Intervista all’autore Salvatore Gullotta Di Mauro
Quest’estate, fermandomi al nuraghe Losa di Abbasanta, che sempre mi richiama come forma archeologica al territorio dell’Isola, ho scoperto un volume di Salvatore Gullotta Di Mauro intitolato L’isola degli dèi e di uomini fortunati, pubblicato nel 2021 da Carlo Delfino Editore, una storica casa editrice locale nata con la pubblicazione di opere di archeologia della Sardegna alle quale sono seguite quelle su ambiente, arte, storia sarda, tradizioni, lingua e cultura. Un’opera colta scritta con una ricerca approfondita da Gullotta, siciliano di Giardini-Naxos, una cittadina della provincia di Messina, primo insediamento greco in Sicilia.
Giunto in Sardegna nel lontano 1966 grazie ad un concorso vinto per la carriera nel corpo prefettizio, da allora non è più andato via, affascinato dalla storia istituzionale, dal diritto arcaico, dalla preistoria e dai circa 15.000 ritrovamenti archeologici che lo hanno tenuto legato alla ricerca e allo studio delle origini, ma anche attratto dalle relazioni affettive stabilite con gli abitanti dell’Isola.
Con la sua abitudine a scavare nei libri e nei codici che gli viene dagli studi di Giurisprudenza e di Economia, dalla professione di avvocato cassazionista e dalla formazione professionale di prefetto – è stato prefetto di Sassari e di Cagliari – insegue i misteri nascosti nei testi e nei monumenti antichi.
E scavando e setacciando, rovistando tra i documenti e gli antichi volumi, ci ha regalato una serie di interessanti opere tra le quali: il romanzo Monti di Pietra, Ettore Gasperini Editore, Cagliari, 2001; i saggi pubblicati sempre con Carlo Delfino Editore, a Sassari, Terre e Genti di Sardegna nella letteratura geografico-politica dell’Ottocento, 2005; Caratteri istituzionali della Sardegna arcaica, 2014; Il mistero dei primi sardi, 2017; Caro professore, le ho portato un uovo, scritto con Giuseppe Dettori, 2019; e il romanzo Sui monti di Barbagia, 2022.
Nell’opera L’isola degli “dèi e di uomini fortunati, ci regala una verità sepolta in antiche tavolette, l’Enuma Elish, le Sette Tavole della Creazione, conservate nella biblioteca di Assurbanipal a Ninive, e di altre parimenti importanti che riempiono gli scaffali di diversi musei del mondo, che – con la capacità di indagine che possiedono certi uomini di Legge – riesce a legare al destino della Sardegna.
L’esame minuzioso di queste antiche scritture cuneiformi ci porta alla conoscenza remota delle nostre origini.
«La narrazione che i Sumeri hanno impresso sulle tavolette d’argilla ben 4.000-3.000 anni a.C. mette in evidenza che sulla Terra, in tempi lontani (300.000-150.000 anni fa), fosse presente una molteplicità di individui in carne ed ossa, uomini o simil-uomini dalle capacità scientifiche e tecnologiche eccezionali, tanto da chiamarli “dèi”».
Secondo i Sumeri questi “dèi” venivano dal cielo e si trovavano sul nostro pianeta ancor prima che l’uomo esistesse e, secondo Le Tavolette della Creazione, furono proprio questi “dèi” a creare l’essere umano attraverso la manipolazione genetica del Dna di un ominide. Ma chi erano questi dèi chiamati Anunna?
«Una corte dominante composta da dodici “grandi Dèi” posti al vertice del gruppo. A dominare sugli altri, figuravano tre grandi dèi: Anu, Enlil, Enki (…) Anu, che nella mitologia greca coincide con il dio Crono, era il capo della dinastia, il grande padre degli dèi e il loro imperatore», afferma il Gullotta Di Mauro.
Poi ci sono i figli di Anu, le altre due divinità di rilievo, oltre al padre.
«L’altra importante divinità, la seconda più potente, era Enlil, il prototipo e il progenitore dei successivi dèi che sarebbero stati al vertice degli altri pantheon del mondo antico e figlio maggiore di Anu. Egli appare come il capo interessato alle vicende militari e al dominio dei territori. Enlil è il dio della Bibbia che a lui fa convergere le azioni, anche le più nobili e favorevoli al genere umano del fratello Enki, nel proposito di affermare il monoteismo. I Sumeri adoravano Enlil per il quale provavano gratitudine, ma anche paura, perché pretendeva assoluta ubbidienza e aveva l’abitudine di far soffiare il suo “vento” impetuoso quando voleva cancellare le città che si erano rese colpevoli. Fu proprio lui che, al tempo del Diluvio, cercò di distruggere la stirpe umana».
