di Andrea Cavazzini
Sono trascorsi 50 anni da quando il mondo ha perso, probabilmente, il più grande chitarrista di tutti i tempi. Il 18 settembre 1970, Jimi Hendrix fu ritrovato morto nel suo appartamento di Londra. Come per Jim Morrison, che morì nel 1971 e le cui circostanze della morte non furono note con precisione fino a trent’anni dopo, quando fu accertato che fu l’uso di eroina eccessivamente pura a stroncare la vita del leader dei Doors, quelle che circondavano la morte di Hendrix rivelarono che il musicista di Seattle mori per soffocamento da vomito a seguito di un mix micidiale di barbiturici e alcool, ma anche a causa dei ritardi nei soccorsi. Naturalmente il fascino del musicista pazzo e maledetto nell’immaginario collettivo di quegli anni, lo stereotipo dell’artista che utilizza droghe a scopo creativo, l’abuso di alcool e i liberi costumi sessuali erano decisamente funzionali all’idea e all’immagine di un rock che in quel periodo stava esprimendo uno dei suoi momenti migliori.
Hendrix era una forza della natura, esploratore psichedelico, filosofo mistico. In quattro anni cambiò il volto della musica influenzando per sempre tutti i più grandi chitarristi, dai “vecchi” come Jimmy Page e Eric Clapton che avrebbe dovuto incontrare quella sera stessa, ai giovani emergenti di allora come Jeff Beck, Ritchie Blackmore e Brian May.
Il suo stile era tanto eclettico quanto elettrico, passando dal blues casalingo di “The Red House”, “Voodoo Child” e “Hear My Train A-Comin” ‘, all’eterea “Little Wing” e “Third Stone From The Sun” fino al rock trascinante di “Hey Joe”, “Purple Haze” e “Machine Gun”. I suoi riff erano un bulldozer e le sue linee guida erano un viaggio elettrico con LSD e 50 anni dopo aver suonato l’ultimo accordo vale la pena chiedersi ancora oggi cosa ha significato Hendrix per il rock e dell’impronta che questa icona ha lasciato nel panorama musicale.
Il modo rivoluzionario in cui usava il suo strumento è stato un atto di ribellione contro i limiti fisici e le leggi dell’universo musicale. C’era così tanta libertà, creatività e senso di esplorazione nella sua arte, partendo da un semplice accordo, che il suono della sua Stratocaster, combinava il suo concetto di armonia, il suo concetto di timbro e la sua voglia di scioccare, tutti collegati in quell’accordo.
Passò anni a suonare la chitarra solista in band di altre persone, in particolare per The Isley Brothers e poi Little Richard, ma una volta che lui e la sua chitarra riuscirono a trovare una sintesi, Jimi non si voltò più indietro e la sua musica iniziò a fluire. Nel giro di pochi mesi Hendrix passò dall’essere un completo sconosciuto all’essere una superstar planetaria. Un’indicazione di quanto velocemente la vita di Hendrix cambiò, può essere misurata dal fatto che nel maggio 1966 Hendrix stava lottando per guadagnare abbastanza soldi per mettere insieme il pranzo con la cena. Era così disperato per la mancanza di soldi, che si è riunì brevemente a Curtis Knight and the Squires mentre contemporaneamente suonava con la sua band “Jimmy James and the Blue Flames”. Per fortuna Chas Chandler, bassista degli The Animals (quelli di The sun of the rising sun per intenderci) , una sera era al Greenwich Village, beccò Jimi che si esibiva al Café Wha è rimase stupefatto da come Hendrix interpretava “Hey Joe“.
È una delle grandi ironie della musica moderna è che uno dei più grandi musicisti blues e rock, un genere nato nel Sud e nel Mid-West americano, abbia avuto bisogno di venire a Londra per essere ‘scoperto’ e poi riesportato di nuovo in patria come parte di un ‘invasione britannica” per avere successo.
D’altra parte, se 50 anni di rock ci hanno insegnato qualcosa, è che alla fine tutto torna di nuovo. “Stiamo suonando perché il nostro suono entri nell’anima della persona,” disse Hendrix, “e vediamo se riescono a risvegliare alcuni generi di cose nelle loro menti, perché ci sono ancora così tante persone che dormono”.