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L’Indie è morto, viva I Cani!

L’inaspettato ritorno della band, che dopo nove anni pubblicano il loro quarto album “Post mortem”

Era il 2016 quando usciva Aurora: non si era mai sentito parlare di Covid, la regina Elisabetta compiva novant’anni, Facebook era il social network più utilizzato in Italia e la cultura indie (termine che nel tempo ha mutato il proprio significato originario, nelle varie decadi della seconda metà del Novecento, sino ai giorni nostri) iniziava a manifestare i primi segnali del proprio rapido, ma inesorabile declino. 

I Cani

Ed è in quel contesto che I Cani, al secolo Niccolò Contessa, classe 1986 (già, perché a dispetto del nome, si tratta di un progetto solista del cantautore e produttore romano), pubblicava il suo ultimo album. Un disco – quell’ Aurora – che è quasi un percorso, nel quale la leggerezza del synth popsposa la malinconia dei testi, che ci traghetta in un viaggio nel quale si può, nonostante tutto, avvertire la speranza per il futuro all’orizzonte, sino a giungere infine al naturale e triste epilogo (rappresentato dalla ballad di culto Sparire, l’ultima traccia dell’album, un vero gioiello, di quei brani che fermano il tempo mentre li ascolti). 

Dopo anni di silenzio (ma non è che dietro a Sparire si celava una sorta di messaggio in codice?) Contessa ritorna con Post mortem: pubblicato quasi in sordina, lo scorso mese di aprile, annunciato così dal nulla, con un post su Instagram della pagina 42 Records (l’etichetta dell’artista, senza campagne social o sponsorizzate, cui ci hanno abituato gli artisti negli ultimi anni), si presenta da subito come un album più maturo, dalle sonorità sperimentali e oscure e nel quale l’angoscia e il tormento dei tempi attuali soppiantano in maniera decisa il tentativo di leggerezza di quell’indie poporamai morto e sepolto. 

I Cani ci sbattono in faccia la realtà nuda e cruda con tredici tracce che parlano di noi, di tutti noi, di quello che siamo diventati in questi (quasi) dieci anni, delle nostre contraddizioni, delle nostre ansie, delle nostre paure, del senso di vuoto. Il tutto accompagnato da armonie complesse dalla ispirazione poliedrica: chitarre elettriche (molto presenti) dall’anima post punk, suoni elettronici sporchi e distorti, ma ricercati (si spazia dal synth pop tanto caro a Contessa a passaggi che rievocano persino certe sonorità industrial), le liriche malinconiche quasi sconnesse (in Felice, il cantato ci ricorda il Battiato sperimentatore): tutto contribuisce a dipingere un album dal sapore vagamente distopico, da romanzo orwelliano. E proprio come accade a Winston Smith, più si va avanti nell’ascolto più quella sensazione di tremenda oppressione lascia piano piano spazio a uno stato di torpore simile a quello di un risveglio dopo un lunghissimo sonno (volesse il titolo del disco alludere proprio a questo?). 

A ogni modo, se mala tempora currunt, questo Post mortem è la medicina dolce e amara di cui avevamo bisogno.  Perché se l‘Indie è davvero morto, I Cani sono più vivi che mai. 

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Post mortem – scritto da Niccolò Contessa – prodotto da Niccolò  Contessa e Andrea Suriani – copyright 42 Records – distribuito da Sony Music Entertainment Italy – 2025 

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