E se non fosse stato per il dio Enki, che ha suggerito a Noè di creare la famosa Arca, Enlil avrebbe già distrutto la specie umana che non amava particolarmente.
«Il terzo dio era Enki, divinità della sapienza, dei mestieri, della saggezza e della creazione dell’uomo, amante dell’umanità, il corrispondente del dio Poseidone col quale i greci chiamavano il dio del mare e delle acque».
Come spiegare la questione dell’“anello mancante”, ossia come fu possibile che l’uomo sia passato in breve tempo da Homo sapiens (un ominide che appena riesce a camminare) a Homo sapiens sapiens, (un uomo in grado di pensare) circa 300.000 anni fa, senza quel lento processo evolutivo che richiederebbe decine di milioni di anni?
I Sumeri, lo sapevano bene quando 6000-5000 anni fa lo hanno registrato con grande precisione e certezza sulle loro tavolette, raccontandoci della creazione e non solo.
Essi affermano che i loro dèi, circa 300.000- 150.000 anni a.C., provenivano da un’isola, posta in quello che per gli antichi era il Mare Mediterraneo, un’isola sconosciuta posta al tramonto del sole in un mare sconosciuto, chiamata Atlantide, Scheria, ecc.. Tutti ne parlavano, della stessa isola, l’isola degli dèi».
Platone la chiamava Atlantide secondo quanto trasmesso dai sacerdoti egizi e la poneva oltre le colonne d’Ercole, che non si trovavano come affermiamo oggi nello stretto di Gibilterra, ma tra la Sicilia e la Tunisia o nello stretto di Messina. E Atlantide e Tartesso erano la stessa isola, l’isola degli dèi. E solo in Sardegna sono stati rivenuti reperti come la stele di Nora, il Coccio di Orani e l’inserzione dell’Altare di Zeddiani.
Della Sardegna come l’Isola degli dèi ci sono numerosi indizi, come i toponimi di dèi e di divinità diffusi su tutta l’Isola che richiamano i miti e le divinità dell’antichità. Oppure il fatto che l’uomo sardo è stato riconosciuto dagli scienziati come uomo molto antico: Mario Anges fa risalire a circa 300.000 anni a.C. la prima presenza umana in Sardegna. Rammentiamo anche che nel 1915 l’archeologo Antonio Taramelli, ha trovato numerosi esemplari, risalenti ad epoche non identificate con certezza, dalle dimensioni straordinarie che richiamano le tombe dei giganti.
Rispetto alle altre isole del Mediterraneo, poi, in Sardegna ci sono circa 15.000 indizi materiali: Nuraghi, Tombe dei Giganti, Domus de Janas, Menhir, Pozzi Sacri, Dolmen e persino una antichissima Zigurrat. E sono così intensamente dislocati su tutto il territorio, che, come afferma Salvatore Gullotta Di Mauro, «lo contraddistinguono per una evidente unicità, facendo dell’intera isola un vero museo a cielo aperto che richiama un passato veramente remoto».
E poi ci sono testimonianze di una infinità di altri indizi
«Gli indizi che indicano la collocazione dell’isola sono innumerevoli e tutti chiari e convergenti. Ci sono, innanzitutto, i numerosi toponimi di dèi e di divinità diffusi su tutto il territorio di Sardegna che fanno immediatamente pensare che la misteriosa isola sacra d’Occidente, dimora originaria di dèi, luogo di origine degli dèi primordiali e delle dinastie sacre, sia proprio la Sardegna».
«La gente di Sardegna e le fonti antiche riconoscono Forco, Phorcus, la corrispondente divinità marina di Poseidone dei Greci, ossia Enki dei Sumeri, re di Corsica e di Sardegna, padre di Medusa, delle Esperidi, delle Gorgoni, delle Sirene, oltre che padre di tante altre divinità legate al mare. In Sardegna alcuni nuraghi e molte località sacre portano ancora il suo nome demonizzato in “Orco” (Sa Dom’e s’Orcu di Sarroch, Nuraghe s’Orcu, etc.). Perseo per uccidere Medusa deve raggiungere il Giardino delle Esperidi che sono Ninfe del Tramonto, dell’Occidente, dove ci sono le isole dei Beati. E Medusa nella leggenda locale era una deliziosa principessa che abitava in un castello in Sardegna del quale ancora si conservano i ruderi. La Sardegna, dunque, appare come l’unica tra tutte le isole del Mediterraneo il cui territorio possiede una diffusa presenza di numerosi nomi e toponimi che fanno emergere nella memoria miti e divinità della più profonda antichità».
Si parla, infine di altri simboli che possiamo trovare nei siti, riti e tradizioni dell’Isola.
