Obbedire, produrre, dimenticare: la fabbrica dell’identità perduta.
Penultimo appuntamento, sia per la sezione Demo , sia per Inventaria 2025 a Teatro Basilica con Cromo Collettivo Artistico.

All’interno di uno spazio scenico essenziale, claustrofobico e avvolto in luci fredde e intermittenti, Maìo prende vita come un rito alienante e ipnotico. La regia di Ivo Randaccio trascina nel cuore pulsante – e malato – di una fabbrica non meglio definita, dove il tempo è ciclico, le azioni reiterate fino allo svuotamento e l’identità personale si dissolve nell’obbedienza cieca. È un luogo sospeso, privo di riferimenti temporali o geografici, dove ciò che conta non è la storia ma il ritmo inesorabile del lavoro.
I tre interpreti in scena – Arianna Serrao, Andrea Perotti e Valerio Sprecacè – incarnano corpi intrappolati in una gestualità robotica, ripetitiva, disumanizzante. I loro movimenti sono una danza stanca, in balia di un sistema che li nutre solo per continuare a sfruttarli. Sono esseri svuotati di pensiero critico, piegati a un’esistenza scandita dal dovere, incapaci persino di ricordare se siano mai stati altro.
A vegliare su di loro è una voce fuori scena – quella di Chiara Sarcona – che echeggia dall’alto come un’entità onnisciente e accudente, la “Grande Madre”. La sua presenza è rassicurante quanto inquietante: promette sicurezza, riconoscimento, premi, ma solo a patto di non deviare, di non pensare, di non chiedere. È la voce del sistema, mascherata da conforto. Una voce che premia la passività e castiga la disobbedienza, che lenisce la fatica senza mai spezzare la catena.
L’alienazione del lavoro emerge con forza come cuore pulsante dello spettacolo: il lavoro non come espressione, ma come condanna; non come contributo umano, ma come metamorfosi verso l’automa. Lo spettatore è messo di fronte alla domanda che attraversa tutto il testo: in un mondo che ci vuole efficienti e muti, dove finisce la nostra identità? E soprattutto: è ancora possibile rivendicarla?
In questo contesto, il personaggio femminile interpretato da Arianna Serrao sembra suggerire, seppur con discrezione, una faglia nella superficie, una tensione latente che potrebbe esplodere nel finale. Seppur lo spettacolo non sia ancora nella sua forma definitiva, questo elemento lascia presagire una possibile deviazione, una presa di coscienza, una crepa nel sistema. Forse proprio da quella figura nascerà l’atto di ribellione, o quantomeno di consapevolezza.

Randaccio firma una regia asciutta e precisa, capace di generare un senso di inquietudine crescente. La sua forza sta nel non mostrare tutto, nel costruire attraverso il vuoto, nel far parlare i silenzi e le ripetizioni. Maìo è un lavoro ancora in via di definizione, ma già potentemente evocativo. Un invito disturbante ma necessario a guardarci dentro, a riconoscere le catene che abbiamo imparato a chiamare “normalità”. Il pubblico, profondamente coinvolto, ha salutato lo spettacolo con lunghi e calorosi applausi, segno evidente di quanto Maìo sia riuscito ad arrivare in profondità, stimolando riflessioni, emozioni e un senso diffuso di urgenza.
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Maìo – regia Ivo Randaccio, con Andrea Perotti, Arianna Serrao, Valerio Sprecacè, voce Chiara Sarcona, Cromo Collettivo Artistico, Inventaria 2025 La Festa del Teatro Off, XV edizione, Sezione Demo, Teatro Basilica 10 giugno 2025
Foto di ©Grazia Menna





