L’Arte della Parola e l’Impressionismo Mimico di Nicola Maldacea
L’efficacia della parola detta in pubblico, talvolta accompagnata da un semplice sottofondo musicale, risiede nella sua chiarezza e nel suo libero fluire, qualità essenziali per ritrovare la sua forza incisiva. Il fascino della parola recitata, supportata dalla dimostrazione scenica, crea impressioni immediate e intuizioni folgoranti, una gratificazione immensa per ogni dicitore che si rispetti. Nicola Maldacea godeva profondamente di questa interazione.
Con la disinvoltura e la spontaneità di un pittore — come amava precisare a proposito del suo peculiare modo di articolarsi sulla scena — si proponeva di offrire al pubblico un’impressione immediata della realtà. Schizzava il “tipo buffo” con rapidità, segnandone i tratti salienti. Da questa immediatezza nasceva la semplice e spontanea arte della “macchietta“: uno schizzo frettoloso che, con poche pennellate di parole e vive tonalità, trasformava luoghi, condizioni sociali e persone in elementi bizzarri o addirittura ridicoli.
Oggi, a ottant’anni dalla scomparsa, pochi ricordano la vasta e interessante galleria di tipi creati da Maldacea, che non temeva alcun travestimento, né maschile né femminile. I suoi bersagli preferiti erano la nobiltà e la borghesia decadenti, spaccone e squattrinate, mentre raramente sfiorava il tema della miseria.
La sua carriera ebbe un inizio tortuoso: da ragazzino, come allievo della scuola napoletana di declamazioni e recitazione, debuttò nel 1887 nella Francesca da Rimini di Silvio Pellico. La performance, tuttavia, fu un insuccesso clamoroso: anziché commuovere gli spettatori, li fece ridere a crepapelle. Fu questo esordio fallimentare a spingerlo ad abbracciare la carriera dell’attore comico. A diciannove anni, riscattò la sua fama riscuotendo un enorme successo al Teatro Partenope di Napoli, esibendosi come cantante alla fine degli spettacoli della compagnia di Davide Petito.
Da quel momento, la sua ascesa fu inarrestabile. Iniziò la carriera di attore brillante e macchiettista, entrando prima nella compagnia di Gennaro Pantalena nel 1890, e poi in quella storica di Eduardo Scarpetta. Seguirono trionfi nei principali teatri italiani e stranieri. Per lui, che si distaccò nettamente dalla notevole presenza di comici dell’epoca, scrissero argutissime macchiette autori del calibro di Pasquale Cinquegrana, Trilussa, Ugo Ricci, Ernesto Murolo, Salvatore Di Giacomo e Aniello Califano.
Dopo una carriera trionfale, con un bagaglio interpretativo di “cinquecento tipi” tra maschili e femminili, passò al cinema. Per il suo debutto cinematografico, Ferdinando Russo, uno dei suoi primi e più prolifici collaboratori, scrisse: «Quando ancora non conoscevo il cinematografo, già Maldacea era un cinematografo vivente». Come sulle scene del teatro, anche sul grande schermo volle portare il suo stile individuale, il suo “impressionismo mimico” fatto di comicità gestuale, ritmica e surreale.
Il contributo artisticamente fondamentale di Maldacea fu, quindi, l’aver plasmato un genere comico nuovo, in cui la musica accompagnava la parola: cantata, ironica e ridanciana.





