Il cuore della nozione di tragico inscritta nel teatro di Shakespeare sta in quella particolare convivenza tra registro stilistico cosiddetto ‘alto’ e uno ‘basso’ di cui ci hanno parlato molti dei suoi più celebri interpreti. Ne è uno esempio, fra gli altri, Auerbach quando — poco dopo aver preso in esame proprio il “Macbeth” — scrive che
“Non è soltanto la grande quantità di fenomeni e la mescolanza in gradi sempre diversi del sublime e dell’umile, del solenne e del quotidiano, del tragico e del comico che dobbiamo mettere in evidenza, ma è la concezione, difficilmente esprimibile con parole chiare, di un mondo rinnovantesi di continuo e legato in tutte le sue parti”. [E. Auerbach, Mimesis. Il realismo nella letteratura occidentale, Einaudi, Torino 200, vol. II, p. 80].
La straordinaria prosa auerbachiana sancisce (forse con toni in apparenza aulici ma non per questo meno accessibili) una legge ben nota ai teatranti: ogni attualizzazione di Shakespeare è, al contempo, possibile e, nondimeno, assai rischiosa. E questo non tanto per un qualche sentimento reverenziale nei confronti del ‘classico’, bensì per una legge che gli è connaturata e che fa capo alla complessità del suo stile, da cui siamo ancor oggi innegabilmente attratti.
Nel tragico shakespeariano esiste un cuore pulsante capace di rinnovarsi continuamente e che difficilmente sarebbe possibile — come scrive il celebre storico della letteratura — esprimere con parole chiare. Ed è proprio questo il ruolo a cui è chiamata, ogni volta, la regia quando si tratta di provare ad attualizzare l’opera shakespeariana. Questo è, direi, in fondo il tentativo che Alessandro Sena ha voluto realizzare con il suo “Macbeth”, di cui cura anche la traduzione e l’adattamento, in scena al Cometa Off.
L’ispirazione araba — più che orientale in senso lato — con cui si apre la messa in scena rappresenta, probabilmente, una delle suggestioni più interessanti dell’allestimento di Sena che, tuttavia, non porta fino in fondo il suo progetto. I costumi (poco curati), le suggestioni musicali e qualche tappeto persiano disposto sul palco finiscono per costituire l’unico testimone di una chiave registica che avrebbe potuto, invece, rappresentare un efficace e interessante terreno di confronto tra medioevo occidentale e arabo o, addirittura, una solida base per la ricerca di un taglio politico del “Macbeth”.
Sena difende, al contrario, l’obiettivo di mettere in scena un “Macbeth” ‘a-storico’, mediante le scene e, in particolare, con l’impiego di costumi tratti da epoche diverse senza, però, fare davvero i conti con la complessità di quella mescolanza di stili che anima il teatro di Shakespeare, di cui peraltro nemmeno gli interpreti appaiono — se non con rarissime eccezioni — all’altezza. Con ciò non si vuole qui sostenere che il compito della regia sia quello di presentarsi come un qualche cosa di ‘intellettualistico’ — nel senso peggiore di questo termine, come uno sfoggio di erudizione fine a se stesso — ma, piuttosto, di riconoscere in Shakespeare una complessità, una stratificazione di cui è il regista stesso a doversi fare carico, a divenire interprete per il pubblico.
Il tragico perisce — per dirla con una formula quantomai celebre — non a seguito di un’infiltrazione della filosofia all’interno del discorso poetico, bensì a causa di un atteggiamento, per così dire, naïf nei confronti di uno dei testi più complessi ed emblematici della civiltà occidentale.
MACBETH – dal 1 al 9 ottobre al Teatro Cometa Off
di William Shakespeare
traduzione e adattamento a cura di Alessandro Sena
con (ordine alfabetico)
Stefano Antonucci, Luca Basile, Alessandra Cosimato, Mariné Galstyan, Clara Morlino,
Vittoria Rossi, Emanuele Salvati, Francesco Sgrò ed Emanuele Vircillo
Regia di Alessandro Sena
Aiuto regia: Simonetta Di Coste
Consulenza musiche: Peste
Foto di scena Nina Kulishova
Organizzazione Generale: I Giardini di Antares