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Miss Italia non Deve Morire: Anatomia di una caduta agognata

Il documentario sulla realtà di Miss Italia che non puoi perderti.

Miss Italia non Deve Morire è un documentario Netflix realizzato e girato da Pietro Daviddi e David Gallerano. Un prodotto tecnicamente di qualità, che permette di accendere una luce non solo sul tema che tratta ma anche sull’ottimo lavoro svolto da questi due registi, abili nel mescolare satira e dramma, creando un fluido di denuncia di rapido assorbimento. La visione del documentario fa riflettere sulla storia di un paese, l’Italia, autosabotante nel suo attaccamento a un sistema chiuso e limitato. Fa riflettere anche sul concetto di bellezza, di quanto e come lo stesso condizioni, tuttora, la cultura in generale e soprattutto la vita delle donne. 

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Patrizia Mirigliani

All’italiana è quanto di più coerente mi venga in mente per descrivere questo prodotto, tranne che per la sua composizione tecnica. Il documentario stesso si trasforma in una sorta di commedia nera all’italiana. Parla di un fenomeno, di una storia familiare, di cultura e di una parte di televisione all’italiana.

Ti è mai capitato di sentir dire a persone di generazioni passate “se lo dice la tv è vero”? A me sì, molte volte. Ecco, Miss Italia è stata una delle protagoniste dell’era della manipolazione televisiva. Gli anni in cui, soprattutto chi lavorava nell’ambiente, si è accorto delle potenzialità enormi di questo mezzo di comunicazione di massa e ne ha approfittato. E più aumentava la padronanza del mezzo, più aumentavano le capacità di manipolarla, quella massa. Si è consolidata così una cultura fatta di leggerezza, di consumismo, di individualismo, di capitalismo e, ovviamente, patriarcato.

Quando a un certo punto ascoltiamo l’intercettazione di un dialogo tra la dirigenza di Miss Italia e una giornalista, dove quest’ultima viene esortata a raccontare di storie false di bullismo e di violenza subite dalle protagoniste della nuova edizione di Miss Italia, non siamo altro che di fronte a dei ridicoli strascichi di questo utilizzo dei mezzi di comunicazione di massa. Il tentativo di dirottare una nave che ha già colpito l’iceberg.

Ma partiamo dall’inizio. Il documentario si apre con un tono quasi funebre, come se stessimo assistendo all’ultimo respiro di un’era. Miss Italia, nata nel 1939 e diventata un simbolo nazionale nel dopoguerra, viene raccontata come un’istituzione in agonia. Non è solo un concorso di bellezza, ma un microcosmo che riflette i cambiamenti (o la mancanza di essi) della società italiana.

Il cuore del documentario batte attorno a tre figure centrali: da un lato, un gruppo di uomini, anziani, che con sguardi lascivi e commenti machisti continuano a dettare le regole di un sistema. Dall’altro, le donne, ridotte a corpi da esibire, muti e immobili, costrette a sottostare ad aspettative e standard di bellezza impossibili. 

“Non ci interessano più le sgallettate che sculettano sulle passerelle”. “Copriti il livido sulla chiappa”.  “C’è da dimagrire”. “Quella lì ha un culo grosso così”. “Le sventole sono sempre le sventole”. “Ma queste lo specchio a casa lo tengono o no?” 

Sono frasi che risuonano come schiaffi. Le ciliegine di una torta al sapore di umiliazione, oggettificazione, sessismo.

E poi c’è lei, Patrizia Mirigliani, la protagonista invisibile, vittima prediletta di questo sistema. Una donna messa nell’ombra dal proprio padre, che lotta per dimostrare il suo valore in un mondo che continua a non vederla. Una figlia che vorrebbe solo sentirsi all’altezza del padre, o che vorrebbe solo sentirsi amata. Miss Italia risulta così il mezzo per affermare il suo valore nel mondo, per dimostrare, ancor più da donna, di essere all’altezza di un “grande uomo”. È per questo che, con cieca tenacia, non può abbandonare una battaglia persa, che è familiare, che è patriarcale. 

Uno dei temi più interessanti del documentario è l’analisi della bellezza come strumento di controllo. Essa rappresenta un costrutto sociale definito da chi detiene il potere. È un meccanismo che mantiene lo status quo. Tanto nel concorso come nella vita, le donne sono troppo costrette a correre verso la porta d’accesso al sistema per mettere in discussione il sistema stesso, che le opprime, le subordina e le mortifica. Gli uomini, tanto nel documentario come nella vita, sono i guardiani di questo sistema. Non solo definiscono i canoni di bellezza, ma si appropriano del corpo delle donne, trattandolo come un oggetto da ammirare, giudicare e correggere. 

La bellezza come viene intesa in Miss Italia è un’illusione di potere. Le donne possono vincere una corona, ottenere attenzione e approvazione, ma tutto ciò rimarrà condizionato al loro aspetto fisico e alla volontà degli uomini. Non è un potere reale, ma un potere prestato, destinato a terminare perché soggetto alle regole del tempo e di persone terze, uomini, che possono revocarlo in qualsiasi momento. 

Miss Italia non Deve Morire è un documentario ibrido, che alterna cinema verità, dramma, satira e analisi sociologica. Il ritmo incalzante, che unisce perfettamente immagini, narrazione e musica, incolla il pubblico allo schermo per tutta la durata. Ciò è accompagnato da una contrapposizione intelligente tra immagini d’archivio e riprese contemporanee, per evidenziare quanto (o quanto poco) sia cambiata la realtà.

A proposito di immagini d’archivio, alcune sequenze ricordano inevitabilmente 100 di questi anni, il documentario uscito il 17 marzo e presentato alla Festa del cinema di Roma per i 100 anni dell’Archivio Luce. A tratti sembra di vivere un salto temporale, ritrovandosi davanti a  quei concorsi anni ’50 per “la moglie ideale” su cui fece sapientemente satira Claudia Gerini nel corto da lei diretto.

Il titolo, “Miss Italia non Deve Morire”, gioca molto con le intenzioni e i messaggi dietro a tutto il documentario. Al di là delle maiuscole strategiche, ci piace pensare che il riferimento a Misery non deve morire sia più di un richiamo citazionale. 

In quest’ultimo film, Annie Wilkes, una fan ossessiva, tiene in ostaggio Paul Sheldon, lo scrittore, poiché vuole “tener in vita” a tutti i costi il suo personaggio preferito. Miss Italia non deve morire mostra come un concorso di bellezza possa diventare una prigione dorata, in cui le candidate sono costrette a sopravvivere in un sistema che chiede loro di essere sempre perfette, sacrificando la propria identità. Allo stesso tempo, la visione del documentario porta a chiederci: Miss Italia deve davvero continuare a esistere? E se sì, a quale prezzo?

Mentre in ‘Misery’ si parla di follia individuale, Miss Italia non Deve Morire mostra una follia collettiva. È quella di un paese che nonostante i suoi tentativi di modernizzarsi, ancora fatica a liberarsi da una gabbia fatta di stereotipi sessisti, rimanendo ancorato a logiche antiquate e maschiliste. Daviddi e Gallerano, con uno sguardo clinico ma non distaccato, riescono ad accontentare le opposizioni in modo molto intelligente, facendo sì che entrambe si sentano sostenute e lasciando quindi alla singola persona spettatrice il ruolo di giudice ultimo.

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