A Teatrosophia, un debutto potente: quattro attori vestono la fragilità femminile restituendo l’eredità più viva di Annibale Ruccello
In Quattro Mamme Scelte a Caso, in scena dall’11 dicembre a Teatrosophia e in programmazione fino a domenica 14 dicembre, quattro monologhi di altrettanti autori – Massimiliano Virgilio, Alessio Arena, Luigi Romolo Carrino e Massimiliano Palmese – diventano frammenti di umanità, tessere spezzate di un unico corpo: quello della madre come coscienza civile, come nervo scoperto e come ultimo, ostinato barlume di salvezza.

A incarnare questi frammenti di umanità sono Gabriele Cantando Pascali, Vincenzo Longobardi, Fabio Fantozzi e Mauro Toscanelli – che ha curato anche la regia di questa pièce; quattro interpreti che hanno restituito con precisione l’idea drammaturgica cara ad Annibale Ruccello: una drammaturgia che vive nella voce del popolo, nei suoi tic, nei suoi riti, e soprattutto nelle sue donne – figure insieme comiche e tragiche, capaci di far emergere la poesia dalla marginalità e di raccontare il mondo attraverso una quotidianità esposta, vulnerabile, ferita. Ogni monologo racconta una madre reale, potenziale, mancata o simbolica e attraverso di lei racconta la collettività, la sopravvivenza e il limite dell’umano.
Proprio questo lascito ruccelliano – l’ibridazione tra grottesco e lirico, tra carne e simbolo, tra dialetto e visionarietà – vibra nei quattro monologhi scelti per lo spettacolo.
La regia, sceglie di intrecciare questi testi senza ricorrere alla protezione della scenografia: lo spazio vuoto diventa una pagina bianca su cui sono gli attori, con la sola forza della voce, a disegnare case, vicoli, perfino un albero che si scuote da sé per agire/reagire con la sua “mamma”. È tutto nella loro presenza, è grazie a questo che il pubblico, per tutta la serata, ha respirato la sensazione di trovarsi dentro quei luoghi, in presenza di quelle cose immaginate.
Gabriele Cantando Pascali, con Il fatto più bello di Virgilio, apre la serata portando in scena una madre che scopre nella vita più dura un’apparizione di grazia, la nascita della figlia. Non un miracolo, ma un gesto minuto, quasi trascurabile, che diventa rivelazione: un richiamo alla possibilità del bene. La sua interpretazione, misurata e intensa, rende palpabile la fragilità di quella luce, come se ogni parola l’accompagnasse con cautela per non spegnerne il bagliore.
Segue Sciore Arancia, affidato a Vincenzo Longobardi, che sorprende il pubblico con la scelta registica di fargli interpretare le sembianze di un albero, con le sue movenze a mimare l’ondeggiare dei rami. Arena racconta una donna sospesa tra la promessa del fiore nuziale e l’asprezza della vita; Longobardi la incarna con una delicatezza ruvida, restituendo la fragilità del fiore d’arancio e insieme la sua testarda resistenza, come un profumo che resta nonostante la tempesta.
Il terzo frammento, 70 mi dà tanto di Carrino, trova in Fabio Fantozzi un interprete che coniuga la scelta scenografia di un abito femminile, con la sua voce profonda, possente, che riempie lo spazio con un contrasto che non è mai caricatura, ma figura poetica. La sua è una quotidiana battaglia, con la figlia Maria – “ celebrosgarrupata“ . e con suo nipote Filippo – “un momento antropologico”. Fantozzi riesce a rendere fisica questa altalena emotiva e dialettica, portando il pubblico nel cuore di un’angoscia quotidiana che diventa quasi rito sacro.
Chiude la serata Mauro Toscanelli con La Pocalisse di Palmese, un ritorno dall’aldilà che non cerca il brivido, ma la denuncia. Qui la madre si fa spettro e profeta: torna per avvertire il figlio – e con lui l’intero Paese – che la catastrofe non è imminente, ma già avvenuta, consumata nella corruzione e nella perdita dei valori. Toscanelli modula la voce come una corrente che sale dal profondo, restituendo allo spettatore la solennità di un verdetto pronunciato con l’amore e la rabbia dei morti che ancora sperano nei vivi.

La scelta di affidare questi ruoli a interpreti maschili in abiti femminili, richiamo esplicito al teatro di Ruccello, si rivela vincente: non c’è caricatura, non c’è imitazione, ma un attraversamento. La maschera femminile diventa un diaframma poetico, un luogo dove la voce maschile trova nuove risonanze e dove la figura materna, invece di restringersi, si amplifica, si fa universale. Il pubblico, inizialmente spiazzato da questo “colpo di teatro”, ha accolto la scelta con crescente emozione, lasciandosi trasportare dalla potenza evocativa delle parole e dei corpi in scena. Alla fine, il lungo applauso – reiterato, convinto, liberatorio, ha sigillato la riuscita dello spettacolo: Quattro Mamme Scelte a Caso si pone come un’unica, grande dichiarazione d’amore e di dolore verso un Sud che continua a generare poesia nella sua fatica. E quelle quattro madri, così diverse e così uguali, hanno parlato per tutti.
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Quattro madri scelte a caso – regia Mauro Toscanelli, con Fabio Fantozzi, Vincenzo Longobardi, Gabriele Cantando Pascali , Mauro Toscanelli, produzione Melancholia Teatro, Teatrosophia 11 dicembre 2025
Foto ©Grazia Menna




