parallelo agli eventi sul campo di battaglia, il regista Edward Berger ci permette di “spiare” le trattative per l’Armistizio di Compiègne, avvenute su un vagone ferroviario nei boschi innevati del nord della Francia.
“Bisognerà essere giusti col nemico, altrimenti odierà la pace” è la frase del film che presagisce alla causa prima dell’ascesa di Hitler (e dunque della successiva guerra mondiale) che farà leva proprio sulle soffocanti imposizione del Trattato di Versailles.
Responsabile politico delle trattative per l’Impero tedesco è Matthias Erzberger, interpretato da Daniel Brühl.
Apro una piccola parentesi sull’attore simbolo del cinema tedesco d’argomento storico. Lo definisco un simbolo tedesco, in quanto le sue interpretazioni hanno toccato tutti i momenti più significativi della storia della Germania contemporanea. L’esperimento DDR e la caduta del muro attraverso il geniale Alex nel capolavoro Good Bye Lenin, il tarantiniano eroe nazista Fredrick Zoller in Bastardi Senza Gloria ed ultima ma prima cronologicamente la parte mancante della Grande Guerra.