MADRI: La recensione

 

di Linda Sogaro

 


Dal 28 al primo 1 Marzo é andato in scena alla Sala Paolo Poli, a Ostia Lido, lo spettacolo “Madri”, un atto unico diviso in quattro momenti narrativi distinti, con la regia di Sandro di Biagio e interpretato da Marina Perini. Il testo é tratto dal monologo “Quattro ritratti di madre” scritto da Arnold Wesker nel 1982: questa resa, salvo qualche impercettibile modifica, resta del tutto vicina al testo originale.

La piece si muove in punta di piedi tra quattro storie dal denominatore comune: l’esperienza della maternitá. La prima donna é una madre single che litiga con una figlia ancora piccola, la seconda si confronta con il terapeuta dopo un divorzio, la terza é un’anziana donna senza figli e l’ultima,  più che realizzata nell’averli, è completamente e felicemente dedita alla casa: così l’essere madre viene narrato attraverso la lente d’ingrandimento del giudizio sociale, delle difficoltà personali, dei rimpianti, dei sogni non realizzati e quelli ancora da realizzare, illuminando un piccolo scorcio di brevi e quotidiane vicende declinate unicamente al femminile. 

L’attrice protagonista scivola da un ruolo all’altro accompagnata dagli interventi musicali suonati dal vivo da Enrico Angarano: attraverso le delicate melodie delle sue due chitarre, viene esaltata l’intimitá del monologo creando uno spazio ancor più confidenziale tra l’interprete e il pubblico. 

Ad ogni cambio di scena, anche le luci vengono modificate (tecnici di sala Marco Scarpellini e Jessica Pacioni) da calde a sfumature più cupe e fredde, rispettando e rimarcando il cambiamento delle tonalitá espressive della protagonista. Indipendentemente dal testo, che può incontrare o meno il plauso degli spettatori, Marina Perini si muove sul palcoscenico con un’umanità intensa, difficilmente distinguibile dall’interpretazione, incarnando nel modo più spontaneo possibile tutti i suoi ruoli. 

Al pubblico arriva quasi un contatto fisico, una confidenza che sussurra all’orecchio di ognuno immagini già vissute o comunque prossime, in cui potersi immedesimare rapidamente, in profondità e in modalitá prevalentemente percettive.

Mentre un appendiabiti fisso sul fondo del palco sembra scandire simbolicamente i passaggi tra una storia e l’altra e tra un’identitá e l’altra, la scena si riempie di valigie vuote, vestiti , bambole, un vecchio telefono col filo e un telecomando per la tv, si riempie dei carrelli di un supermercato: ogni particolare interpretativo e scenografico riporta al vissuto quotidiano di ognuno di noi, in cui la realtà delle piccole cose s’intreccia silenziosamente con la voce interiore. 

“Viviamo in un mondo di uomini terrorizzati dalle donne: io voglio che lei sia indipendente.”