L’artista racconta il suo processo creativo tra resina, marmo e Cantico delle Creature.
La mostra di Otello Scatolini , che rimarrà alla Pelanda, Padiglione 9b fino al 3 gennaio 2026, Armonia 5.0. Allorché di due farete uno, è un viaggio all’interno di un laboratorio mentale in cui la scultura nasce dall’incontro tra intuizione, materia ed errore. Marmo e resina diventano strumenti di una ricerca che indaga la dualità maschile e femminile, il rapporto profondo tra uomo e natura e il valore generativo dell’imprevisto. In questa intervista, l’artista racconta il proprio processo creativo, il dialogo continuo con i materiali e il significato di un lavoro che si costruisce nel tempo, tra trasformazione, ascolto e silenzio.

Dall’opuscolo che presenta la mostra, sembra esserci una linea guida che induca a scoprire l’esposizione dei lavori in sala, seguendo un percorso che parte dalla destra del Padiglione, per poi chiudere con le opere alla sinistra
Diciamo che la linea guida è una sola, ed è capire che tutti noi abbiamo una parte femminile e una parte maschile e non c’è una parte destra o sinistra che sia migliore o peggiore; nella bilancia della vita bisogna stare un po’ in equilibrio, no? Un po’ a volte si va da una parte a volte dall’altra. Questo spazio l’ho inteso come il mio laboratorio, che poi il mio laboratorio è la è la mia testa. E all’interno ci sono una serie di cose che hanno una coerenza tra di loro. Un filo conduttore
Ripercorrendo la tua storia artistica, sei stato introdotto all’arte da un’esperienza familiare, cresciuto nel laboratorio artistico con tuo padre.
Io sono caduto nel laboratorio di mio padre. Caduto, proprio come Obelix nel Pagliolo. Voglio niziare la visita da questa iscrizione, che è l’unico mio pensiero qui tra tanti di altri grandi, in cui c’è scritto che se vuoi creare un’opera d’arte non devi pensare, non devi pensare di creare un’opera d’arte perché è insita nel divino che è in noi. Cercarlo altrove è dell’essere umano. È un po’ come l’alchimista di Coelo. Gira, gira, gira e poi ritorna lì. L’arte se ce l’abbiamo, l’abbiamo dentro di noi e a volte speculare eccessivamente, pensare, non crea la famosa ispirazione e non la troviamo mai attraverso le ricerche culturali, attraverso cui, sì possiamo essere ispirati, però lavoriamo accademicamente; l’Idea quella vera viene da dentro, dal collegamento che abbiamo noi con il divino.
Possiamo quindi dire che è qualcosa di intuitivo, improvviso, profondo che emerge come un lampo?
Quello che faccio io è proprio di bloccare la mente perché a volte ci sono troppi pensieri. Dico sempre che la mia mente è un po’ il raccordo anulare del lunedì mattina c’è un po’ troppo traffico, quindi cerco di silenziarla, di ascoltare altre cose perché comunque i messaggi dall’universo arrivano, però bisogna essere silenziosi.
Ma bisogna anche filtrarli, perché siamo bombardati da una serie di messaggi che ci arrivano sia dall’esterno, quanto dall’interno di noi stessi
Beh, filtrarli no, perché quelli sono essenziali, chiarissimi. Bisogna chiudere le finestre, per non fare entrare i rumori esterni, i rumori di fondo, insomma.
Sempre leggendo l’opuscolo introduttivo, c’è un riferimento agli errori, ossia tu hai fatto una serie di esperimenti passando dal marmo ad altri materiali e nell’errore hai trovato anche la scoperta di altro
È fondamentale l’errore perché lavorando con materiali diversi come la resina trasparente, che ha una sua vita, lei interagisce a secondo del mio stato d’animo e quindi interagisce in un modo o nell’altro. A volte, dopo aver realizzato un’opera, lascio che la resina lavori tutta la notte e la mattina scopro quello che ha fatto, come si è modificata, in un’altra idea.
E sono dei risultati sorprendenti.
Ci sono degli errori che apparentemente sono errori, però bisogna sempre prenderli come opportunità che ci insegnano. Anche nell’opera “Grida e Sussuri”, si possono vedere degli spacchi nella parte bassa dell’opera, e questi spacchi uscivano fuori perché avevo lavorato in maniera non chimicamente perfetta; avevo preso l’opportunità , fornitami dall’errore, al volo e mi sono ho detto: beh. sì, ci stanno, ci stanno perché la parte inferiore, “le grida” rappresentano la confusione, gli spacchi sono proprio le tante grida, mentre la parte superiore, i sussurri, deve essere più limpida più omogena, quindi la sperimentazione è una continua scoperta.
