Museo Pasolini e Ascanio Celestini: quello che non conosciamo del Poeta

La parola “museo”, luogo dedicato alle Muse nella sua radice etimologica, è associato all’immagine di uno spazio fisico, spesso anche grottescamente composto, statico ed impolverato. Non tutti i musei, c’è da dire, sono tali. La maggior parte però si attiene a queste caratteristiche più o meno diffuse: grandi schede didattiche affisse alle pareti con più di ventimila caratteri, di cui letti solo diecimila (forse!), oggetti in teche mediamente conservati in buone condizioni, qualche video proiettato in loop su schermi, i più avanguardisti offrono installazioni interattive. Il 15 e 16 febbraio il Teatro Alighieri di Ravenna si è trasformato in scenario vivente di Museo Pasolini, spettacolo incarnato dal corpo-parola di Ascanio Celestini, che dal 2021 porta in giro questo personale sguardo artistico legato al poeta, un luogo che anela ad una memoria “inconsumabile”.

È un viaggio, quello riportato sulla scena che, in realtà, è stato costruito dal 2015, anniversario della morte dell’artista in cui l’autore dell’opera teatrale ha modo di toccare aspetti non svelati della biografia di Pasolini attraverso un’intervista a Graziella Chiarcossi, filologa e cugina del poeta. Emerge un rapporto molto più stretto con il padre militare e fascista, nonostante l’aperta omossessualità del figlio e la sua tendenza comunista. 

Lo spettatore, dunque, diventa tacito testimone di un racconto lungo più di 120 minuti, che si attiene sempre ad una cronologia precisa, un disegno temporale che traccia una linea di congiunzione tra alcuni eventi cruciali della biografia di Pasolini e la storia di Italia, tra un passato non troppo lontano ed un presente ancora silenziosamente colpevole. L’attore è guida di un tour immaginario in cui si intrecciano voci diverse, quelle di uno storico, di uno psicoanalista, uno scrittore, un lettore e un criminologo.

©Musacchio, Ianniello & Pasqualini

Gli elementi in scena sono essenziali: una semplice porta un po’ scorticata antica e stretta posta sul lato sinistro dello sguardo, accanto a quella che sembra una cornice vuota; due lampade che irradiano una fioca luce dall’alto, qualche lanterna in basso da diversi tagli geometrici. Al centro risalta una sedia rossa su cui la fabula incarnata procede e ferma un po’ lo scorrere del tempo, si incastra ai cinque oggetti da museo che sono sostanza e filo conduttore del fluire del racconto: la prima poesia scritta a 7 anni; il piccolo cimitero di Casarsa, come una sorta di album di famiglia; il comunismo ormai sepolto dopo l’invasione dell’Ungheria nel 1956; la famosa borsa di similpelle che contiene l’esplosivo della strage di Piazza Fontana ed infine il corpo cristologicamente martoriato il 2 novembre 1975 a Lido di Ostia.

©Musacchio, Ianniello & Pasqualini

Ed è così che il teatro di Celestini desta la curiosità del pubblico con l’espediente di un saggio custode che racconta non solo oggetti, ma memorie e ricerche. Ognuno dalla platea e dai palchetti è catturato da intermezzi che suscitano qualche risata e momenti colmi di riflessione che, in senso letterale, diventa quasi rispecchiamento. Quella cornice vuota sul palco si trasforma in schermo di proiezione di una società dipinta dagli anni del fascismo fino a quelli di piombo i cui echi si riverberano ancora nei nostri giorni senza soluzione di continuità. 

Il tour termina dopo due ore e mezza, la figura-parola di Celestini si dissolve dietro la porta sul finale tragico, sul non detto della Storia e nella storia, su tutta quella “straziante meravigliosa bellezza” che è nel creato poetico e artistico di Pasolini, corpo-immagine di tutto il Novecento.

Crediti

di e con Ascanio Celestini

voci Grazia Napoletano e Luigi Celidonio

musiche Gianluca Casadei

suono Andrea Pesce

produzione Fabbrica Srl e Teatro Carcano

Contributo Regione Lazio e Fondo Unico 2021 sullo Spettacolo dal Vivo