Trudie Styler punta i riflettori sulla forza di resistenza di un popolo sempre vivo
«Napoli! Tu cuore di uomini che sempre ansima / nudo, sotto l’occhio senza palpebre del Cielo! / Città Elisia, che calmi con incantesimi / l’aria ammutinata e il mare! Essi attorno a te sono attratti, / come sonno attorno all’amore! / Metropoli di un Paradiso in rovine/ da tempo perduto, di recente vinto, ma pure ancora solo a metà riconquistato.» È una strofa tra le più significative della lunga Ode a Napoli che Percy Bisshe Shelley dedicò alla città partenopea, dopo i quasi tre mesi trascorsi sul golfo tra il 1818 e 1819. Poema che ha ispirato Trudie Styler a realizzare un documentario, sempre avvolto da una cornice storica e poetica, per affrontare con sfumature docili (la definizione di poesia romantica non s’addice alla camorra) anche quei temi più scomodi e inerenti a una realtà che già all’epoca il poeta intravide nelle pieghe di un «Altare luminoso del sacrificio sanguinoso.»
La Styler, che, per chi non lo sapesse, è la moglie di Sting, benché sia innamorata, come il marito, delle colline del Chianti, ha avuto anche lei, come tanti stranieri prima di lei, un coup de foudre per Napoli. E da come tratta le immagini ben si nota: i napoletani sono certamente felici per questo colpo di fulmine! Trudie, in perfetto stile inglese, affronta le ataviche contraddizioni della città e delle anime che l’affollano, chiedendo permesso: «Posso entrare?», dice bussando alla porta degli appartamenti più popolari, per scoprire dove vivono quelle antiche genti che si portano ancora dentro l’eco millenaria delle tante, tantissime invasioni. Le elenca, quasi tutte, a suo modo, il rapper irpino Clementino, partendo dai lontani fenici ma fermandosi a Gioacchino Murat, prima del ritorno del Borbone, e tralasciando – giustamente – quei Savoia rimasti sempe fore ‘a porta. Da questa veloce carrellata storica, sorvolando poi su alcune definizioni da cartolina, quelle appena necessarie, giusto per soddisfare il palato di un pubblico straniero (ai quali, ci auguriamo, che il filmato venga proposto quanto prima), Trudie s’addentra nei meandri della Napoli spaccata: che non è soltanto l’arteria più antica della città, ma ne è diventata un simbolo di quel sacrificio sanguinoso. Metropoli di un paradiso caduto in rovina e sempre risorto dalle macerie; cadavere barocco dal cuore inarrestabile.
Il cuore di Napoli. Styler sente pulsare la vita, ferita ma fremente, tra i vicoli dei decumani, quelli che oggi sono i più invasi dal turismo, ma ancor di più alla Sanità dove nacque Totò e dove ora don Antonio Loffredo sta cercando pazientemente di sciogliere quei nodi dolenti che anni di malavita hanno stretto intorno all’esistenza di generazioni di ragazzi perduti che oggi, grazie a lui e ai tanti che lo hanno sostenuto, aiutato e seguito, sono sulla via del recupero. La Styler, con il suo documentario prodotto da Big Sur, Mad Entertainment con Rai Cinema in coproduzione con Luce Cinecittà, punta, infatti, i riflettori sulla forza di resistenza dei napoletani: nipoti e pronipoti dei protagonisti delle Quattro giornate, la più violenta ed efficace rivolta contro il nemico tedesco nel settembre del ‘43 (molto significative le immagini d’archivio). La stessa resilienza d’allora è vivace nelle comunità che don Antonio ha avviato per dissolvere l’angoscia imposta dalla criminalità organizzata. E per approfondire il discorso sulla mentalità camorristica s’è rivolta a chi con la camorra ha «sottoscritto» – suo malgrado – un tacito patto di coatta sopravvivenza, Roberto Saviano.
Verso Posillipo, invece, là dove la zampata architettonica di Palazzo Donn’Anna si distende nell’acqua, c’è Nora Liello che placidamente, a oltre novant’anni, ancora si tuffa nelle acque del Golfo per nuotare «almeno mille metri al giorno.» Tornando verso il centro troviamo Carmine Cervone, il più caparbio tipografo del pianeta, il quale, pure in un’epoca guidata dall’elettronica e dal computer, si ostina a usare i tipi in piombo, grazie a una storica linotype perfettamente funzionante nella sua bottega all’Anticaglia, là dove una volta c’era il teatro di Nerone, già da secoli perfettamente inglobato nelle abitazioni. E poi ci sono i ragazzi di San Giovanni a Teduccio che hanno scelto di far teatro con Francesco Di Leva che tenacemente porta avanti il progetto Nest. C’è il writer Jorit che, per reazione alla violenza visiva dell’edilizia senza scrupoli, ha dipinto il viso di Maradona sulla facciata di un palazzo di sei piani. Poi, ancora, le ammirevoli donne guerriere impegnate nella lotta per la dignità femminile. E tanta musica. Perché Napoli è da sempre una città musicale. Dove la musica è speranza, come quella suonata dall’orchestra giovanile SanitàEnsemble con gli strumenti costruiti con il legno recuperato dalle barche dei migranti.
Anche Sting fa la sua apparizione, proprio dai giardini del carcere di Secondigliano, e anche lui suona con una chitarra costruita con il legno dei barconi e con le sue incantevoli note ci ricorda che finché «il sangue scorrerà quando carne e acciaio saranno una cosa sola…» anche i napoletani, nonostante la loro indole indomita, rimarranno fragili.
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Posso entrare? Ode a Napoli, un documentario di Trudie Styler (Italia, 2023), con Trudie Styler, Don Antonio Loffredo, Roberto Saviano, Francesco Di Leva, Carmine Cervone, Clementino, Jorit, Vincenzo Pirozzi, e con Alfonso Iaccarino, e con la partecipazione straordinaria di Sting. Regia e sceneggiatura, Trudie Styler. Maxxi, 23 ottobre. Presentato nella sezione Freestyle alla XVIII Festa del Cinema di Roma. Festa del Cinema, Maxxi, 23 ottobre
Foto di copertina: Spaccanapoli, cuore di una città ferita