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L’Esercito dei Matti – Uccisi due volte: dalla guerra e dall’oblio di una narrazione incompleta

Voci spezzate, canti deformati, storie dimenticate: un viaggio tra memoria e delirio, dove il teatro diventa denuncia e la musica urlo di resistenza

Al Teatro Argot Studio di Roma Gioia Battista e Nicola Ciaffoni portano di nuovo sul palco L’Esercito dei Matti, una pièce che vuole squarciare il velo dell’oblio su una pagina nera della storia: la follia dei soldati italiani rinchiusi nei manicomi durante la Prima Guerra Mondiale. Giovani mandati a combattere un conflitto che li ha consumati fino all’ultimo brandello di sanità mentale, mentre il potere li ha zittiti, nascosti, annientati.

L’Esercito di Matti – Nicola Ciaffoni

Pagine di storia che ancora oggi, si tende a celare, a non far emergere, portando avanti un discorso commemorativo nato ai tempi del ventennio fascista, che veicolò la grandezza di quella guerra, dei suoi comandati, colpevolmente dimentico della realtà e dell’esito di quel conflitto.

Questo lavoro teatrale, ha esordito nel 2013 a Teatrosophia, nell’ambito della rassegna Inventaria 2013 – La festa del Teatro OFF.

L’Esercito dei Matti non è solo un racconto legato alla vicende italiane della Prima Guerra Mondiale, è un grido, una denuncia, una ferita aperta. È teatro di narrazione che diventa carne, memoria che prende vita, teatro canzone che trasforma le voci perdute in suono e corpo. Attraverso le parole di chi ha visto l’orrore e non ne è più uscito, ci ricorda che la guerra non solo uccide, ma trasforma la mente in un campo di battaglia.

Gioia Battista, drammaturga, e Nicola Ciaffoni, attore e musicista, danno voce a quei ragazzi poco più che adolescenti, scaraventati nel fango e nelle battaglie, travolti dalla furia cieca della guerra. Partiti con meno di vent’anni, hanno trovato un mondo senza più spazio per la giovinezza.

La scena è costruita con al centro, un sintetizzatore e strumenti musicali, ai lati, croci di legno coperte da divise strappate e un camice medico, simbolo di una scienza che non cura, ma condanna. Ciaffoni, attor unico, ci guida con trasporto ed una grande prova attoriale, attraverso l’abisso: i ragazzi chiamati a combattere quella guerra voluta da altri, all’inizio fingono la pazzia per non partire, ma dalla finzione iniziale, una volta al fronte, la follia diventa reale. Costretti a obbedire senza capire, senza chiedere, senza esitare, vengono mandati avanti come carne da macello da generali che si lavano le mani del loro destino. Come G. Cadorna, che davanti alla disfatta di Caporetto incolpa i soldati, non i suoi errori strategici.

L’interpretazione di Ciaffoni dei testi drammaturgici realizzati assieme a Gioia Battista –  risultato di un lavoro meticoloso di ricerca con  fonti dimenticate, cartelle cliniche polverose, lettere censurate, diari ingialliti, recuperando storie soffocate dall’indifferenza – si inserisce  nel più puro filone del teatro di narrazione, che intreccia cronaca e tragedia. La guerra rende ciechi, sordi, muti: si uccide o si viene uccisi. La follia si insinua nei corpi e nelle menti, amplificata dalle nuove armi dell’orrore: i gas letali, la chimica trasformata in sterminio.

L’attore indossa una maschera antigas: il respiro si fa affannoso, rotto, la voce diventa greve, un’eco di quei duemila corpi trovati immobili nelle trincee del Carso, morti con gli occhi aperti, come addormentati in un incubo da cui non ci si sveglia.

La musica è un altro volto della guerra: suoni dissonanti, lamenti distorti, un caos sonoro che accompagna la distruzione. Le melodie di canzoni alpine, di bani nati e legati alle truppe sul fronte, vengono ricomposte, mescolando le voci del passato con il rumore della guerra.

