Leonor Fini: l’arte come identità

Palazzo Reale svela l’universo di un’artista che ha sfidato le convenzioni con la sua arte enigmatica e potente.

Leonor Fini, Donna seduta su uomo nudo, 1942, Olio su tela

Dal 26 febbraio al 22 giugno 2025 Palazzo Reale ha l’onore di ospitare una personale dedicata ad una delle artiste più enigmatiche del Novecento. Io sono Leonor Fini a cura di Tere Arcq e Carlos Martín, intende indagare un’artista poco considerata dagli studi contemporanei al fine di riscoprire il ruolo di Leonor Fini nella costruzione di un modello artistico di forte indipendenza.

L’approccio all’arte di Leonor Fini inizia indagando il concetto di “scene primordiali”, ovvero i momenti delle più remote origini della sua arte. Pur cercando di discostarsi da una narrativa biografica e confessionale delle sue opere, l’artista ci lascia comunque dei momenti che hanno segnato la sua infanzia. Nata a Buenos Aires nel 1907, Fini attraversa momenti che segneranno il suo percorso artistico, come quando la madre decise di travestirla da bambino per paura che il padre la rapisse. In seguito alla separazione tra i genitori, Fini si trasferisce a Trieste con la madre, dove da ragazza ha occasione di sperimentare il fervore artistico della cultura mitteleuropea triestina. Nel 1931 si trasferisce a Parigi. Le opere esposte, che mostrano il cambiamento dello stile artistico in seguito all’incontro con la metropoli parigina, rivelano una trasformazione stilistica che abbandona le forme di naturalismo verso una sperimentazione più libera. In questo contesto avviene l’incontro con gli esponenti del movimento surrealista. Nonostante l’importante influenza che ebbero artisti surrealisti nel suo lavoro, dato il clima di misoginia e omofobia all’interno del movimento, Fini rimase sempre distaccata dalla corrente, finendo per non aderire mai al movimento. In questo momento, al suo stile che ricerca una libertà di rappresentazione della femminilità e della fluidità di genere, si aggiungono elementi di macabro, meraviglioso e una composizione che, erede del surrealismo, accosta in maniera molto libera diversi elementi onirici. Nell’opera Autoritratto con civetta, l’artista esprime la ricerca di un’indipendenza della figura femminile, rappresentata in tutta la sua potenza.

Con l’avvento della Seconda Guerra Mondiale, Fini lascia Parigi prima dell’occupazione tedesca e si rifugia sull’isola del Giglio. In questi anni, la sua sperimentazione riguarda soprattutto il rapporto tra corpo, morte e bellezza. Le atrocità della guerra accentuano le dimensioni del macabro, dell’esoterico e della sessualità all’interno delle sue opere. Paesaggi apocalittici, in cui l’artista si ritrae, hanno la funzione di indagare il suo rapporto con la morte. Gli scenari delle opere di questi anni, nonostante la forte presenza della morte, mantengono una tecnica raffinata in cui si intravede una forte sensualità.

Il racconto biografico del percorso espositivo si ferma per un istante, portando il pubblico a riflettere su un tema molto caro all’artista, ovvero il suo rapporto con la sessualità e la famiglia. Leonor Fini cresce senza un padre, in un ambiente che rifiutava i modelli convenzionali di sessualità e convivenza. Da adulta, all’interno della sua sfera privata, mantiene il distacco dai modelli convenzionali di famiglia. Questo rapporto con il privato è sempre stato mostrato al pubblico attraverso la sua arte. Sono ben evidenti, all’interno delle sue opere, la visione fluida dei rapporti e l’espressione libera della sessualità. Questa dimensione, per Leonor Fini, entra ed esce dalla tela, confondendosi tra la sua persona e il suo fare artistico, che porta a una rottura estrema tra la sfera privata e quella pubblica. Nelle opere Les Carcans (i giochi) e Rash, Rash, Rash, meine Puppen Warten! (Sbrigati, sbrigati, sbrigati, le mie bambole mi stanno aspettando!), è evidente questo rapporto continuo, senza interruzioni, tra il pubblico e il privato. Come conseguenza della volontà di sovversione dei modelli tradizionali, vi è la rappresentazione del nudo maschile, visto come oggetto di desiderio da parte dell’artista. La figura maschile nelle opere di Fini acquisisce una forma androgina, fluida, spogliata dagli elementi di rappresentazione patriarcali.

Questo sovvertimento avviene anche nella rappresentazione della figura femminile. Nelle opere che troviamo esposte in questa sezione è evidente il rapporto fluido non più tra i generi, ma tra la donna e le figure animali e mitologiche. L’esoterismo, la magia e la mitologia entrano a far parte del regno matriarcale dei personaggi delle opere di Fini, indicando la potenza creatrice dell’universo femminile, che si fonde con quello animale in opere come Sfinge. L’incontro tra il mondo umano e animale costituisce per Fini un livello ideale in grado di liberare la figura femminile. L’indagine verso la figura femminile continua nel percorso espositivo, mostrando la fascinazione dell’artista verso la stregoneria e le forme rituali. Mantenendo un’ispirazione da parte delle forme e dei modelli compositivi surrealisti, Fini mostra un mondo in cui gli istinti animali delle donne si manifestano in tutta la loro potenza protettrice e non aggressiva, lasciandosi ispirare da personaggi appartenenti alla mitologia come Persefone ed Ecate. L’ibridazione di più mondi di fantasia è un tema ricorrente nell’arte di Leonor Fini, dove l’uso dei costumi e il travestimento, giocano una parte importante: “Travestirmi, indossare dei costumi è la magia che mi permette di fondermi con altre dimensioni, specie e mondi”.

La sua passione per il travestimento la portò, nella sua carriera, a numerose collaborazioni con teatro, cinema e stilisti. Per mostrare questo sodalizio, troviamo esposta una selezione di costumi ed elementi di design e scenografici, tra le sue collaborazioni più celebri quella per la realizzazione dei costumi e scenografie per Il credulo di Domenico Cimarosa e Il ratto del serraglio di Mozart, rappresentati entrambi al Teatro alla Scala di Milano. L’ossessione per i materiali e i tessuti di scena aveva portato l’artista ad indossare in prima persona le vesti dei personaggi che rappresentava nei suoi dipinti, facendo vivere il mondo che sognava e rendendosi, in questo modo, autrice e protagonista di un’arte performativa.

Leonor Fini, Rash, Rash, Rash, meine Puppen Warten!, 1975, olio su tela

Il percorso espositivo si conclude con una sezione dedicata all’indagine della persona di Leonor Fini, indagine che aveva rappresentato per molti critici una sfida, data l’indole dell’artista per il travestimento e la passione per le maschere. La sfida a conoscere Leonor Fini è qui rappresentata attraverso una serie di fotografie per le quali l’artista posò con il fine di costruire la sua immagine. Il titolo della mostra, Io sono Leonor Fini, costituisce quindi una provocazione per il pubblico, il quale si vede rivolgere un attributo che sottintende a un interrogativo: chi era Leonor Fini? Perché dovrei essere lei? Nella scoperta dell’artista, il pubblico può quindi svolgere un’indagine parallela di scoperta di sé stesso, con l’invito a confrontarsi con una delle figure più enigmatiche dell’arte del Novecento.

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Io sono Leonor Fini a cura di Tere Arcq e Carlos Martín – Palazzo Reale di Milano dal 26 febbraio al 22 giugno 2025

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