PRIMA PARTE
Il 12 maggio del 1963, sessant’anni fa, il Messaggero pubblicò una lunga corrispondenza da Mosca, a cinque colonne, dal titolo entusiasmante: «Serata col poeta Evtushenko “protetto” da interpreti e tendaggi». In basso a destra, la firma: Giuseppe Patroni Griffi. Era il primo articolo che il quarantaduenne scrittore e regista partenopeo scriveva per il quotidiano romano diretto all’epoca da Alessandro Perrone. Così iniziava una collaborazione giornalistica di Terza pagina che proseguì fitta e costante fino al 1969, per poi affievolirsi negli anni successivi. Dopo l’incontro con Evtushenko altri cinque elzeviri (fino al 14 giugno) informavano gli italiani sugli usi e costumi e la cultura russa di quel periodo: le cerimonie religiose, le differenze tra Mosca e Leningrado, una serata al gran teatro del Bolshoj, la visita alle abitazioni di Dostoevskij, una mattinata sul fiume ghiacciato.
Articoli assai dettagliati, pieni di brio e ricchi di emozioni, frutto di un interessantissimo viaggio nei territori misteriosi e nelle affascinanti città dell’Est Europa, quali potevano essere quelle russe nel 1963. In quel periodo l’Urss era meta di un pellegrinaggio soprattutto intellettuale. E l’ultimo film di Nanni Moretti, visto pochi giorni fa, ha riacceso in me i ricordi di queste testimonianze raccolte in un volume curato dal sottoscritto: «Peppino naturale e strafottente», (Editoriale scientifica, 2017, pagg. 556). Un libro sfortunato che un editore troppo pigro non ha mai voluto lanciare sul mercato con un’adeguata e mirata informazione. Pazienza!
In realtà il 12 maggio del ’63, Patroni Griffi era già a Roma e scriveva le corrispondenze da casa sua, che allora affacciava su piazza del Popolo, «la più bella del mondo» (come scrisse in un altro articolo biografico). L’artifizio delle date posticipate degli articoli, rispetto agli avvenimenti vissuti, è subito dichiarato: «La sera del 10 aprile… ho stretto la mano al poeta Evtushenko». Nel ‘63 il nome di Patroni Griffi era abbastanza conosciuto: l’anno prima aveva debuttato nel cinema con il film «Il mare», che ebbe molto successo a Londra e al Festival di New York; aveva da poco firmato la sceneggiatura di una pellicola di successo di Valerio Zurlini («La ragazza con la valigia»), e soprattutto era già l’affermato commediografo della Compagnia teatrale dei suoi sodali Giorgio De Lullo, Rossella Falk e Romolo Valli. Con De Lullo si conobbero addirittura nei primi mesi del ’45, appena Patroni Griffi, lasciando Napoli, si trasferì nella capitale ancora stordita dal terrore della guerra. In quello stesso periodo divenne grande amico di Luchino Visconti, poi cominciò a frequentare Elsa Morante e Alberto Moravia che lo invitarono a pubblicare sulla prestigiosa rivista letteraria Nuovi Argomenti: insomma era considerato un vero intellettuale con un passato di autore per la redazione spettacolo della Radio, sotto la direzione di Ettore Giannini e Edoardo Anton.
Già da diversi mesi, i «Giovani» (così era stata soprannominata quella splendida formazione artistica capitanata da De Lullo) stavano preparando una trasferta nell’Est europeo: prima tappa Varsavia, poi Mosca e Leningrado e infine Budapest. Erano stati invitati da un alto funzionario del ministero della Cultura dell’Urss, che aveva visto un loro allestimento in Italia. Così, mentre Romolo Valli era ancora impegnato con Visconti sul set del Gattopardo, mentre la Falk ultimava alcune riprese televisive, Giorgio De Lullo studiava come affrontare la delicata tournée all’estero. Zukov, il ministro portavoce del governo, era rimasto colpito nel 1961 da una replica de Le donne di buon umore, ovvero le morbinose, un raffinato squarcio goldoniano composto su due testi del più famoso commediografo veneziano, che in comune hanno la stessa storia; infatti, il primo titolo è la traduzione italiana dell’altro, scritto in dialetto e in versi martelliani: una commedia leggera e divertente che la sua regia aveva reso assai raffinata. De Lullo, inoltre, sapeva perfettamente che in Russia non erano mai state rappresentate le opere di Luigi Pirandello, bollate dall’ostracismo staliniano, e per l’occasione decise di affrontare per la prima volta il teatro del genio siciliano: Sei personaggi in cerca d’autore, testo che avrebbe certamente affascinato, per la sua imprevedibile struttura drammaturgica, un pubblico che era ancora molto legato ai canoni teatrali più classici; e che certamente andava a scardinare le teorie di quel «realismo socialista» che fu l’arma con cui i conservatori, dal febbraio del 1963, stavano infliggendo a Evtushenho e agli artisti ribelli continue mortificazioni morali (argomento che affronteremo in seguito) per farli tacere. Infine, optò per il testo che anni prima (dal ’56 al ’60) sancì il grande successo della Compagnia, quel Diario di Anna Frank che Frances Goodrich e Albert Hackett, adattarono per le tavole del palcoscenico, riscuotendo enormi consensi a Broadway.
