Le leggende non muoiono mai: Louis Amstrong

 di Andrea Cavazzini

Una leggenda del jazz. Una delle icone americane immediatamente riconoscibili al pari di Topolino e Charlie Chaplin, Louis Amstrong a 50 anni dalla sua scomparsa, ha rivoluzionato il jazz e soprattutto il modo di suonare la tromba; esplorando con destrezza diversi registri, divertendosi con ritmi sincopati e padroneggiando alla perfezione l’improvvisazione in un contesto di inizio Novecento dove la parola jazz non esisteva ancora.

Rivoluzionò il genere con brani come What a Wonderful, World, West End Blues e Hello Dolly, che raggiunse la prima posizione nelle classifiche statunitensi nel 1964, superando perfino i Beatles.

Nato in una famiglia afroamericana molto povera di New Orleans, fu cresciuto in parte da sua nonna, poiché suo padre se n’era andato di casa lasciandolo con la madre, una prostituta alcolizzata. Durante la sua infanzia, trascorse due anni in riformatorio . Un’esperienza che avrebbe cambiato la sua vita. Sotto la guida di Peter Davis, imparò a suonare la cornetta e divenne il leader della banda musicale della New Orleans Home for Black Abandoned Children. La musica offrì al giovane Louis un via d’uscita alla delinquenza. 

Dopo aver riconquistato la libertà, divenne un musicista professionista, guidato da Joe “King” Oliver, con il quale avrebbe suonato sulle barche del Mississippi o in piccoli club. Il giovane Satchmo (abbreviazione di satchel-mouth, bocca grande), uno dei suoi soprannomi, gettò le basi di un nuovo sound all’interno del jazz, come primo grande solista, e dando vita allo scat-singing, l’imitazione dei suoni degli strumenti con la voce. La storia racconta che Armstrong stava registrando in studio e il testo della canzone cadde a terra. Per non fermarsi, decise di improvvisare visto che non riusciva a ricordare il testo.

Quel periodo è l’apogeo di un’invenzione musicale unica, intorno a un solista sicuro di sé, con una tecnica insuperabile, maestro assoluto del tempo. Quando Louis esprime una nota, è esattamente al milionesimo di secondo dove dovrebbe essere attaccata, senza esitazione, senza scrupoli, senza cercare effetti bizzarri. È lì e non altrove. Il fraseggio è limpido. Non puoi rimuovere o aggiungere un suono. C’è la presentazione, lo sviluppo, l’occhiolino, la conclusione in euforia e soddisfazione. Il tutto, ovviamente, con l’ebbrezza di questa imponderabile qualità del jazz: lo swing.

Armstrong ha dato molto alla musica, distinguendosi non solo per il suo immenso talento e genio musicale ma anche per il suo carisma, oltre che per il suo inconfondibile timbro di voce che lo ha sempre caratterizzato al pari del suo rassicurante sorriso durante ogni sua esibizione. Elementi di una personalità che forgiarono nel tempo la sua fama internazionale, simbolo di un periodo dell’avventura musicale e della storia politica dei neri americani, riuscendo a dare un contributo anche finanziario contro il razzismo, a partire da Martin Luther King.

E fino alla fine non si è mai voluto fermare: in fondo un musicista non si ritira, suona o muore tanto che Duke Ellington dirà di lui: “É nato povero, è morto ricco e in quel periodo non ha mai fatto del male a nessuno“. E con la sua morte il jazz entrò a far parte della storia e a pensarci bene Louis Amstrong non è mai morto è solo in un altro “wonderful world”.