La sostituzione improvvisa di Alessandro Haber da parte di Michele Placido, il breve tempo a disposizione, l’amicizia profonda che lega i due attori, la faticosa opposizione all’imprevisto e alla contingenza a cui, dolorosamente, siamo abituati sono solamente alcuni degli elementi mediante cui dobbiamo leggere questo allestimento di “Morte di un commesso viaggiatore“.
All’ombra di un’imponente scenografia (a cura di Andrea Belli) che si staglia sul palco del Quirino, a prevalere è il sentimento della nostalgia, in un clima in cui l’ascesa e la decadenza convivono, combattendo all’unisono contro il più implacabile degli avversari: il tempo. Tutto sommato, appare lecito credere che Morte di un commesso viaggiatore non sia altro che la risposta americana a quella che è la grande riflessione del vecchio continente, in merito all’insinuarsi del sentimento del nichilismo e della crisi generazionale.
Il celebre critico Peter Szondi traccia, nel suo saggio “Teoria del dramma moderno”, un profilo del testo di Miller, in piena continuità con la drammaturgia europea e russa. “Morte di un commesso viaggiatore” è parte e, in qualche modo, compimento ultimo di quello che è il bisogno crescente della drammaturgia del secolo scorso di farsi ‘epico’. Questo ritorno allo stile dell’epica, anziché affrancare il teatro da quelle che sono le preoccupazioni più intime e private dell’uomo, le esaspera. Il dramma borghese degli intrighi, dei ‘non detti’, degli spettri paterni che perseguitano implacabilmente i figli è alla base della produzione di Ibsen che ne è, allo stesso tempo, paladino e carnefice.
Tra “Morte di un commesso viaggiatore” e il declino del dramma borghese deve essere, quindi, tracciato un arco storico fondamentale, affinché il valore contemporaneo dell’opera possa essere compreso appieno. Quindi, pretendere di fare di “Morte di un commesso viaggiatore” uno spettacolo borghese significa rompere con una tradizione, che ha intravisto nel teatro un momento fondamentale di discussione politica con il proprio pubblico. L’allestimento di Leo Muscato sembra essere il frutto della volontà di resistere a questo ritorno inutilmente reazionario verso il dramma borghese, volontà che è, tuttavia, minacciata da un contesto produttivo e da una contingenza che non ne permettono l’effettiva realizzazione.
Ogni allestimento teatrale è specchio dell’epoca che lo produce. E così, se da una parte il nostro teatro non può a fare a meno di cedere all’impulso di decostruire ciò che è classico per ragionare sui temi della contemporaneità, dall’altra tutto ciò che è ormai divenuto un classico denuncia ciò che di più fallimentare ha la nostra epoca. “Morte di un commesso viaggiatore” non è soltanto il declino di uomo e del suo sogno tutto americano, è la messa in scena di quella sete capitalista per il possesso che mostra ormai i segni di un benessere sempre più precario. “Morte di un commesso viaggiatore” è la fine della speranza, incarnata dal fallimento esistenziale non tanto del padre, ormai vecchio e solo, bensì dei suoi figli.
La fatica con cui Michele Placido mette in scena la storia di Loman, seppure animato da un sentimento di straordinaria devozione nei confronti della sua missione teatrale, è emblematica di un mondo che va in pezzi. E nondimeno, a raccogliere quei cocci infranti non rimane nessuno, perché anche la generazione attoriale che gli succede, ovvero i figli Biff (Fabio Mascagni) e Happy (Michele Venitucci), ormai ha incarnato troppo profondamente quello che è il messaggio di denuncia di Miller. L’allestimento di Leo Muscato lascia tristemente increduli, perché nonostante la genuinità del progetto risulta quasi impossibile non chiedersi fino a che punto gli interpreti sulla scena siano consapevoli di essere parte integrante di quel declino inarrestabile.
La resistenza di cui sentiamo a più riprese parlare, nei più disperati ambiti, sembra essere un sentimento esteriore, in cui la rabbia e la frustrazione, attraverso cui Miller descrive la generazione dei giovani uomini, sembrano essere interpretati come fossero una lettera morta, priva di senso e di concretezza nella nostra realtà. La rabbia dei giovani è scomparsa, lasciando un grande vuoto, colmato soltanto dalla presenza se vogliamo silenziosa, ma quanto mai imprescindibile, di Alvia Reale. Una grande interrogativo ci si impone, ovvero perché il compianto e il silenzio di una donna come Linda rappresentino l’elemento più attuale, vero, concreto del nostro individuale e collettivo declino generazionale.
Morte di un commesso viaggiatore – dal 22 febbraio al 6 marzo
- di Arthur Miller
traduzione Masolino D’Amico
- con MICHELE PLACIDO, ALVIA REALE
FABIO MASCAGNI MICHELE VENITUCCI - e con STEFANO QUATROSI BENIAMINO ZANNONI PAOLO GATTINI
CATERINA PAOLINELLI MARGHERITA MANNINO
GIANLUCA PANTOSTI ELEONORA PANIZZO - scene Andrea Belli
costumi Silvia Aymonino
disegno luci Alessandro Verazzi
musiche Daniele D’Angelo - regia LEO MUSCATO