Sabato 27 marzo, in occasione della giornata mondiale del teatro, è stato trasmesso in streaming per Torino Spettacoli “Minchia signor Tenente” di Antonio Grosso per la regia di Nicola Pistoia.
La commedia è stata ospitata fin dagli esordi al Teatro Erba, da un decennio circa: Torino Spettacoli ha creduto nel testo fin da quando era sconosciuto ai più. Nel corso degli anni la commedia (amara) ha riscosso un grande successo di pubblico riuscendo a divertire e al contempo far riflettere lo spettatore come vuole la tradizione della commedia brillante.
Il tema è la mafia, l’ambientazione è un piccolo paese di provincia in cui non succede mai niente, come dice nell’introduzione il signor Parerella, macchietta siciliana che qui ha il ruolo del fool come in tante commedie shakespeariane in cui il giullare, facendo ridere, dice cose vere.
La mafia d’altra parte, pur essendo il tema intorno al quale ruota la vita di una piccola caserma di carabinieri, entra nella storia in punta di piedi quasi senza farsi notare, affiancando le situazioni quotidiane che vivono i protagonisti. Dal signor Parerella appunto, che si presenta in caserma un giorno sì e l’altro pure per denunciare furtarelli o presunti tali, al dilemma di un giovane carabiniere fidanzato con la fornaia di paese ma che dovrebbe trasferirsi secondo il regolamento dell’arma che impone a un carabiniere di non intrattenere relazioni sul posto, per conflitto di interessi.
Problemi quotidiani e semplici appunto, tanto che ci si annoia parecchio e uno dei giovani carabinieri vorrebbe tanto che capitasse qualche avventura tipo quelle di Palermo. Il suo desiderio viene esaudito e mai come in questo caso è vero quel che si dice: fai attenzione a quello che desideri perché potresti ottenerlo.
Si capisce dalla scenografia dettagliata ma essenziale e da alcuni particolari che la storia si svolge in un passato più o meno prossimo ma vengono i brividi quando da una denuncia salta fuori la data del 20 maggio 1992, pochi giorni alla strage di Capaci e questa informazione si intreccia con la notizia che il comando vuole assegnare due di questi ragazzi, appunto, alla scorta di un giudice. Il nome del giudice non ci serve saperlo e quella data che sta per arrivare fa di questi personaggi dei morti che camminano. Il velo nero della mafia così viene steso, e dalla seconda metà della messa in scena il nostro sorriso diventa amaro.
Ciò che rende ancora attualissimo il testo teatrale, pur facendo esplicito riferimento a un fatto storico di ormai 29 anni fa, è la fotografia di un dato reale. La vita di poche anonime persone, persone che non fanno notizia, gente semplice e umile alle prese con il quotidiano ma che per l’agire di pochi vede il proprio destino segnato.
I due giovani carabinieri, semplici e buoni, sono felici di servire la Patria e proteggere un giudice come Giovanni Falcone e tutto finirebbe bene se non fosse per la scelta di una sola persona che ha giocato a fare Dio, operando scelte per il proprio tornaconto che hanno visto la fine di persone oneste.
Si scorge verso il finale, una velata critica alla figura del Tenente di cui il titolo. Quest’ultimo infatti, giornali alla mano, l’indomani della strage si compiace, del tutto fuori luogo, che la loro piccola caserma sia finita sui giornali. A questo punto non servono più a nulla il rispetto per un superiore e i gradi che porta, uno dei protagonisti rappresentando la voce di molti gli sbatte in faccia l’ipocrisia, la non umanità e l’orrore di quanto ha appena affermato.
Tutti gli interpreti stanno agilmente nel proprio personaggio e i siparietti comici a volte sono momenti difficili perché fanno ridere anche loro, ma di sicuro la messa in scena è coinvolgente e gradevole dall’inizio alla fine, riuscendo anche a commuoverci.
Antonio Grosso appartiene a una famiglia di carabinieri ed è stato ispirato dal testo di Signor Tenente, la canzone presentata da Giorgio Faletti al Festival di Sanremo del 1994. Durante la finale, il padre dell’autore commentò: “Se vince Faletti, l’Italia cambia”. La cronaca racconta che la canzone non vinse.