I riferimenti storici si rincorrono: i recuperanti, la Tregua di Natale, gli esuli di Caporetto. Un’analisi cruda e spietata che ricorda il mestiere di chi, dopo la battaglia, setacciava i campi alla ricerca di resti umani. Un lavoro simile a quello di Gioia Battista, autrice e regista, che ha scavato tra le macerie del passato per ricostruire queste voci spezzate.

Sotto lampadine che emano una luce fioca, forse a voler ricordare l’illuminazione delle tendopoli di battaglia, Ciaffoni si muove tra personaggi folli e grotteschi, tra soldati in miniatura e voci registrate, in un viaggio tra il reale e l’onirico. Nel 1915, molti giovani cercarono di evitare il fronte fingendosi pazzi, ma la guerra non si lasciava ingannare. Tra loro c’è Bepi, “il soldato dalla testa di scopa”, contadino trasformato in carnefice, e Franz, il soldato austriaco con uno scolapasta per elmo, protagonista di un momento recitativo surreale che sfocia nella tragedia.

Ma la vera pazzia è la guerra stessa. Bepi finisce in camicia di forza, un altro soldato ripete ossessivamente “Austriaci!” con voce deformata dalla paura. Ma neanche il crollo mentale basta per ottenere il congedo: qualche mese in manicomio e si torna al fronte. Per i “medici alienisti”, la guerra non rende folli, lo si è già in partenza. E comunque, la pazzia non è una scusa per sottrarsi alla battaglia.

Gli “scemi di guerra” diventano così il bersaglio più facile. Avanzano senza scampo, il loro numero ignoto, dimenticati dalla Storia. A guidarli c’è un altro matto: il Generale Cadorna – “Gigi”, con un secchio di latta al posto della testa – che li manda incontro alla morte con decimazioni e fucilazioni, fino al disastro di Caporetto, dove il fronte crolla e i soldati si disperdono come ombre in fuga. Con un cambio di occhiali, Cadorna diventa Armando Diaz, il suo successore, e la narrazione si tinge di feroce ironia sulla scuola che porta il nome del “grande” stratega.

Ma i veri eroi, o i veri folli, sono quelli della Tregua di Natale: soldati che, il 24 dicembre 1914, sfidarono  l’odio e si strinsero la mano, scambiandosi doni e canti in mezzo al fango e alla morte, organizzando anche un incontro di calcio. Un gesto di umanità punito con la repressione, difatti coloro che giocarono quell’incontro vennero tutti uccisi, perché la guerra non accetta eccezioni: chi rifiuta di uccidere è il nemico più pericoloso.

L’Esercito di Matti – Nicola Ciaffoni

L’Esercito dei Matti ci ricorda che la guerra non finisce mai davvero. Non per chi l’ha combattuta, non per chi l’ha subita, e soprattutto non per chi è stato dimenticato. I soldati impazziti nelle trincee, rinchiusi nei manicomi, ridotti a fantasmi senza nome, non hanno trovato giustizia, né memoria. Sono stati sepolti due volte: una sotto il fango della guerra, l’altra sotto il silenzio della storia. Gli spettatori presenti ieri sera al Teatro Argot Studio, hanno assistito non solo ad uno spettacolo, ma un atto di resistenza contro l’oblio, un requiem per chi ha gridato nel buio e non è stato ascoltato. Perché la vera follia non è impazzire davanti all’orrore, ma fingere che quell’orrore non sia mai esistito.

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L’Esercito dei Matti , di Gioia Battista,  con Nicola Ciaffoni, regia Battista/Ciaffoni, scene e costumi Chiara Barichello, sculture Alberto Rocca, arrangiamenti Walter Giacopini, consulenza disegno sonoro Giulio Ragno Favero, consulenza disegno luci Veronica Penzo, voci registrate Riccardo Maranzana, Mirko Soldano e Angelo Campolo, Luigi Cerpelloni, Walter Giacopini, Enrico Morello, Francesco Morello, con l’amichevole contributo al violoncello del M° Luca Franzetti, scene realizzate da DeltaStudios (UD), comunicazione Viviana Amendola, produzione Caraboa Teatro – Teatro Argot Studio, 29-30 marzo 2025

Foto di ©Grazia Menna

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