Una danza farsesca dove tutto si muove e nulla è (apparentemente) fermo
Una panchina bianca su uno sfondo nero: un palcoscenico essenziale per un viaggio interiore profondo e coinvolgente. Due giovani talentuosi attori, Nicola Lorusso e Giulio Macrì, si muovono in un mondo reale che si intreccia con un viaggio surreale, esplorando labirinti interiori e ponendo domande con risposte aperte e multiple. Due anime, due amici che discutono, litigano, giocano, dormono e cercano di trascorrere il tempo che sembra non passare, mentre cercano di comprendere in quale posto si trovano. Sono vivi o morti? Come sono arrivati lì? E dove, precisamente, si trova “lì”? Come si esce da quel posto?
Il dialogo è serrato, un incessante botta e risposta che riflette il ritmo frenetico dell’esistenza umana, dove le domande restano sospese e le risposte si inseguono in un vortice di emozioni. Un sottile gioco di potere si insinua tra i due, dove il desiderio di dominare l’interazione collide con la necessità di ascoltare l’altro. Parlo io o parli tu? Non importa; ciò che conta è che l’altro faccia ciò che io voglio, anche parlare per primo, se decido io.
Si assiste a uno scontro relazionale, dove ognuno cerca di prevalere. Ci si confronta, a volte si combatte, e si decide perfino di separarsi. Ma non è possibile, perché nella vita gli uomini sono fatti per relazionarsi; hanno bisogno di stare insieme per ricordare, chiedere, capire e far passare il tempo.
Una maestria comica si esprime attraverso una gestualità raffinata e una sincronia perfetta, trasformando il palco in un’arena di emozioni contrastanti. I suoni che accompagnano i loro dialoghi, sia parlati che muti, costituiscono un’importante manifestazione emotiva. A ogni suono corrisponde un movimento, un’espressione facciale che rimanda a un momento di grande gioco o profonda emozione. L’angoscia che provano nel ricordare quell’evento che ha cambiato le loro vite è la stessa angoscia che sente il pubblico, come un respiro condiviso tra attori e spettatori. Un senso di soffocamento avvolge la piccola platea del teatro, senza che siano state pronunciate parole. Ogni suono, ogni gesto, ogni espressione è parola percepita e palpabile di significato. È l’angoscia della vita, il non sapere il perché, il non trovare risposte all’esistenza e, a volte, il non riuscire a trovare una strada percorribile.
E poi c’è il dialogo con Dio. Ci sarà un Dio che ci guarda? Allora poniamogli delle domande; esigiamo risposte, ma non arriveranno come le vorremmo ascoltare, perché anche Dio a volte risponde come in un cinema muto. Bisogna osservare e imparare a percepire senza parole. Si ricomincia, e a volte ci si scambia i ruoli, cercando di mettersi nella prospettiva dell’altro. Ma si continua a discutere, senza trovare risposte. Perché il senso sta proprio lì: nello stare insieme nella discussione, nella compagnia nonostante tutto. Il senso è nell’unione continua e ripetitiva del ciclo della vita.
Uno spettacolo che unisce elementi performativi diversi, come il cinema muto, la clowneria e il teatro dell’assurdo, intessuti in modo eccellente, guidano lo spettatore verso una riflessione interiore sul proprio percorso di vita e sui propri intimi labirinti. I due attori e ideatori di questo meritatissimo spettacolo si sono perfezionati nelle residenze artistiche di Arsoli, dopo aver superato le selezioni del Progetto Cura, e in quelle di Polistena, in Calabria. Queste residenze artistiche sono spazi creati per sostenere giovani attori che desiderano migliorarsi e trovare un luogo di solitudine per la ricerca artistica personale, ma anche per la condivisione comunitaria. Il lavoro e la ricerca svolti da Nicola Lorusso e Giulio Macrì rappresentano un segno di professionalità, impegno e serietà che i giovani del nostro tempo manifestano, nonostante spesso se ne parli poco. Tendenzialmente si tende a screditare i giovani come parte di una società disfunzionale, mentre invece bisognerebbe alzare i riflettori anche su chi si impegna con passione e spirito di sacrificio, poiché sono loro l’esempio e la speranza di una società culturalmente e moralmente più preziosa.
Vale la pena intraprendere insieme a questi due bravi artisti il viaggio interiore che ci propongono e sostenerli nel cammino professionale che hanno intrapreso, perché nella loro professione si trova uno stimolo alla riflessione e alla condivisione di significati, di quel senso esistenziale che ognuno di noi cerca e può trovare a suo modo, nella solitudine e nella condivisione.
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Memori di e con Giulio Macrì è Nicola Lorusso – Teatrosophia 7/10 novembre 2024
Foto di ©Grazia Menna