Domenica 26 febbraio 2023 è approdato a Roma con i suoi simbolismi e la spettacolarità delle sue danze e dei suoi costumi il Carnevale Boliviano, grazie all’Ambasciata dello Stato Plurinazionale della Bolivia e al Comitato Organizzatore della Comunità Boliviana.
La sfilata ha avuto inizio nella zona della Metro Cavour alle ore 9,00 ed è discesa per terminare nella suggestiva cornice dei Fori Imperiali.
La Manifestazione è stata organizzata come una Replica del Carnevale di Oruro-Bolivia – in un formato campione ridotto –, e si è svolta alla presenza dell’Ambasciatrice della Bolivia a Roma Sonia Silvia Brito Sandoval, che ha portato il suo saluto e di Teresa Susana Subieta Serrano, Ambasciatrice boliviana a Roma presso la Santa Sede, che invece ha sfilato danzando per tutto il percorso con gli altri ballerini, indossando l’abito originale del suo paese con il tradizionale copricapo, tutto colorato di azzurro.
Nel 2001, il Carnevale di Oruro, è stato dichiarato dall’UNESCO Capolavoro delPatrimonio Orale e Immateriale dell’Umanità, perché rappresenta una tradizione antica che risale a circa duemila anni fa.
È chiaro che gli spettacoli simbolici e i combattimenti dell’acqua dell’Oruro Carnaval hanno altre dimensioni perché sono eseguiti da oltre trentamila ballerini e cantanti in costume, che si muovono attraverso un percorso di bel 4 km allo scopo di celebrare la Messa della Vergine del Sovacòn.
Questo evento straordinario è senza dubbio la manifestazione più grande e più famosadella Bolivia, in grado di attrarre, ogni anno, circa 400 mila persone. Tutti questi interpreti che si muovono a passo di danza non fanno altro che rievocare la lotta tra il Bene e il Male, dove naturalmente il Bene trionfa sempre. Nel corso della Processione, che è strutturata come un rito propiziatorio, sfilano una moltitudine di personaggi: dall’Arcangelo Michele, agli Incas, dai Conquistatori spagnoli, ai Guerrieri Tobas, dai Caporales – ossia i sorveglianti crudeli con i lavoratori indi – ai Morenos – che rappresentano gli africani ridotti in schiavitù dagli spagnoli -, dai Kallawayas – che impersonano gli antichi guaritori Inca – ai Llameradas, gli antichi allevatori di lama di epoca precolombiana che con la danza mantengono il controllo delle loro mandrie.
Insomma, schiere di Arcangeli e Santi sapientemente si mischiano con la Dea della Terra, Pachamama – che per gli indios è una dea generosa e benevola, proprio come la Vergine del Socavón, protettrice della città -, e con il diavolo, chiamato Supay.
E questa rappresentazione dura quasi una settimana: si danza senza sosta per almeno 4 giorni, poi il divertimento culmina nella giornata finale con una gigantesca battaglia d’acqua, a cui i turisti devono prestare attenzione per evitare di farsi bagnare.
La Processione è coloratissima, movimentata, accompagnata dalla musica e dalle danze tradizionali e si ripete con le stesse caratteristiche da circa duemila anni. Allo stato attuale riflette sia le antiche tradizioni aymara e chechua che le credenze cristiane e si svolge quando l’estate boliviana è arrivata circa a metà, ossia nel mese di febbraio, mentre nel nostro emisfero si sta consumando l’inverno.
Naturalmente per preparare le danze, i carri, per realizzare i costumi e gli accessori, per provare le coreografie e le musiche, per addobbare la città per il grande evento, una marea di persone sono impegnate quasi tutto l’anno. Sono coinvolti senz’altro gli abitanti di Oruro, una cittadina fondata dagli spagnoli nel 1606, con un sottosuolo ricco di miniere di stagno, rame e argento, situata su un altipiano a 3700 metri, in un territorio assai arido, dove non cresce affatto la vegetazione. Il clima, infatti, ha una temperatura media di circa dieci gradi e nel corso della nostra estate (luglio, agosto e settembre) è investita da venti potentissimi. Gli abitanti sono in gran parte Indios – che parlano l’aymará e il chechua – e meticci, impegnati nelle attività estrattive di stagno e argento, ma anche nelle fabbriche di tessuti di lana e calzature o ancora nella Bolivian Power Company, la grande centrale elettrica.