Passiamo ora all’opera L’Uovo Cosmico, cosa puoi dirci al riguardo
Questo Uovo Cosmico è realizzato in resina bianca e resina trasparente. Questa diciamo che è proprio la mia prima scultura con cui ho cominciato a “sporcarmi le mani”. Una carissima amica, che poi è la vicepresidente del Palazzo delle Esposizioni mi disse anni e anni fa, parliamo di quasi 20 anni fa, « ma perché non contamini il marmo? » Perché io lavoravo solamente il marmo. E devo dire che questa sua sollecitazione mi è rimasta, mi ha fatto pensare
Perché proprio la resina tra i tanti materiali che avresti potuto utilizzare?
Io ho lavorato tanti anni nel campo della scenografia teatrale, ho avuto tanti maestri che mi hanno insegnato a conoscere diversi materiali e la resina trasparente era qualcosa di vicino al vetro, vicino all’acqua e allora ho iniziato a sperimentare e devo dire che quest’opera , l’Uovo Cosmico, è stata il primo esperimento e che è tutt’ora è una sperimentazione continua, perché comunque provo altre cose, altri materiali
Ti capita mai di prendere un’opera finita e smontarla e rimontarla in un altro modo, ricreare con la parte in resina un’altra opera, rimodellandola?
Si, anche sull’Uovo Cosmico il volto dello scimmione è stato modificato più volte prima di essere collegato alla parte in resina bianca; ho messo all’interno del volto del piombo, poi ho visto che era poco, ne ho aggiunto altro, che è questo nero ora visibile. Poi ho visto la lucentezza che tirava fuori, ed ho lavorato su questa, quindi solo dopo l’ho saldato con la resina bianca. Ci sono un paio di sculture all’interno della mostra che quando torneranno al laboratorio verranno modificate. modificate perché sono sempre in continua evoluzione.
E quindi ciò che vediamo oggi in questa mostra, domani potrebbe non esistere più ?
Sì, esattamente. Cerchiamo di limitarci, perché sennò saremo sempre a modificare, però perché no?
E invece di queste due bellissime statue Ettore e Andromaca? In resina e marmo greco.
Io ho voluto creare Ettore e Andromaca che sono due corpi trasparenti e quindi dei corpi di materiale che chiunque può immaginare in modo diverso e di mettere sopra un unico pezzo di marmo, bianco per coprire la loro testa.
La mostra abbraccia un arco temporale ampio, dal 1995 ad oggi, diversi anni di lavoro, con la stessa tematica. C’è una storia di questa evoluzione del tuo lavoro qui? Visitando la mostra con un tragitto preciso, si può vedere la storia di questa evoluzione artistica?
No, non c’è una sequenza temporale delle opere, sono tutte mescolate, perché questo, ripeto, è il mio laboratorio, il mio cervello, quindi dove il tempo, anche se qualcuno magari non mi crede, secondo me non esiste. Io vivo qui ora. La giornata comincia la mattina, finisce la sera. Il giorno dopo è sempre la stessa giornata.
Ed ora arriviamo all’opera che è anche il manifesto della mostra, cioè “L’Androgino”. Come nasce, qual è la pulsione interiore che ti ha spinto a realizzarlo
Proprio in base al fatto che quando si creano delle cose quando si cercano le idee non bisogna pensare, io stavo lavorando per un spettacolo teatrale. Stavo facendo l’uomo di Vitruvio, però in versione marionetta, ad una grandezza naturale, alta quasi 2 metri; però avevo diviso le gambe, le braccia con i ganci, come se fosse una vera e propria marionetta e lo guardavo a terra posizionato e mi sono detto: c’è qualcosa che devo fare mio e lì ho cominciato a fare un disegno, dei bozzetti , e poi cominciai a modellare l’androgino. Quello che tu ora vedi. Ci ho messo, diciamo, un paio di anni per capire bene come andava fatto e portarlo a termine. Dopo averlo terminato, in resina bianca, ho letto il “Simposio” di Platone. Sono rimasto esterrefatto perché non l’avevo mai letto e lessi appunto quella parte in cui, non ricordo se Agatone o qualche partecipante al Simposio, spiega com’erano gli esseri umani prima di essere com’erano adesso. E la descrizione era la stessa, identica. Quattro braccia, quattro gambe, due volti, forme arrotondate e ho detto beh, allora ho indovinato.
