Max Von Sydow: radiografia di un gigante

 di Andrea Cavazzini

Il 10 aprile del 1929 nasceva uno degli ultimi giganti della settima arte, Max von Sydow.  Ampiamente acclamato come uno dei migliori attori della sua generazione, von Sydow divenne con il passare gli anni una star della cultura pop contemporanea anche tra le file del pubblico più giovane .  Per i cinefili di  tutto il mondo il suo nome era associato a quello di Ingmar Bergman che disse di lui: “ Se mai un attore è nato per abitare nel mondo quello era proprio Max von Sydow. E sua volta l’attore svedese di rimando dichiarò. Qualunque cosa buona abbia fatto sullo schermo lo devo a Bergman. Da lui ho imparato la disciplina, la concentrazione e la gioia di recitare”. 

Alto, slanciato un viso scarno e gli occhi azzurri, non solo irradiava potenza, ma registrava anche un profondo senso di angoscia nordica con la sua voce profonda, contribuendo a dare sostanza alla visione spesso cupa ma piena di speranza e  a tratti comica nei classici del regista svedese come “Il settimo sigillo” e  “La fontana della vergine”, in cui interpreta  un uomo ricco la cui figlia viene violentata e assassinata da due pastori e quando scopre l’identità degli assassini, pianifica metodicamente una sanguinosa vendetta.

Nel “Il settimo sigillo” del 1958, Max von Sydow si cala nel ruolo di  Antonius Block, un cavaliere medievale che ritorna dalle Crociate nella sua terra natale devastata dalla peste, solo per incontrare la severa e spettrale figura della morte con tanto di cappuccio nero interpretata da Bengt Ekerot. Per evitare l’inevitabile, Block sfida la Morte a una partita a scacchi, e nei lunghi intervalli tra una mossa e l’altra cerca in campagna un po’ di bontà umana. Le due figure cupe, chine sulla scacchiera, in un paesaggio desolato del nord, un’immagine cinematografica indimenticabile, sono state spesso oggetto di imitazioni e parodie. Un ruolo che ha lasciato un segno in generazioni di spettatori.

Nonostante le sirene di Hollywood e un buon successo nel 1965 con “La più grande storia mai raccontata” di George Stevens dove von Sydow vestiva i panni di Gesù, l’attore svedese non era particolarmente attirato dall’industria cinematografica a stelle a strisce, visto che gli offrivano sempre i ruoli stereotipati del cattivo grazie al suo fisico imponente e all’accento scandivano, copie esatte dei ruoli che aveva interpretato con successo in Europa.

Naturalmente le eccezioni non mancarono nella sua lunga carriera a cominciare da “L’Esorcista” del 1973 diretto da William Friedkin adattamento del romanzo scritto da William Peter Blatty, dove interpretava Padre Merrin, un cupo prete gesuita chiamato al capezzale di un’adolescente per salvarla dalla possessione del demonio. Senza dimenticare il visionario “La morte in diretta” di Bertrand Tavernier del 1980, dove si anticipavano i guasti perpetrati dai reality.

Ma fu solo nei suoi ultimi anni che riuscì a spaziare ampiamente nei film prodotti dalle major americane.  In “Hannah e le sue sorelle” di Woody Allen  del 1986, era l’amante possessivo della sorella più giovane, interpretato da Barbara Hershey. Nel thriller di fantascienza “Minority Report” (2002), era il capo energico di Tom Cruise, il direttore di una forza speciale di polizia che beneficia di poteri telepatici per fermare i crimini prima che vengano commessi.

E pensare che Max von Sydow ottenne la sua prima nomination all’Oscar solo nel 1988, quarant’anni dopo il suo debutto cinematografico per “Pelle alla conquista del mondo” del danese Billie August, film che vinse la Palma d’oro a Cannes come miglior film, oltre all’Oscar come miglior film straniero.

Ma anche l’interpretazione magistrale dello scrittore premio NobelKnut Hamsun  nel 1997 diretto dal danese Jan Troell , sostenitore del nazionalsocialismo. Personalità contorta e molto discussa  che fu accusata successivamente di collaborazionismo, per finire poi internato in un manicomio.

E poi c’’è tutto il capitolo legato alle sue partecipazioni in film cult del genere fantastico come quello dello spietato tiranno Ming in “Flash Gordon”, produzione miliardaria dell’epoca del nostro Dino De Laurentiis che lo vide al fianco di Ornella Muti, oppure in quello  di Lor San Tekka, l’anziano del villaggio in “Il risveglio della forza”, ennesimo capitolo dell’interminabile saga di” Guerre stellari” e poi ancora quello dell’enigmatico veggente Corvo con tre occhi in “Il Trono di Spade”, tributi pagati al cinema commerciale (lui che proveniva da una solida formazione presso l’Accademia del Teatro Nazionale di Stoccolma), ruoli che si adattavano perfettamente alla sua fisionomia greve e austera.

E poi i ruoli di cattivo che alimentavano la sua crescente frustrazione come quello del neo-nazista Oktober in “Quiller memorandum”al fianco di George Segal, il russo affamato di potere in “Lettere al Kremlino” di John Houston e poi l’algido sicario in “I tre giorni del Condor” insieme a Robert Redford e Faye Dunavay, thriller politico-cospiratorio diretto da Sidney Pollack, girato sulla scia dello scandalo Watergate che vide implicato il presidente Nixon.

Ma è lunga la schiera di registi con i quali questo straordinario attore ha incrociato il ciak: Da Bolognini a Zanussi, da Penny Marshall a Wim Wenders, da Martin Scorsese a Ridley Scott, che sono solo alcuni dei tantissimi che lo hanno diretto in oltre 70 pellicole nel corso della sua lunghissima e formidabile carriera.

Max von Sydow rimane senza dubbio uno dei pochi a rientrare in un gruppo selezionato di attori che sono riusciti ad instaurare relazioni simbiotiche con registi, in cui uno aiuta l’altro a raggiungere un alto livello artistico. Ha trovato spiriti affini in due registi. Uno era Jan Troell, che lo diresse in sette film, l’altro ovviamente, fu Bergman,  suo attore feticcio, con il quale girò ben undici pellicole tra ruoli minori e da protagonista tra i quali “Il Posto delle Fragole”, “Alle soglie della vita” , “Come in uno specchio”, “Passione” e tanti altri, il quale in occasione di uno dei loro ultimi incontri prima della scomparsa del cineasta svedese nel 2007,  gli confessò: “Max, sei stato il primo e il miglior Stradivari che io abbia mai avuto in mano “.