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Mythos, il teatro e l’impegno civile

Intervista a Luigi Tabita, direttore artistico del festival di Troina, riflettendo su carriera, mito e attualità.

La quinta edizione del Mythos Troina Festival è alle porte. La rassegna teatrale sul mito classico e contemporaneo rinnova il suo appuntamento col pubblico nella città di Troina, perla siciliana incastonata nei monti Nebrodi a 1100 metri di quota. In cartellone nove spettacoli, comprese sei prime nazionali, iniziative speciali e laboratori di formazione. Patrocinato dall’INDA, Istituto nazionale del dramma antico e organizzato dal Comune, sarà inaugurato il 4 luglio con il debutto de L’Odissea delle donne, tratta dal romanzo di Marilù Oliva: un cast tutto al femminile capitanato da Federica Di Martino e diretto da Cinzia Maccagnano. Tra i protagonisti delle varie serate Ettore Bassi, Veronica Pivetti, Cesar Brie, Daniele Salvo e Giorgio Sangati. In chiusura Laura Morante con Medea, per la regia di Daniele CostantiniLuigi Tabita, confermato alla direzione artistica per il quadriennio 2024-2027, ci ha raccontato il significato del mito come filo conduttore tra passato e presente. Ma abbiamo parlato anche della sua carriera e del suo impegno civile in favore dei diritti. Che passa anche (e soprattutto) dal teatro.

Secondo anno da Direttore artistico di Mythos a Troina. Squadra che vince non si cambia! Cosa ti ha colpito di più di questo territorio ancora poco conosciuto al grande pubblico (e anche a molti stessi siciliani)?

Troina è un luogo straordinario, fuori dal tempo. Una città ellenistica che è stata poi anche la prima capitale normanna di Sicilia. Si trova a più di 1100 metri sul livello del mare, in una posizione strategica che domina l’isola. Ed è affascinante non solo perchè è in mezzo al verde ma anche perchè ogni suo angolo trasuda storia, una storia stratificata che arriva fino alla Seconda Guerra Mondiale. Fu importante anche allora perchè la sua conquista permise la liberazione della Sicilia e l’avanzata degli anglo-americani verso il resto dell’Italia. Non a caso a Troina si trova il museo fotografico dedicato al lavoro di Robert Capa, testimone chiave di quella fase del conflitto. Anche oggi, Troina è intrisa di questo valore di riscatto, che è molto forte. L’Amministrazione comunale è giovane e dal 2013 ha messo in campo un riscatto di questo incredibile luogo che purtroppo, come tutti i borghi, va man mano spopolandosi a causa dell’isolamento territoriale, delle carenze infrastrutturali e della mancanza di lavoro: tutto ciò fa sì che i giovani vadano via. Il comune ha fatto partire un progetto di riqualificazione, muovendosi su dei punti precisi. Prima di tutto con la confisca dei beni appartenuti alla mafia, cosa che ha permesso la creazione della più grande azienda agricola d’Italia. Di conseguenza molti giovani hanno avuto un’alternativa al partire e hanno scelto di rimanere nel loro territorio. E poi si è saputo investire nella cultura, perchè non è vero che con la cultura non si mangia. Il ritorno economico c’è e deriva da tutto l’indotto che viene generato dagli spazi culturali, ovvero le attività commerciali, turistiche, ricettive, la ristorazione e via dicendo. Il polo museale troinese espone testimonianze storiche che vanno dall’antica Grecia al Rinascimento. C’è persino un quadro attribuito a Tiziano. Lo spettacolo dal vivo è l’altro elemento culturale su cui Troina ha deciso di investire. Il festival Mythos nasce nel 2019 e dall’anno scorso si è deciso di trovare una figura che potesse dirigerlo e che avesse le caratteristiche non solo di un’artista, ma anche di una persona dal forte impegno civile. La battaglia per i diritti e il teatro sono i due pilastri su cui si fonda la mia storia, sia di uomo che artistica, per cui quando mi è stata proposta la direzione ho accettato con piacere.

Come è andata la prima edizione alla guida del festival? Siete soddisfatti dei risultati?

L’anno scorso abbiamo ottenuto un ottimo risultato, raddoppiando il pubblico, grazie anche alla campagna di ingresso gratuito per gli under 25 e alle sinergie con i tour operator. C’è stata una grande partecipazione della gente, più di settemila persone ci sono venute a vedere. Sono molto contento di questo, anche perchè abbiamo mantenuto il focus sull’impegno civile, parlando di società e di diritti. Il mito in questo contesto ha un valore straordinario: è una di quelle forme che le società hanno sempre usato per raccontare le proprie leggi morali, i propri conflitti, le proprie azioni. Utilizzare il mito per trattare temi civili e sociali significa reinterpretare delle storie e delle figure mitologiche sotto una luce moderna, che parli di giustizia, libertà, uguaglianza, legalità.

Tra le novità 2025 del festival, la sezione “Assoli” dedicata alla nuova scena di drammaturghi sotto i 35 anni. Parlacene un po’.

