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“Le vie dell’acqua”: l’esordio di Fabio Masi tra cinema, storia e generazioni

Intervista al regista romano, che racconta l’identità giovanile attraverso un viaggio tra passato e presente, nato da un progetto con l’Università di Padova.

Alla 82ª Mostra del Cinema di Venezia le sorprese non mancano mai. Tra queste, Le vie dell’acqua, un film intenso e poetico diretto da Fabio Masi, giornalista brillante e autore di servizi indimenticabili per una delle trasmissioni cult della Rai: Blob. Il suo stile, riconoscibile e originale, si ritrova anche in questo bellissimo esordio alla regia, presentato in anteprima al Lido.

 “Le vie dell’acqua” segna un passaggio importante: da Blob al cinema e ora alla Mostra di Venezia. Che tipo di film è questo tuo esordio e cosa hai voluto raccontare?”

Per me rappresenta davvero un’opera prima sia di fatto che di finzione. Le vie dell’acqua è il racconto di una generazione attraverso lo sguardo di tre ragazzi, poco più che adolescenti, all’ultimo anno di liceo a Padova. Li seguiamo in un viaggio che si trasforma presto in qualcosa di più profondo: una ricerca identitaria, un percorso di crescita, una scoperta del presente e dei legami che li uniscono.

Il tuo film racconta il mondo giovanile in un momento in cui la Mostra di Venezia ha scelto di focalizzarsi proprio sui temi della società, affrontandone luci e ombre. Ti senti in sintonia con questa direzione?

Il progetto nasce da una collaborazione con l’Università di Padova, in particolare da un’idea della professoressa Stefania Giandroni, che ha lavorato su un affascinante tema storico: le trattative commerciali dei mercanti veneziani all’alba del Cinquecento. La sfida era trasformare quel materiale in un racconto contemporaneo, attuale, vivo.

Da lì è nata questa idea, che per me rappresenta anche un esperimento narrativo e linguistico: unire ricerca scientifica e divulgazione attraverso il linguaggio del cinema. I tre protagonisti, studenti all’ultimo anno di liceo, vivono un viaggio che è storico, ma anche personale e relazionale.

Al centro ci sono le loro dinamiche, i loro equilibri e soprattutto i loro disequilibri: la conflittualità con il mondo adulto, il sovraccarico di stimoli dei social, il senso di smarrimento e di ricerca. Tutti temi che emergono in modo artistico, senza mai essere didascalici, ma che sento profondamente contemporanei. Forse, in questo, c’è anche un piccolo tentativo di originalità nel genere.

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