Si tratta di una suggestiva cittadina, dalle vie strette e coloratissime, con casette dipinte delle tonalità più caldi e vivaci.
Una delle fatiche maggiori dei missionari spagnoli è stata quella di integrare i loro riti pagani con quelli cattolici, ma per fortuna il popolo locale, costituito da Aymara e Quechua, è riuscito a conservare le proprie tradizioni, “celandole sotto le mentite spoglie dei rituali cattolici”, ingraziandosi in questo modo i colonizzatori. Gli spagnoli per fortuna non distrussero questo patrimonio inestimabile, ma le integrarono, trasformando i riti propiziatori, però, in cerimonie religiose di matrice cattolica.
Siccome questo magnifico Carnevale è una festa che coinvolge tutta la Bolivia, non vi partecipano soltanto gli abitanti di Oruro, ma almeno una cinquantina di gruppi folcloristici provenienti da tutto il Paese in rappresentanza delle diverse etnie indigene della variopinta Bolivia!
Il personaggio malvagio per eccellenza della sfilata e della cultura indigena viene chiamato El Tio, ossia lo zio. Per gli indigeni rappresenta il proprietario dei minerali della miniera e sorveglia la sicurezza delle preziose pepite; quindi gli indios temono si arrabbi se il popolo estrae dal sottosuolo i metalli pregiati, quindi danzano per ingraziarsi il suo spirito e lo colmano di doni: birra, cibo, sigarette e coca. Per Carnevale lo spaventoso El Tio finisce per assumere le sembianze del Diavolo.
A Roma la rappresentazione di fronte alle Autorità, con il racconto del senso del rito e delle danze, si è svolta nel palcoscenico dei Fori Imperiali, di fronte all’Altare della Patria, mentre a Oruro si passa dalle strade, allo stadio, dalla cattedrale fino alle case del popolo.
Ricordiamo che Oruro (in quechua e aymara Uru Uru o Ururu) deriva dagli Uros o Uru, una popolazione precolombiana che celebrava diversi rituali, compresa la festa di Ito, che fu bandita dagli spagnoli nel XVII secolo, ma che proseguì sotto forma di rito cristiano, celando gli dei andini dietro alle icone e ai Santi della Chiesa.
Alla cerimonia carnevalesca di Oruro, partecipano anche 10.000 musicisti e tutti indossano abiti e maschere del folklore locale.
Il corteo è guidato dall’Arcangelo Michele, seguito da tutta una pletora di diavoli, orsi, puma, scimmie, condor, tutti animali importantissimi nella mitologia del popolo Uru.
I danzatori ballano danze come la Diablada o Danza del Diavolo, rimasta immutata nel tempo, che inizia con l’ingresso di El Tio, e nella quale partecipano un esercito di diavoli e demoni vestiti con costumi artigianali straordinari.
Il corteo si conclude proprio al Santuario del Socavón dove tutti entrano in chiesa per pregare la Vergine del Socavón, patrona dei minatori.
Nell’Urbe, il corteo si è concluso di fronte alle Autorità e agli organizzatori, portando nella capitale un assaggio di quello che rappresenta il rito per la Cultura Boliviana: partecipare al Carnevale è un grande onore per il popolo boliviano.
E anche se nella Capitale l’inverno ha portato qualche goccia di pioggia, i danzatori, le ballerine, abbigliati dei loro più vivaci colori, hanno continuato a danzare le loro coreografie e a dare spettacolo roteando festosi tra le rovine immortalate di bellezza.
Ph. di copertina: Emanuele Bolivar Martinez Avilés – Carnevale Boliviano a Roma