La duplicità morale de “L’uomo, la bestia e la virtù”

Al Teatro Domma la contemporaneità drammaturgica di Pirandello in “L’uomo, la bestia e la virtù”. Una regia di Alessandro Moser.

Per quanto non sia la prima volta che assista ad un’opera di Pirandello, mi sorprende sempre coglierne l’estrema contemporaneità. Accade anche con “L’uomo, la bestia e la virtù” scritta nel lontano 1919. Ancora una volta, Pirandello esplora; indaga il tema inesauribile delle maschere sociali e della duplicità morale che permea la nostra esistenza. Ma chi è davvero virtuoso? Chi segue le convenzioni o chi è sincero nella propria natura, pur quanto spregevole? Come i suoi personaggi, anche noi, nella vita quotidiana siamo sempre pronti a negare la nostra natura più istintiva in nome di una morale sacra e inviolabile. Anche noi, come il professor Paolino (Alessandro Moser) e la signora Perella (Noemi Bordi) cerchiamo di salvare le apparenze per non contraddire la morale; per non veder frantumarsi quelle maschere che ciascuno indossa a protezione di sè. Ma è proprio lì, nel grottesco e farsesco essere della maschera, che essa stessa inizia a deformarsi; che la macchina teatrale si sgretola e noi appariamo nella nostra essenza più mostruosa e disumana (o forse, è proprio in quel momento che diventiamo realmente umani). In fin dei conti siamo tutti fuori bianchi come colombe, dentro neri come corvi, nel cuore fiele, in bocca miele.

Così, in questo contesto scenico – sviluppato in un atto unico, con un solo cambio di elementi scenici a sipario aperto – viene, non solo messa in discussione l’idea di moralità; ma viene anche dipinta una famiglia disfunzionale, simbolo di un’istituzione fondata più sulle apparenze che sull’amore e sul rispetto reciproco: il matrimonio di convenienza tra la signora Perella e il capitano (Roberto Fazioli) mostra, difatti, come l’unione coniugale sia spesso regolata da norme sociali piuttosto che da sentimenti autentici. Ne risulta, pertanto, una farsa che lascia intravedere il paradosso delle convenzioni e la fragilità umana, accentuata da una struttura lineare e quasi minimalista della messinscena per cui, in alcuni momenti, forse, avrebbe giovato un maggior approfondimento della componente drammatica per bilanciare meglio il tono complessivo della pièce.

Per quanto la tripartizione dei personaggi sia, quindi, fedele alla suddivisione canonica delineata da Pirandello, sarebbe stato interessante esplorare ulteriormente le ambiguità insite in ciascuno evidenziando così la permeabilità delle maschere che indossano. Nel complesso, però, la pièce si rivela ben curata – anche se con alcune ingenuità interpretative, capace di restituire l’essenza del testo pirandelliano senza stravolgerne il senso. Tuttavia, l’eccesiva enfasi sulla dimensione farsesca e grottesca lascia in ombra il potenziale drammatico della vicenda, privando l’opera di quella tensione emotiva che avrebbe reso la messinscena ancora più incisiva. Una pièce con un potenziale significativo, che potrebbe evolversi ulteriormente approfondendo le dinamiche emotive ed interpretative.

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L’uomo, la bestia e la virtù. Di Luigi Pirandello. Regia, Alessandro Moser. Con (in ordine di apparizione): Antonia Di Francesco, Simone Sabia, Alessandro Moser, Nicholas Di Blasio, Noemi Bordi, Andrea Ciamei, Mirko Lorusso, Rachele Sarti e Roberto Fazioli. Aiuto regia, Rossella Nardini. Scenografia, Nazzareno Mattei. Teatro Domma, 1 e 2 febbraio 2025.

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