Dall’“Angelo azzurro” ai set hollywoodiani, la diva racconta la sua vita tra passioni, segreti, audacia e indipendenza femminile, lasciando un’eredità di fascino senza tempo.
«Credete che questo sia glamour? Che questa sia una vita meravigliosa e che la mia persona ne tragga beneficio? Be’, non è così. È duro lavoro».
Cantava Lili Marleen nella Germania di Hitler, simbolo di fascino e seduzione negli anni Trenta, con quelle gambe fasciate da calze di seta nere assicurate per un milione di dollari. Protagonista de L’angelo azzurro, scoperta e diretta dal regista austriaco Josef von Sternberg, Marlene Dietrich divenne un’icona immediata. Eppure quella canzone, così malinconica e insinuante, non piaceva a Joseph Goebbels, ministro della Propaganda nazista; al fronte, invece, i soldati del Reich ne erano stregati. L’interprete era lei, la tedesca Marlene Dietrich, figlia di un ufficiale prussiano, regina dei teatri e dei cabaret della trasgressiva Berlino degli anni Venti. Dopo il successo folgorante del film, scelse la via dell’esilio a Hollywood per sottrarsi al nazismo, seguendo le orme di due giganti come Fritz Lang e Billy Wilder.
Con il mito cucito addosso della femme fatale libera, anticonformista e votata alla trasgressione, Marlene divenne presto il simbolo stesso della donna ammaliatrice, disinibita, angelo e demone insieme. Forte di un contratto in esclusiva con la Paramount, negli anni Trenta conquistò una popolarità che divideva solo con un’altra icona assoluta, “la divina” Greta Garbo. Regina di film costruiti tra sensualità e mistero, dominò la Hollywood dei “ruggenti” anni del proibizionismo, affamata di scandali, sesso e denaro.
Dotata di una voce roca e ipnotica, due occhi magnetici incorniciati da ciglia e sopracciglia sottilissime come ali di farfalla, interpretava canzoni diventate leggendarie grazie a compositori come Kurt Weill e Bertolt Brecht. Brani che oggi rivivono nelle voci di Ute Lemper e Max Raabe. Marlene stregava i colleghi più celebri: Tyrone Power in Testimone d’accusa, James Stewart in Partita d’azzardo, Gary Cooper in Marocco, Cary Grant in Venere bionda, fino a Scandalo internazionale, film la cui trama sembrava ripercorrere, tra verità e mistero, la sua stessa vita.
Coccolata dai maestri del trucco e dai più raffinati costumisti, Lili Marleen divenne sempre più Marlene Dietrich: un’autentica diva, nella cui casa con piscina si alternavano i suoi celebri “amori proibiti”. Primo fra tutti l’affascinante attore francese Jean Gabin, amico di Édith Piaf, seduttore dagli occhi azzurri. Si raccontava che Greta Garbo, la vicina più enigmatica di Hollywood, spiassi dalle siepi della sua villa le effusioni tra i due: le due dive, infatti, si sarebbero detestate per tutta la vita.
La ragazza della provincia tedesca, di cui la Germania nazista voleva appropriarsi, non esisteva più. Come scrive Laura Laurenzi nel suo bel libro Lo sguardo dentro una cornice, al suo posto scintillava una donna carica di stile, carisma e sofisticata femminilità. Più magra, con abiti modellati sui costumi di Travis Banton, zigomi scolpiti e una luce nuova sul viso che invitava al peccato, Marlene brillava come un’icona del cinema mondiale.
Azionando la mia macchina del tempo, l’ho immaginata seduta accanto a me, nel buio della sala del nuovo Palazzo del Cinema disegnato da Renzo Piano nella rinata Potsdamer Platz di Berlino Est, subito dopo la proiezione esclusiva della copia restaurata de L’angelo azzurro. Lei indossa gli stessi abiti del film: un gonnellino di raso argentato, gambe lunghe “scoperte” e avvolte da calze di seta nera profumate, come lei, di gelsomino. Sento il fruscio della seta mentre accavalla quelle gambe.»
«Le è piaciuto il mio film»? mi disse guardandomi e accendendo una sigaretta. Lo avevo già visto tante volte, risposi con la lingua impastata dall’emozione. Il restauro ci ha restituito un capolavoro che tutto il mondo conosce signora Dietrich.
Lo sa che il comune di Berlino le ha dedicato questa grande piazza davanti al palazzo del Cinema.
«Sono felice che la mia Lola viva ancora nella memoria degli appassionati di cinema, trasgressiva e moderna, incisiva testimone di un mondo che per fortuna non c’è più, come I miei ex connazionali Billy Wilder e Fritz Lang che in quegli anni terribili se non fossero fuggiti da Hitler non sarebbero sopravvissuti. Siamo grati agli Stati Uniti, negli anni trenta non era facile, poi nel ‘39 grazie al successo dei miei film scelsi e ottenni la cittadinanza americana, riuscendo a organizzare aiuti anche economici per far fuggire da quell’inferno tanti ebrei disperati e dissidenti.
Lei signora Dietrich nel 1947 ha ricevuto in America, prima donna nella storia, la Medal of Freedom e il governo francese nel 1946 le attribuì la Legion d’onore.