Ho fatto la cosa giusta e lui è l’unione del maschile e del femminile, con delle stigmate alle mani che lasciano suggerire che il sistema sanguigno interno sia irrorato da oro e non da sangue. Sia il maschile che il femminile hanno una parte con una mano aperta ed una con la mano chiusa, nel gesto di donare e di conservare
Ma anche accogliere, no? Perché posizionato nel corridoio centrale della Sala, la prima opera che il visitatore vede, a braccia aperte è proprio un accogliere
Come si può vedere, alla base dell’Androgino ci sono delle parole che sono co-creatrici della realtà perché la parola detta è vibrazione, la vibrazione è materia viva che si muove.
Questo concetto della vibrazione è legata sia a Plank, sia al suono.
Legata anche al professor Masaru Emoto che è stato un ricercatore giapponese, morto molti anni fa. Con una vita dedicata allo studio dell’acqua e della memoria dell’acqua, nella sua sperimentazione, sollecitava le ampolle d’acqua con parole positive o negative e musica positiva e negativa, poi le congelava a meno 35° e quindi le scongelava, fotografando al microscopio elettronico questi cristalli , le modificazioni. L’acqua che era stata sollecitata con la musica di Mozart e parole positive erano dei cristalli bellissimi, gli altri, sollecitati con parole negative erano tutti storti, degli aborti, delle cose deformi. Questa sperimentazione, che lui ha fatto per tutta la sua vita, mi ha fatto pensare moltissimo, anche perché noi siamo fatti del 70% di acqua, quindi possiamo influenzare noi stessi con quello che diciamo, facciamo, pensiamo, no?
L’opera “Do,Re,Mi,Fa,Sol,La,Si” si ricollega a Pitagora
Io sono un amante della musica, per quel poco che ho studiato, un po’ di chitarra, un po’ di pianoforte la musica è sempre vibrazione perché gli strumenti vibrano e hanno la loro frequenza come la nostra voce e quindi come tali sono co-creatrici della forma. Io uso molto la musica durante il mio lavoro, quindi essa compartecipa alla creazione,
Le diverse altezze di queste steli che compongono l’opera, se possiamo chiamarle così, possono rappresentare ognuna una nota, un’onda musicale, un cambio di tono.
Tu interpreta quello che vuoi; la bellezza è proprio questa; quelle sono le sette note musicali, dal “DO” il più possente, al più minuto “SI”, la stele più piccola; però c’è anche chi mi dice “Ma il SI è quello più grande, più alto”. Quest’opera si può leggere in tutti i modi.
E invece le maschere, se maschere si posso chiamare, presenti su ogni stele
Quello è il mio è il volto che per me rappresenta l’universo. Quindi in varie grandezze, in varie espressioni,
Però è anche qui un volto quasi da extraterrestre, no?
Sì. E fa riferimento anche all’arte ciclatica che è qualcosa che c’è stata migliaia di anni fa, però a me piace la stilizzazione del volto, l’estrema semplicità; infatti è quasi un’idea di volto, non è né maschile né femminile, diciamo che intuitivamente si capisce che sia un volto
L’opera “Profondo rosso”, è tra le poche, in questa mostra, ad essere colorata
Questa era un’idea, quella figura rossa è come se fosse un timbro, un timbro in un pensiero dove c’è l’occhio di questa persona che osserva e all’interno della sua mente si stampa questo pensiero
Dove troviamo anche un codice scritto
Questa è la mia scrittura che da segno, diventa disegno e si smembra, a volte si contorce per dare forma disegnata e poi ritorna lettera scritta.
Nell’ultima sala a destra, troviamo l’apoteosi di San Francesco, se si può dire così, visto che tutti i riferimenti scritti che sono stati posti sul muro, rimandano al “Cantico delle Creature”
Esatto.Il collegamento a Madre Natura è fondamentale. Ogni tanto vado in Umbria, vicino a Norcia e mi faccio lunghe passeggiate nel bosco. Sbirciando tempo fai tra vari iscritti, ho trovato che sia Leonardo da Vinci quanto Einstein, come anche altri artisti contemporanei, per avere ispirazione facevano delle grandi passeggiate nel bosco ritornano al contatto con la natura, che ti aiuta, come dicevo prima, a stare in silenzio, a fermare la mente.
Stasera, in questa mostra, qual è di queste opere è quella che ti è più vicina al cuore?
Il “Fuoco”, quello rosso.
Perché ?
