La figura materna nei film del cineasta spagnolo
Donne forti, insicure, ferite. Sono queste le attribuzioni identitarie delle madri protagoniste nei film di Pedro Almodóvar.
Regista cinematografico dai tratti eccentrici, profondi e dal carattere ribelle, Pedro Almodóvar nasce nel 1949 a Calzada de Calatrava, un piccolo paese nella provincia della Mancia, conterraneo del Don Chisciotte di Miguel De Cervantes. Il suo percorso artistico ha conosciuto il periodo oscuro della Spagna sotto la rigida dittatura di Francisco Franco e tutto quello che consegue dopo la sua morte avvenuta il 20 novembre 1975, data in cui la Spagna potrà prendere fiato e cominciare una nuova vita.
Durante tutto il trambusto politico, il rapporto con la madre per Almodóvar rimane il suo unico legame affettivo. Nel pieno dei fremiti adolescenziali, il giovane Almodóvar si trasferisce a Madrid per coltivare la sua passione per il cinema, lontano da una realtà di paese che non calzava con la sua forte personalità. Il tutto senza mai dimenticare la sua figura materna.
Se è vero che ogni artista porta all’interno delle proprie creazioni qualcosa di biografico, il fil rouge della cinematografia di Pedro Almodóvar è senz’altro legata alle figure femminili: donne coraggiose, spezzate da dolori personali, ma forti e risolute come solo le donne riescono ad essere. E’ la figura materna a tornare molto spesso nei suoi film: Tutto su mia madre ne è l’esempio calzante. Film vincitore di numerosi premi, tra cui il Prix de la mise en scène nel 1999 al Festival di Cannes, Premio Oscar, Golden Globe e Premio BAFTA nel 2000, è una pellicola straziante che racconta senza filtri un mondo tutto al femminile, dove il coraggio e la complicità solidale tra donne primeggiano davanti alle avversità e alle crudeltà della vita. La protagonista Manuela conduceva una vita tranquilla a Madrid, finché non le viene strappata la maternità dopo la prematura scomparsa del figlio Esteban in un incidente stradale. In un momento luttuoso e oscuro, la giovane donna decide di trovare il padre Esteban a Barcellona. Barcellona si presenta come un girone infernale e troppo pieno di ricordi dolorosi per lei, eppure Manuela è determinata nella sua ricerca affannosa del padre per dargli la ferale notizia. Missione piuttosto complicata se non fosse per le amiche che la circondano e per una serie di coincidenze che la condurranno al fatidico incontro con Esteban (alias Lola, poiché è diventata donna dopo una transizione fisica). Destino vuole che Manuela troverà la sua seconda maternità nel momento in cui uno dei personaggi femminili le affida, ormai in fin di vita, suo figlio Esteban, chiamato così in ricordo del figlio perduto. Per Manuela questa occasione diventa una possibilità di redimersi dal passato in forma definitiva.
Il senso di maternità è diverso invece in Volver: nel film vincitore al Festival di Cannes nel 2006 e candidato al Premio Oscar e al Golden Globe nel 2007, Raimunda perde sua madre Irene in un incendio doloso ed è cresciuta da sola. È diventata madre di se stessa e di sua figlia Paula. Si fa carico di tutte le difficoltà del caso e lo fa nel modo più silenzioso possibile, senza destare alcun sospetto: dalla copertura dell’omicidio del patrigno di Paula, Paco, dopo che quest’ultimo aveva tentato di violentare la figliastra fino alla sepoltura stessa del corpo con l’aiuto e la complicità di alcune vicine di casa. Raimunda è realista, concreta, conosce il dolore e non crede alle illusioni, neanche alle presenze sovrannaturali che girano nel paese natìo nella provincia della Mancia. Diversa è sua madre Irene: sfuggita all’incendio, è stata costretta a fingersi un fantasma pur di rimanere vicina alla famiglia e, in qualche modo, vicina alle figlie. Raimunda e Irene avranno un dolce ricordo e rincontro in due momenti precisi durante tutto il film: nella canzone “Volver” che Raimunda cantava da bambina e la verità che entrambe conoscevano sulla gravidanza di Raimunda, avvenuta dalle violenze subìte dal padre di Raimunda e che Irene stessa, per il dolore, si era vendicata su di lui e sulla sua amante, innescando un forte incendio.
Gli stessi elementi biografici sono stati utilizzati un secolo prima da Irène Némirovsky, scrittrice francese di origine ucraina, la cui ossessione costante nella sua scrittura sta nella descrizione continua del rapporto conflittuale con sua madre dal carattere autoritario, distaccato e poco materno, tratti distintivi di tutte le sue eroine nei suoi romanzi più celebri, tra cui Il Ballo, romanzo dichiaratore di tutto l’odio e disprezzo della scrittrice nei confronti di sua madre.
Che sia per odio o per affetto, la figura materna suscita sempre una grande conflittualità o un forte senso di dolore sia nella letteratura come nel cinema, ma per Pedro Almodóvar è sicuramente una fonte inesauribile di amore e di infinita gratitudine.
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I credits dei film citati:
Tutto su mia madre – Regia, soggetto, sceneggiatura di Pedro Almodóvar – con Cecilia Roth (Manuela), Marisa Paredes (Huma), Candela Peña (Nina), Antonia San Juan (Agrado), Penélope Cruz (Rosa), Rosa Maria Sardà (madre di Rosa), Fernando Fernán Gómez (padre di Rosa), Eloy Azorín (Esteban), Toni Cantó (Esteban padre, poi Lola) – Fotografia Affonso Beato – Montaggio José Salcedo – Effetti speciali Antonio Molina – Musiche Alberto Iglesias – Scenografia Antxòn Gòmez – Produttore Agustín Almodóvar, Michel Ruben – Casa di produzione El Deseo – 1999
Volver – Regia, soggetto e sceneggiatura di Pedro Almodóvar – con Penélope Cruz (Raimunda), Carmen Maura (Irene), Lola Dueñas (Soledad, detta Sole), Blanca Portillo (Agustina), Yohana Cobo (Paula, figlia di Raimunda), Chus Lampreave (Paula, zia di Raimunda e sorella di Irene), Antonio de la Torre (Paco), Carlos Blanco (Emilio), María Isabel Díaz (Regina), Neus Sanz (Inés), Leandro Rivera (Ausiliario), Yolanda Ramos (Presentatrice TV), Carlos García Cambero (Carlos) – Fotografia José Luis Alcaine – Montaggio Josè Salcedo – Musiche Alberto Iglesias, Estrella Morente – Scenografia Salvador Parra – Costumi Bina Daileger – Produttore Esther García – Produttore esecutivo Agustín Almodóvar – 2006.