L’attenzione ai giovani è cruciale per Mythos. “Assoli” darà spazio ad autori meritevoli della nuova generazione. Quest’anno sono stati selezionati in particolare due testi a mio avviso straordinari, uno di Salvatore Ventura e l’altro di Elvira Bonocore, che ha vinto tanti premi ed è drammaturga al Teatro Sanità di Napoli. Questa nuova sezione del festival sarà ospitata all’interno del polo museale della Torre Capitania, in un contesto molto suggestivo che sottolinea la continuità con la storia che ci circonda. Nuova drammaturgia ma anche nuovi linguaggi: il terzo spettacolo in particolare, “Drone tragico”, della compagnia Teatrino Giullare, ha vinto il Bando nazionale di Residenze Digitali e la sua particolarità è proprio quella di unire teatro e tecnologia digitale, con proiezioni e interazioni del pubblico. Tutto ciò a partire dall’Orestea tradotta di Pierpaolo Pasolini.

Possiamo definirti un “nipote d’arte”: il tuo bisnonno materno Mario faceva parte della compagnia di Angelo Musco. Ti senti in qualche misura erede di questo mondo teatrale?

Già, il nonno di mia madre era uno degli attori di Musco e lavorò con Pirandello. Erano le prime compagnie catanesi, che nel dopoguerra avrebbero portato alla nascita del Teatro Stabile nella città etnea. Nel 1958, anno in cui fu fondata l’istituzione, il mio progenitore era già morto, ma assieme a Turi Ferro e Luigi Abruzzo, a costituire il nuovo Teatro c’era anche Rosina Anselmi, che col mio bisnonno aveva lavorato proprio in quella compagnia, essendone lei la prima attrice. Anch’io ho mosso i primi passi a Catania e sono molto legato a quel teatro. Poi a Roma ho avuto modo di studiare con il grande Carlo Croccolo, che mi ha insegnato i tempi comici, ma ho cercato di apprendere da tutti i professionisti che ho incontrato, come Maurizio Scaparro, Cristina Pezzoli, Mario Scaccia, Elio Pandolfi. Penso che dai grandi del passato ci sia solo da imparare. Senza di loro, nulla di quello che si fa oggi sarebbe possibile. A volte la critica si meraviglia di alcune apparenti innovazioni che sembrano tanto attuali, senza rendersi conto che le stesse cose magari erano state proposte quaranta o cinquant’anni fa. C’è sempre qualcosa di fresco e moderno a cui poter attingere guardando indietro. Per me il teatro è casa, e certi grandi autori sono un po’come dei miei familiari: li vai a trovare, ci chiacchieri un po’ e impari.

Un altro punto fermo della tua carriera è la lotta per i diritti. In un’intervista del 2019 hai citato Tina Anselmi, che una volta ebbe a dire: “Ogni conquista non è mai definitiva”. Da allora le cose sono migliorate o peggiorate secondo te?

Questa frase io la definisco il mio motto. Penso che alla base di tutte le battaglie di civiltà ci debba essere questo principio. Lo aveva capito bene la Anselmi, prima ministra della Repubblica, che peraltro è uno dei miei più alti punti di riferimento. E ne abbiamo la prova anche oggi, ogni volta che un diritto acquisito viene messo in discussione. Basti pensare alla legge 194 sull’aborto: fino a poco tempo fa era considerata una conquista solida, un cambiamento assodato, però di recente è stata messa in discussione da una parte non marginale della nostra politica. Lo stesso dicasi per i diritti delle persone LGBTQ+. Dipende da chi c’è al governo e non si può certo dire che il governo attuale abbia molta attenzione al problema, anzi. Il fatto è che i diritti ci vuole una vita per conquistarli e un attimo per toglierli. Per questo bisogna continuare a fare informazione, perchè la paura verso ciò che non si conosce viene strumentalizzata politicamente per creare consenso. Anche attraverso il teatro noi facciamo informazione, diamo visibilità a ciò che molti non conoscono, mostrando un punto di vista. Gli diciamo: “Guarda, esiste anche questo. Poi decidi tu, ma almeno lo avrai fatto in modo consapevole”.

Qualche idea già in cantiere per Mythos 2026?

Vogliamo puntare molto sulla formazione. Mythos Lab è uno dei punti di forza del festival: offrire una formazione gratuita è importante per noi e vogliamo dare la possibilità agli attori di farlo senza pagare. Anzi, per i prossimi anni cercheremo di trovare i fondi per poter pagare chi frequenta il laboratorio. Perchè non è solo curriculum, è un bagaglio personale e professionale che stiamo creando. Ed è un lavoro che va pagato, come succede nel resto d’Europa. Vedremo se sarà possibile piantare questo piccolo grande seme. La formazione è fondamentale per chi fa teatro. L’altro obiettivo, altrettanto importante, è quello di coinvolgere e far appassionare sempre più i giovani. Perchè anche in questo caso, non ci sarebbe futuro senza di loro.

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