Al Teatro Argentina è in scena una suggestiva versione di “Sei personaggi in cerca d’autore” di Pirandello, diretta e interpretata da Valerio Binasco.
È in scena al Teatro Argentina dal 19 al 30 marzo un classico intramontabile: Sei personaggi in cerca d’autore di Pirandello. Il fascino di quest’opera continua a ispirare registi e drammaturghi, portando di volta in volta a nuove versioni più o meno fedeli. Questa volta è il turno di Valerio Binasco che, oltre a curare regia e drammaturgia, interpreta il padre.

La trama è sempre la stessa: una compagnia di attori intenta nelle prove de Il giuoco delle parti di Pirandello viene interrotta dall’arrivo improvviso e inaspettato di sei personaggi alla ricerca disperata di un autore che rappresenti la loro tragica storia, che racconteranno lentamente e confusamente fino a un epilogo quanto mai drammatico.
Una rilettura questa di Binasco sostanzialmente fedele, che tuttavia inserisce interessanti sfumature grazie ad aggiunte e tagli, reinterpretando l’opera pirandelliana con una propria sensibilità. È stato infatti portato avanti un notevole lavoro di riscrittura.
Si inizia nel silenzio, con un inserviente che pulisce la sala della palestra di una scuola e l’arrivo del Direttore (un burbero Jurij Ferrini) con la sua amata musica classica. Poi la scena si popola di vita e del brulichio della gioventù, rappresentata da venti allievi della Scuola del Teatro Stabile di Torino. Dunque l’ambientazione non è più quella di una compagnia di attori professionisti ma le prove di una recita scolastica. Due degli studenti attori iniziano a provare il dramma pirandelliano. L’interprete di Silia fatica a trovare la verità del personaggio fino a quando le arrivano delle precise indicazioni da parte del direttore, indicazioni di cui va tenuto conto essendo questa una parte aggiunta da Binasco. Il suggerimento è quello di leggere il personaggio secondo la connessione odio-amore, dove l’uno rafforza l’altro e viceversa e allo stesso tempo immedesimarsi e sentire il desiderio di speranza del personaggio, intravedere una luce futura in cui credere e anelare. Di qui l’attrice si scioglie e dà una performance quanto mai sentita e vera, il suo dolore esplode, come un vulcano che erutta per il dolore di amare.
Dunque i personaggi pirandelliani dovrebbero essere letti in una chiave analoga, prima di tutto dilaniati dal conflitto “odio et amo” e allo stesso tempo illuminati da una vana speranza che dia senso al loro agitarsi, fosse anche la ricerca di un autore che sublimi la questa tragedia e dia senso ad essa, avvicinando inoltre la realtà del personaggio a quella dell’attore. Un ulteriore aggiunta nella fase iniziale della messa in scena è quella della riflessione sulla condizione della drammaturgia attuale: il direttore, autoritario e succube allo stesso tempo prima degli allievi e poi dei personaggi, condanna la mancanza di fantasia e grandezza dei drammaturghi contemporanei e asserisce che si è costretti a ricercare il contemporaneo nei classici. Questo può bastare alla gioventù? Essa si sente veramente rappresentata? Forse sì a giudicare dalla reazione finale dei giovani attori al dramma dei sei personaggi. Se infatti nell’originale pirandelliano si conclude nella totale freddezza e con un ritorno repentino alla normalità, in questa versione di Valerio Binasco la musica è diversa: una totale empatia accomuna tutti coloro che sono sul palco, il finale mantiene il pathos della tragedia e tutti guardano sconvolti il pubblico. Il ritorno alla normalità non è più possibile dopo aver sperimentato questo atroce baratro. Rimane solo il silenzio.
Un’ulteriore conferma del legame che si instaura tra personaggi e giovani attori è data dalla questione del numero dei personaggi stessi. A entrare in scena sono solo quattro, gli altri due, ovvero i bambini silenziosi che non dicono una sola parola, sono invisibili inizialmente e a dargli corpo sono proprio due attori della compagnia. Non recitano semplicemente, diventano quei personaggi, come se il personaggio fosse una forza invisibile talmente potente e concreta da poter impadronirsi di persone che nella finzione pirandelliana sono reali.
Il padre, la figliastra, il figlio e la madre. Loro sono i quattro personaggi principali, quelli che avranno il compito di raccontare il dramma che è stato scritto per loro. Madre e figlio sono ritrosi nel farlo, mentre la figliastra e il padre raccontano tutto di buon grado, seppur confusamente. Sono vestiti in stile anni ‘20, a lutto ma estremamente eleganti e alla moda, distinguendosi prepotentemente dall’ambiente moderno e sportivo in cui si trovano.