«Un simbolo ricorrente molto significativo è quello del triangolo che simboleggia la magia del numero tre, il suo scindersi e ricomporsi nella divinità. Il triangolo posto sulla testa di Dio, nella simbologia del Cristianesimo, rappresenta la bellezza, l’ordine, l’armonia. La figura del triangolo si confonde con l’immagine del grembo della Dea Donatrice della vita e con la V da essa derivata. Possiamo quindi affermare che rappresenta il più antico e conosciuto simbolo proveniente dal Paleolitico incarnato nelle numerose statuine rinvenute in grotte e sepolcri del Paleolitico e del Neolitico, il più antico dei quali è raffigurato nelle statue a triangolo in selce dove sono abbozzati i seni e la forma del grembo della Dea Madre. Troviamo la forma triangolare anche nei numerosi pozzi sacri presenti nel territorio, che abbonda di questo simbolo del “femminile”».
Un altro argomento utilizzato dall’Autore è la longevità dei Sardi, in particolare di quelli provenienti dalla ristretta area dell’Ogliastra. Si tratta di una peculiarità genetica distintiva dei Sardi, che potrebbe davvero essere l’eredità di quel “dio” progenitore chiamato Enki.
Non sono meno importanti come indizi anche i numerosi rituali tuttora presenti nelle tradizioni e nella cultura della Sardegna, ripetuti inconsciamente all’atto di realizzare le decorazioni dolciarie, delle cassapanche, dei tappeti, delle ceramiche, dei costumi tradizionali, dei pani, dell’oreficeria, etc..
Appare chiaro che questa ritualità non era legata ai soli fini alimentari ma aveva lo scopo di appagare un’esigenza interiore, un gusto estetico, tipica di chi ha raggiunto il livello di benessere di una esistenza priva di stenti e di miseria.
In Sardegna è poi davvero diffuso il simbolo della colomba, della pavoncella, che potrebbe riferirsi a quella pace e benessere raggiunti in Occidente, particolarmente in Sardegna, in una vera e propria “età dell’oro” vissuta dai suoi fortunati abitanti.
«Non si tratta di semplici elementi decorativi, casuali o di semplice fantasia. Si tratta di figure e di simboli che, come quelle incise su pietra e riportate sui tessuti, nelle ceramiche ed in altre creazioni artistiche, vengono dal passato remoto a rivelare i moti dell’anima della donna sarda e i sogni del passato rimasto nella sua memoria, un passato felice in cui si era liberi dal bisogno impellente della sopravvivenza e dell’esistenza, proprio in quest’isola di Sardegna, di un’età d’oro nelle profondità della sua storia».
Questo appare evidente in tutta la sua forza addirittura nell’attività tradizionale dolciaria, dove la creatività muliebre raggiunge un vertice sia nell’abilità decorativa sia nell’intensità e varietà del gusto.
Secondo tutte queste considerazioni, attraverso lo studio delle iscrizioni cuneiformi delle tavolette sumere, in Sardegna il Dio Enki avrebbe quindi creato il primo uomo per ibridazione di un ominide già esistente circa 300.000-150.000 anni fa, dando luogo a una fase della Preistoria dell’Umanià, nel quale l’Isola viveva in pace, gli uomini si consideravano fratelli, il benessere era diffuso e condiviso da tutti in assoluta armonia.
«I Sumeri dicevano che “Tutto ciò che appare bello lo abbiamo fatto per grazia degli dèi”, intendendo dire che le civiltà dell’uomo sparse sulla Terra erano prodotto di quegli dèi. Questa affermazione è così precisa da non poter essere messa in dubbio. Dalle Fonti antiche dell’Enuma Elish sembrerebbe infatti che sulla Terra, nella più profonda antichità, ci sia stata una “età d’oro”, che riporta al tempo della prima convivenza con gli dèi, di cui fa cenno anche la Bibbia in Genesi, riferendosi ai tempi di Matusalemme e degli altri patriarchi, allorché la convivenza dell’uomo si srotolava ancora innocente nei confronti di Dio. Si tratta di quel periodo di convivenza con gli dèi, in particolare col dio chiamato Enki, nel quale esisteva una civiltà edificata proprio su quest’isola di Sardegna posta nel “bell’Occidente”, “al tramonto del sole”, “in mezzo ai flutti profondi”. Quest’Isola, unica tra le tante isole del Mediterraneo, era nota come ’“isola dei Beati”, “isola origine degli dèi”, “isola dimora di dèi e di uomini fortunati”, “isola sacra” proprio perché riservata agli dèi e, in particolare, alla stirpe originata da quel grande dio – Enki/Poseidone/Nettuno, etc. – padre/antenato, creatore dell’uomo e della stirpe di uomini fortunati da lui originata, nonché creatore della prima civiltà in assoluto sulla Terra, progenitrice di tutte le altre succedutesi nel tempo».
Foto di copertina di ©Savatore Gullotta Di Mauro – Domus de janas di fund’e monti o Tracucu a Lotzorai, Sardegna