“Le eccentricità di un usignolo” al Festival di Napoli

Le pose, i costumi, la riverenza di un interno ove pochi oggetti si fanno suggeritori d’un convivio borghese, di un’ilarità presunta, celebrata.

In scena ieri al Palazzo Reale di Napoli, Le eccentricità di un usignolo (“The eccentricities of a nightingale”) riscrittura di Estate e Fumo di Tennesse Williams, da lui scritto e oggi riproposto per la regia di Sarah Biacchi. La traduzione è a cura di Masolino D’Amico.

Abbandona il colloquio ogni coralità apparente quando ognuno fra gli insoliti personaggi sembra dar voce alla propria stranezza, al proprio soggettivo statuto, colorito a tratti da un interiorità strabordante.

Se il vecchio pastore (Paolo Perinelli) si rifugia in pochi saggi interventi di circostanza, le due donne son di certo espressione di una diversità accecante: l’una tanto frivola quanto compìta (Alessandra Frabetti), l’altra madre stralunata e vagheggiante (Paila Pavese); è lì Alma (Sarah Biacchi) l’elemento senza dubbio perturbante: su movenze esacerbate impugna un ventaglio, ride altisonante, gesticola e discorre senza interruzioni.

E’ una piccola cittadina di provincia a farsi luogo per una commedia drammatica che nel senso di inadeguatezza, nella sterilità delle buone maniere, nella grave zavorra della libera espressione, elegge il suo fil rouge: costretta a divincolarsi fra sguardi rigorosi quanto giudicanti, la protagonista sembra costretta ad attuare uno snaturamento progressivo, teso a placare, ingabbiare, ridurre gli effetti della sua aura eccentrica.

Ride sguaiata, parla chiassosa, canta fino a raggiungere lo stridore delle note e delle orecchie; non curandosi dell’ambiente che le si oppone la giovane insegnante di canto cede all’infatuazione ossessiva per John, giovane rampollo (Riccardo Eggshell), ne raccoglie le lusinghe, cieca di fronte all’impossibilità sociale dei suoi desideri.

Si presenta come trittico dinamico la scena familiare, ne è perno la ragazza che forsennata, mescola il contenuto di una ciotola direzionando lo sguardo oltre la finestra innevata proiettata sul fondale: “La neve mi fa venire in mente un vecchio adagio” – sorride, distolta soltanto dal brusco intervento del padre.

Alma è stravagante, si perde in manierismi artificiosi, mai si sorveglia nelle sue esternazioni: al rammarico si sovrappone il cinismo, quello forse di uno sguardo autoriale conscio dell’impossibilità di essere stravaganti e felici allo stesso tempo, di un occhio registico in grado di dare spazio e forma a tale contraddizione.

Intervallato da assoli cantati, articolatosi sulla scelta di scene proiettate sulla parete di fondo scena, il dramma procede reiterando quadri domestici volti ad evidenziare il sostrato di innaturalezza che minaccioso li abita.

Distaccandosi dalla commedia romantica, da quella sociale o di costume, la pièce scorre e si evolve nella vivida espressione dei suoi interpreti: ognuno di essi appare irriducibile, necessario per la costruzione di un’armonia scenica basata sulla complementarietà dei caratteri, sul sapiente accostamento di gestualità tra loro diverse.

Laddove l’immaginifica pantomima della Signora Winemiller (Paila Pavese) va ad evocare la componente nostalgica che è espressione della sua follia, il voluto rigore della Signora Buchanan (Alessandra Frabetti) ne rappresenta l’indispensabile elemento di contrasto, l’autorità del Reverendo (Paolo Perinelli) la componente complementare.

E’ invece nel vertiginoso dialogo tra i due giovani (Sarah Biacchi, Riccardo Eggshell) che con estrema naturalezza va ad imprimersi una capacità attoriale tale da interiorizzare i significativi segmenti propri del personaggio per poi declinarli nelle loro sfumature espressive.

Sono cieca, ho la neve sulle ciglia” – schiacciata da un rigore sociale che nulla lascia trapelare, la protagonista, adiuvata dalle luci di Francesco Barbera, dalle musiche originali di Mimosa Campironi, dalla scenografia di Andrea Ceriani, sembra gradualmente perdere il suo senno subendo il contraccolpo feroce della sua inidoneità.