La voce di un mito: musica, amore e coraggio nella Parigi del sogno
Il suo vero nome era Freda Joséphine Baker, nata McDonald a Saint Louis, nel sud del Missouri, il 3 giugno 1906, di origini creole afroamericane e amerinde degli Appalachi. Joséphine Baker fu la prima celebrità nera a conquistare il pubblico di Broadway e, poco dopo, le Folies Bergère di Parigi, che se ne innamorarono e la adottarono come icona.
La sua bellezza conturbante e il suo talento straordinario la trasformarono in un mito, incarnando il fascino e la modernità dell’inizio del Novecento. La mia intervista “impossibile” nacque dalla fantasia, ispirata dalla visione di Midnight in Parisdi Woody Allen, dove un giovane scrittore americano incontra, ogni notte, come in un sogno nella Parigi della Belle Époque, figure indelebili come Scott Fitzgerald e Picasso.
Intervistare quella che i giornali dell’epoca chiamarono la “Venere d’ebano” – Joséphine Baker, americana di colore naturalizzata francese – significava confrontarsi con una donna che aveva scelto di voltare le spalle a un’America razzista, che le tributava successo ma la rifiutava nei ristoranti e negli alberghi riservati ai bianchi. Sostenitrice della lotta per l’uguaglianza di Martin Luther King, Joséphine sfidava le convenzioni e si imponeva con forza e stile.
La immaginai nel suo camerino, subito dopo lo spettacolo al Boxer Washington Theatre, riservato a un pubblico interamente nero. Con il suo iconico gonnellino di banane, gli occhi grandi e orientaleggianti, i capelli neri a caschetto, i movimenti felini e la voce sensuale, incarnava tutta la magia, l’audacia e il carisma di una leggenda vivente.
É dal palcoscenico fumoso di questo teatro che cominciò la sua straordinaria carriera.
«Si – mi rispose sorridendomi, che sembrava un invito a ballare. – É qui che ho potuto esprimere per la prima volta il mio amore per il ballo e intanto avevo iniziato a ballare nei piccoli teatri di Saint Louis. Avevo solo 16 anni quando riuscii a debuttare a Broadway in una grandiosa rivista. Il debutto a Parigi avvenne nel 1925 con lo spettacolo Revue nègre al teatro degli Champs Elysée (oggi Lido). I critici dell’epoca, scrissero che ero riuscita a unire il gusto piccante e ricercato del varietà francese al folklore della musica africana, cantando quasi nuda solo con questo gonnellino di banane Yes, We have no bananas!. Quel costume che segnò il mio successo lo disegnò per me Paul Seltenhammer, un famoso costumista parigino che sognava le trasgressioni suggerite dal Can-can del Mouline Rouge, quando da Cuba arrivava il charleston che avrebbe rivoluzionato il modo di ballare».
Si dice che lei Josèphine, abbia collezionato l’amore e la passione di oltre 1500 uomini.
“Se per questo caso signore, uno si uccise proprio davanti ai miei piedi e tanti altri si batterono in rocamboleschi duelli a quel tempo severamente vietati”.
Si dice che uno dei suoi amanti sia stato lo scritto George Simenon…
Sorride maliziosa, aspirando una Royale da un lungo bocchino di madreperla.
«In quel periodo si dichiaravano tutti perdutamente innamorati, anche il giovane Hemingway, perfino l’immenso Cocteau e Il vostro Luigi Pirandello dopo una cena a lume di candela, voleva dedicarmi una sua commedia».
Il successo di Joséphine Baker in America e poi a Parigi in Francia e in Europa, fu travolgente, “l’idolo di bronzo” superava in popolarità anche la celebre soubrette Mistinguett. In effetti non aveva rivali: sensuale, nera, corpo statuario, gambe da urlo, voce fantastica, per la debuttante industria discografica divenne subito un business ma era anche irresistibilmente comica e bisessuale. Si dice che fra i suoi amanti ci fosse anche la celebre Colette, anti razzista e femminista come lei. Fu così che all’apice della sua carriera, il governo francese durante la seconda guerra mondiale per contrastare il nazismo, la volle tra le fila dei suoi migliori agenti segreti.
«Ho avuto solo due grandi amori: I miei 16 figli, tutti adottati che fanno parte della mia vita, un colorato arcobaleno e la mia Francia. L’ho cantato anche in una mia canzone che ha fatto il giro del mondo, la seducente J’ai deux amours, composta per me dal grande compositore Vincent Scotto».
Qualche tempo dopo si è anche innamorata di un grande cantautore italiano come Tony Renis.
«Si, il grande Tony aveva composto Quando, quando, quando, una canzone fantastica che secondo me continuerà a rimanere estremamente popolare».
Madame Baker, tutti conoscono l’artista, l’icona di palco e di libertà. Ma come è iniziata la sua avventura nei servizi segreti francesi durante l’occupazione nazista?
Per rispondere alla sua domanda sulla mia partecipazione ai servizi segreti In Francia, sono stata anche grande amica del capo del contro-spionaggio Jacques Abtej. Mi sono arruolata nel 1940 durante l’occupazione nazista nei servizi segreti della Francia libera e il mio ufficiale di collegamento fu proprio lui. Alla fine della guerra fui nominata capitano e decorata con la Legione d’Onore dal Generale Charles De Gaulle.
Una sua grande amica fu la Principessa Grace Kelly di Monaco?
“Si è stata lei che anni dopo mi ha aiutato a sopravvivere in un periodo economicamente difficile della mia vita. Fu Grace Kelly che mi aiutò facendomi esibire con uno spettacolo per la Croce Rossa nel Principato di Montecarlo. Grazie a lei, ho ripreso a lavorare e ho potuto acquistare poi una bella casa in Costa Azzurra.”
E fu in quella casa che Joséphine visse fino alla fine dei suoi giorni, l’11 aprile 1975. Dopo la sua scomparsa, Parigi le tributò un funerale di Stato, con gli onori militari e una folla immensa a renderle omaggio. Poi le sue spoglie furono sepolte nel cimitero di Montecarlo, a suggellare il riposo di una vita straordinaria.
Lo sa, le dico, mentre il fumo della sua lunga sigaretta profumata di Chanel aleggia intorno a noi, che alla fine dello scorso anno il Presidente Macron l’ha finalmente accolta nel monumentale Pantheon di Parigi? Con la motivazione: “Una vita trascorsa nel segno della libertà e della giustizia”. Così, cara signora Baker, lei diventa la prima artista nera a riposare all’interno di questo tempio repubblicano, accanto a figure leggendarie come Victor Hugo, Émile Zola, e donne straordinarie come Marie Curie e Simone Veil.
Mi guardò dritto negli occhi con quel sorriso enigmatico, tipico di chi finge di non capire o di non voler capire, mentre io tentavo di parlarle in un francese ostentato e scolastico. Poi, accavallando le sue gambe di ebano e mandandomi in faccia una boccata del fumo che profumava di Chanel, mi liquidò con elegante fermezza, come fece un’altra donna straordinaria, Jeanne Moreau, che avevo intervistato a Berlino per i suoi ottant’anni: «La fraternité universelle n’est pas une utopie, mon ami. L’amour, c’est toujours l’amour».