Perché alcuni anni fa, sempre un progetto in itinere, dovevo fare una mostra sui 12 segni zodiacali e lui era il segno del fuoco, il segno dell’Ariete. Quindi io sono dell’Ariete, ed era quello più vicino a me, anche se poi diciamo che non ci sono figli e figliastri, hanno tutti un rapporto particolare. diciamo quello un po’ più mi rappresenta.
Ognuna di queste opere si lega un momento particolare per cui comunque le hai nel cuore tutte
Tutte hanno un rapporto particolare, con una storia dietro.
In chiusura avete allestito l’area didattica, dove si prova a capire tutto il lavoro che c’è dietro il processo creativo artistico. La presenza dei materiali e degli strumenti usati, i passaggi creativi per giungere all’opera compiuta, che rappresenta il valore aggiunto dell’opera d’arte
Io ci tenevo infatti ho proposto a Palazzo delle Esposizioni di creare questa area didattica proprio per far capire alle persone, anche se io on sono presente, che dietro quello che vedono in mostra, c’è un lavoro che fa riferimento ad antiche tradizioni; puoi lavorare in marmo, come fanno alcuni col robot, con solo i macchinari, oppure con scalpelli; dipende dall’obiettivo che vuoi raggiungere. Quindi a seconda di quello che voglio fare puoi usare una metodologia e un’altra. Io dico sempre che più cose conosci e meglio è, più sei libero. Questo anche nella tecnica della lavorazione del marmo. Tenevo a rappresentare una parte della mia bottega anche per far capire alle persone che c’è un processo ben preciso dietro la realizzazione di opere.
Come si fa un’opera in marmo?
Bella domanda.
Siamo abituati a vedere gli scalpellini col martello, lo scalpelletto, però non è solo questo, perché il marmo ha una sua resistenza, una sua consistenza, quindi reagisce, ha delle sollecitazioni, si può sgretolare sotto le mani
È una collaborazione, proprio un’intesa tra lo scultore e la materia che reagisce a una sollecitazione.
Innanzitutto a seconda dell’opera che vuoi realizzare devi saper scegliere il marmo, spesso e volentieri è lui che sceglie te, devi stare “con le orecchie ben appizzate”, come si dice Roma, e capire la sua chiamata e poi ecco, a seconda dell’obiettivo che vuoi raggiungere lavori con un bel preciso marmo anziché un altro; esso ha un suo verso, ha una compattezza diversa; in una cava prendi un bel pezzo di marmo, poi a 100 metri, in un’altra cava un altro pezzo con delle particolarità diverse, più duro, meno duro.
Dovresti saggiare il blocco di marmo, con lo scalpelletto e capire se è quello giusto e poi comincia la lavorazione. La lavorazione può essere fatta in diversi modi, però devi ascoltare il blocco di mano, perché lui a volte ti suggerisce cosa devi fare e cosa non fare.
Faccio sempre un esempio al lavoro del Bernini nella “Dafne”. Lui scelse un pezzo di marmo con un verso verticale perché tutte quelle foglie dovevano avere una loro resistenza. Un po’ come il legno, che ha un verso

Uscendo dalla mostra di Otello Scatolini si ha la sensazione di aver attraversato non tanto un percorso espositivo quanto uno spazio mentale, un luogo in cui il tempo si dilata e le opere continuano a vivere oltre la loro apparente forma compiuta. La scultura, qui, non è mai oggetto definitivo, ma organismo in trasformazione, nato da un dialogo costante tra intenzione e materia, tra controllo ed errore. Marmo e resina diventano così linguaggi di una stessa ricerca, quella di un equilibrio originario che unisce maschile e femminile, uomo e natura, pensiero e vibrazione. La sezione dedicata a San Francesco e al “Cantico delle Creature” rende esplicita questa tensione verso un’armonia più ampia, in cui l’essere umano non è centro ma parte di un tutto generativo. In questo senso, il lavoro di Scatolini non invita a “capire” le opere, ma ad ascoltarle: come si ascolta un suono, una frequenza, un silenzio. È forse in questo ascolto che risiede il cuore della mostra alla Pelanda: nel ricordarci che creare, come vivere, è prima di tutto un atto di relazione.
La recensione della mostra è possibile reperirla al link:
https://quartapareteroma.it/le-mani-la-luce-larmonia-tra-le-pieghe-invisibili-del-creato/.
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Armonia 5.0. Allorché di due farete uno – intervista a Otello Scatolini, in copertina: Otello Scatolini , La Pelanda – Padiglione 9b 06 dicembre 2025
Foto ©Grazia Menna