Si, quando tornai dopo la guerra in Germania a Berlino ci fu qualcuno che mi chiamò traditrice, ma Willy Brandt il Cancelliere della nuova Germania mi ricevette di persona e pronunciò un discorso che esaltava la Lilli Marleene che andava durante la guerra sui fronti di guerra fra i marines a cantare per i soldati delle democrazie occidentali. Sono stata anche in Italia ad Anzio e poi mi sono innamorata di Amalfi, Positano e Ravello e ho capito dopo averla ammirata perché la mia antagonista e amica Greta Garbo abitasse durante l’estate nella bellissima villa del comune amico Gore Vidal.
La sua unica figlia signora Dietrich, Maria Riva in un suo libro l’ha definita l’angelo azzurro dai mille amanti, succube dei demoni dell’alcolismo.
Vede, se è per questo, dimentica di dire che non ho mai fatto una fila in aeroporto e non mi hanno mai controllato il passaporto grazie al mio cinema. Pochi compresa mia figlia e i tanti amanti che ho avuto, conoscevano le mie paure come quella di ridiventare povera e perdere la mia indipendenza. Ero terrorizzata dai germi. Tutte le volte che entravo in una camera d’albergo con o senza amanti, passavo al setaccio il bagno disinfettando tutto con detergenti e antisettico, anche se si trattava dell’hotel Ritz. In quanto a mia figlia, come tante attrici che si sono fatte da sole ho dovuto lottare anche dopo il successo, con Maria sin dall’adolescenza ho sempre avuto un rapporto conflittuale. Lei non mi perdonava di essere stata testimone della mia incosciente giovinezza e se vuole forse anche delle mie follie, ma erano altri tempi e alla fine anche quelle, quando non ci sarò più, potranno essere fonte di guadagno.
È vero quello che scrivevano le pettegole di Hollywood che per avere un aspetto più sensuale e tenebroso, gli zigomi appuntiti e un viso più scavato si fece estrarre come Joan Crawford i denti molari per enfatizzare le cavità delle guance.
Non so cosa facesse la Crawford, io usavo l’effetto countouring sfumando con una terra abbronzante il solco sotto lo zigomo. É vero però che a Hollywood in quegli anni trenta sono senz’altro stata la prima fra le attrici a ricorrere al nastro chirurgico per tirare la pelle intorno al viso e non è vero invece che usassi una costosissima polvere d’oro per far sembrare i miei capelli più irresistibili.
Lo scrittore e futuro premio Nobel Ernest Hemingway follemente innamorato di lei, era anche spudoratamente geloso?
Vede, gli uomini lo sono sempre e anche le donne. Ernest in una intervista quando finì la nostra storia disse una cosa carina: «Se Marlene non avesse altro che quella voce rauca e inquietante, basterebbe solo quella a far strage di cuori ma ha anche un corpo stupendo e il volto di una bellezza senza tempo». Invece Jean Cocteau una volta a colazione da Lipp nel quartiere Saint Germaine a Parigi mi disse: «Marlene, la tua voce, i tuoi sguardi sono quelli di una maga incantatrice, ma le maghe sono pericolose, quasi sempre nefaste per gli uomini che cadono nella rete dei loro incantesimi. Tu, invece, rappresenti e dai gioia, gioia di vivere e di amare». In quel periodo ebbi il coraggio di dichiararmi bisessuale e che mi piacevano Greta Garbo ed Edith Piaf, ora lo chiamate outing, ma mi piacevano anche Sinatra, John Wayne, Kirk Douglas ed Erroll Flynn,
Forse signora Dietrich il più innamorato, fedele e discreto pronto a mettersi da parte per non intralciare i suoi capricci fu proprio il suo scopritore il regista Joseph Von Stenberg?
Con lui dopo il successo de L’angelo azzurro, ho girato fra gli altri Marocco dove in una scena baciavo sulla bocca un’attrice. La critica scrisse che quello fu il primo bacio lesbico della storia del cinema e Giorgio Armani disse che sono stata anche la prima donna dello schermo che potevo indossare lo smoking o la giacca tailleur con pantaloni lunghi. A qualunque donna piacerebbe essere sobria, innamorata e fedele, il difficile secondo me è trovare un uomo a cui esserlo, ma in fondo resta un privilegio femminile essere anche un po’ insensata. Fra i miei uomini il più intelligente e stato lo scrittore Erich Maria Remarque anche se era pure lui geloso.
Ma di chi signora Dietrich?
Ma di Jean Gabin, ça va san dire. L’amour… c’est toujour l’amour.
Il suo ultimo film risale al 1979 con Gigolo diretto da David Hemmings accanto a Kim Novak e David Bowie, poi un paio di documentari uno dei quali realizzato dal nipote J. David Riva figlio di Maria, dal titolo Marlene Dietrich – Her own songs, omaggio all’impegno civile contro il nazismo e al sostegno nei confronti delle truppe alleate durante la Seconda Guerra Mondiale.
Per chiudere questa intervista che cosa consiglierebbe oggi a una giovane attrice?
Cercate di essere ottimiste, c’è sempre tempo per mettersi a piangere. Non sprecate i baci, ma non contatemi. E ricordate il bene più prezioso di una donna è il campo magnetico nel quale inevitabilmente l’uomo viene attratto.
Quando la proiezione terminò, si accesero le luci di servizio e la sala mi apparve improvvisamente deserta. Non c’era più nessuno, neanche Marlene: restava solo un lieve e delicato profumo di gelsomino sospeso nell’aria.