Il padre, interpretato appunto da Valerio Binasco, è timido e cortese nei modi, ma determinato a dare concretezza e realtà alla propria condizione di personaggio. È lui che si fa portavoce infatti dell’essenza della condizione di personaggio, reale quanto quella umana, ma eterna. Se gli esseri umani muoiono, i personaggi sono intrappolati invece nell’attimo eterno. Quella che per gli attori è un’illusione, un gioco, per loro è la realtà più concreta che vi possa essere. Non è però esattamente un abile oratore dalla sicurezza impavida e il fascino ineccepibile. Infatti è tormentato dal rimorso e dalla vergogna, esita nel tono e incespica nelle parole in questa versione di Binasco che lo ritrae in tutta la sua fragilità. Risalta il suo voler apparire come una brava persona e la delicata gentilezza con cui è rappresentato riesce a farlo sembrare per poco tale. Tuttavia con i familiari, in particolare la moglie, in alcuni momenti esplode di rabbia e lascia suo malgrado intravedere la propria ambiguità morale, quella di cui parla la figliastra, quella di cui è accusato. Si giustifica, non ammettere le proprie colpe e usa bene le parole, ma la voce è tremante e titubante, evoca un sentimento di vergogna e malessere di un uomo che non vuole essere incatenato a un’unica identità, quella del perverso e del crudele.
La figlia, interpretata da Giordana Faggiano, ha un atteggiamento trasgressivo e ribelle. È sguaiata, eccessiva e continuamente si sganascia dalle risate per le ipocrisie dei parenti. Il suo è un modo di fare aggressivo e vendicativo, derivato da un dolore fanciullesco. La sua risata al limite del malefico vibra per tutto il teatro. Un’interpretazione basata appunto sull’eccesso e sul “troppo”.
La madre (Sara Bertelà) è chiusa nel proprio dolore. La sua voce è timida e delicata, la voce di una donna che vive passivamente quanto le succede. Prova in tutti i modi a fuggire dalla propria storia ma non le è possibile. Cerca contatto, soprattutto con il figlio, che puntualmente glielo nega. Invece tiene attaccati a sé i due bambini silenziosi, per sentirli ancora vicini e consolarli. Alle volte però tenta di imporsi sulla scena per ribadire la verità dei fatti e il suo tono diventa più forte e determinato. Un segno di vicinanza e comprensione lo riceve proprio dall’attrice che la interpreta nella finzione scenica: questa le prende la mano con dolcezza, come a sussurrarle che è pronta per interpretare la sua storia con dedizione e accortezza. Non che sia davvero possibile nell’ottica generale del dramma, perché gli attori, pur tentando, cadono nel vizio di personalizzare il proprio personaggio e diversamente non potrebbe essere. Tuttavia Binasco sembra volerci dire che, nonostante le differenze tra la realtà dei personaggi e la finzione della rappresentazione, si può arrivare a una profonda comunione di intenti attraverso il sentimento di empatia e condivisione. Questo forse non significherà mai una totale congruenza, ma di certo restituirà un’opera artistica sincera e basata sulla realtà dei sentimenti.
Giovanni Drago è il figlio. Cupo e rigido, gelido e apparentemente indifferente. Il suo apparire è spettrale ed emana un dolore compresso, serrato. Si percepisce tutto il suo sdegno per i familiari. Rifugge abbracci e affetto, scappa dalla rappresentazione del proprio vissuto, ma come alla madre neanche a lui è permesso evadere da tutto ciò. Intrappolato nel proprio destino, è tremante nei gesti e introverso nel comportamento, al punto da sembrare quasi autistico, finché nel finale non esplode in un dolore straziante e in un colpo di scena devastante.

Un cambio nelle dinamiche finali contraddistingue la narrazione e va ribadito che di tanto clamore, di tanta voracità verbale rimane solo il silenzio e lo sgomento, quel silenzio dei due bambini, vittime principali della tragedia, in cui annega chiunque abbia preso parte a questo gioco delle parti e dell’attimo eterno.
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Sei personaggi in cerca d’autore di Luigi Pirandello – regia Valerio Binasco – con (in o.a.) Sara Bertelà, Valerio Binasco, Giovanni Drago, Giordana Faggiano, Jurij Ferrini e con Alessandro Ambrosi, Cecilia Bramati, Ilaria Campani, Maria Teresa Castello, Alice Fazzi, Samuele Finocchiaro, Christian Gaglione, Sara Gedeone, Francesco Halupca, Martina Montini, Greta Petronillo, Andrea Tartaglia, Maria Trenta – scene Guido Fiorato – costumi Alessio Rosati – luci Alessandro Verazzi – musiche Paolo Spaccamonti – suono Filippo Conti – aiuto regia Giulia Odetto – assistente regia e drammaturgia Micol Jalla – assistente scene Anna Varaldo – assistente luci Giuliano Almerighi – foto Virginia Mingolla – produzione Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale – Teatro Argentina di Roma dal 19 al 30 marzo 2025