Proporre la trasposizione teatrale del Diario della ragazza simbolo della shoah, nel 1963, prima in Polonia, a pochi chilometri da Auschwitz, e poi là dove Stalin aveva commesso segretamente gli stessi crimini di Hitler, fu una scelta molto coraggiosa, che qualcuno avrebbe potuto interpretare come provocazione. Altri temevano un’improvvisa cancellazione dello spettacolo. E invece Vero Roberti sulle colonne del Corriere della Sera dell’11 aprile 1963, scrisse: «Il diario di Anna Frank, presentato stasera al Mali dalla Compagnia italiana dei giovani, ha letteralmente conquistato il pubblico sovietico che gremiva il più vecchio e glorioso teatro di Mosca. È stato un successo, un trionfo degli attori italiani che con la loro perfetta e misurata interpretazione hanno commosso fino alle lacrime. Alla fine dello spettacolo il pubblico si è levato in piedi e, dopo qualche istante di silenzio, è scoppiato in calorosi applausi che sono durati per oltre 10 minuti». Il 12 aprile Il Messaggero riportò da Mosca: «…successo eccezionale, applausi a scena aperta, innumerevoli chiamate per il regista e gli interpreti e lancio di fiori sul palcoscenico alla fine dello spettacolo. Il teatro era gremito in ogni ordine di posti… Il pubblico ha potuto seguire la commedia in traduzione simultanea attraverso le apposite cuffie…».
Con questi tre titoli in cartellone, i teatri che li avrebbero ospitati trovarono immediatamente un accordo per le date delle rappresentazioni. L’ambasciata sovietica a Roma appena ebbe la conferma da parte del Ministero russo che la «De Lullo, Falk, Guarnieri, Valli, Albani» (questa da quell’anno l’egida ufficiale della compagnia) sarebbe volata in Unione Sovietica con le scenografie e il vestiario di tre commedie, non potendo immaginare che la signora Toti Dal Monte (la Madama Pace dei Sei personaggi), unica stella ad essere conosciuta persino dalle nuove generazioni sovietiche, viaggiasse con un bagaglio personale ingombrante quasi quanto quello di tutti i costumi di scena e con uno sproporzionato numero di pellicce, chiese soltanto un elenco preciso dei partecipanti, poi fu il ministero di Zukov a organizzare, passo per passo, spettacoli e soggiorni nei tre paesi comunisti. Oltre agli attori e al personale tecnico ridotto al minimo, ci fu spazio anche per l’amico Peppino. Sul programma ufficiale della tournée, con sorpresa, il nome di Patroni Griffi era scritto accanto alla dicitura «Ufficio stampa». «In effetti – mi disse anni fa Rossella Falk – Peppino venne come autore della nostra compagnia, com’era giusto che fosse. E per noi soprattutto come amico, un amico di cui non se ne poteva fare a meno. Però si doveva trovare un ruolo ufficiale per agevolare le difficoltà per ottenere il visto e tutti gli altri permessi. In Russia non si poteva fare un passo fuori dall’albergo senza essere scortati dalla guida. Così, per coerenza, decidemmo insieme di scrivere anche sul programma della trasferta la stessa definizione fornita all’ambasciata per avere i permessi». Eppure la parola stampa non si rivelò del tutto infondata: proprio grazie a quel viaggio Patroni Griffi iniziò la collaborazione con Il Messaggero. Era il periodo della Guerra fredda, e un soggiorno in Russia, a dieci anni dalla morte di Stalin, sarebbe stato determinante per restituire una realtà i cui echi in Italia spesso arrivavano abbastanza distorti sia per le addomesticate notizie riportate dall’agenzia stampa sovietica, sia per l’incrollabile fede politica di coloro che scrivevano sulle pagine dell’Unità.
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Fine prima parte (1/3): segue
Foto in evidenza: Giuseppe Patroni Griffi (ph. Bepi Caroli)