I retaggi di Pippo sulla mafia siciliana: l’immoralità immortale e un avvenire da preservare, prendendo le mosse dal teatro.
Siamo appena atterrati al dodicesimo dei mesi e i palcoscenici etnei si apprestano ad accogliere il nuovo anno, annunciando e, in qualche caso, inaugurando nuove e ulteriori programmazioni, da quelle più leggere a quelle più austere, dalle comode e rassicuranti alle incomode e incendianti. Urticanti e indisponenti nella trattazione del male, soprattutto se questo male si chiama “mafia”. L’inafferrabile e immonda mafia, quella che troviamo alla sommità di tutti i discorsi proferiti da Giuseppe Fava, la stessa che il 5 gennaio 1984 lo ha barbaramente assassinato. E nel 1984 il peggio non era ancora arrivato. La sequela di chi, da lì a poco, avrebbe fatto la stessa fine non era ancora iniziata.

I discorsi di Pippo, questo l’appellativo di un uomo dagli infiniti sermoni e allocuzioni, orazioni e dissertazioni, dalla drammaturgia all’informazione giornalistica. I discorsi di un “gladiatore” dalle parole accanitamente ispide e corrosive, ad ogni incontro e in ogni circostanza. E quelle parole, Le parole di Pippo, rinnovate al presente e in rappresentazione, non sono andate perdute. Ad avvalersi di esse Angelo D’Agosta e Orazio Torrisi, depositari della missione di introdurre lo scorso 3 dicembre, più una replica il giorno successivo, la rassegna che animerà il Piccolo Teatro della Città nei mesi di aprile e maggio 2026: il teatro cosiddetto “civile”, il teatro rivelatore di giustezza e annunciatore di rettitudine, divulgatore di probità e denunciatore del suo contrario. E il contrario della giustezza, della rettitudine e della probità in Sicilia, nella Terra di arte e di luce, si chiama “mafia”.
La mafia di ieri e quella corrente, la mafia imperante che uccide manifestamente e quella che oggi è così scaltra da mimetizzarsi: una piovra multiforme e millenaria, un vampiro evoluto accovacciato in ogni dove, ancora e furtivamente. E se c’è chi l’ha sempre incoraggiata e difesa, spalleggiando e accondiscendendo; c’è chi non ha mai parteggiato, combattendo. Combattendo come Pippo. Insorgendo come colui che si è fatto promotore di una guerra di parole contro la guerra della paura. La guerra delle armi e di sostanze stupefacenti, la guerra di intimidazioni e avvertimenti ai disobbedienti.
E Pippo aveva scelto di combattere per disobbedire. Di combattere per disapprovare. Investigando e spifferando: di malviventi e malfattori, favoreggiamenti e clientelismo, di affari pubblici, amministrazioni e schieramenti, di istituzioni e istituti di credito, unte e bisunte finanze, investimenti e assoggettamenti, e omertà come se piovesse. E Pippo integerrimo e inattaccabile, inossidabile e irreprensibile, incorrotto fra i corrotti. Incorrotto e incorruttibile. E quindi da sopprimere, e così è stato.
Non è stato lo stesso, invece, per le sue favelle senza mezzi termini e senza utopie che vagliate e condensate in capsule, rimbalzano, insopprimibili, da un attore all’altro, da D’Agosta a Torrisi, da Torrisi a D’Agosta, distintamente. Gli attori, che sono anche autori, se ne impadroniscono in modo semplice ma non semplicistico, comprendendo, per primi loro, infatti, che le riflessioni di Pippo possiedono, tuttora, un rilievo tale da meritare un’estensione maggiore della sola e restrittiva lettura teatrale, alla quale inizialmente le avevano destinate. Da qui l’intuizione di portarle al Piccolo Teatro secondo una nuova metamorfosi: un testo scenico e performativo vero e proprio, narrativo e mimico, ancora un po’ lacunoso ed embrionale, a tratti incompiuto e frammentario ma di grande efficacia e fondatezza.
Una potenza in divenire di un prodotto non finito, uno spettacolo attualmente in fase di realizzazione, con un’imbastitura scenografica e sonora che già da adesso non lascia dubbi. Sul piano dell’allestimento, lo spazio in fondo al palcoscenico, in primo luogo, viene attrezzato per convertirsi in stenditoio, vale a dire in uno di quegli ambienti collettivi dove si adagiano gli indumenti perchè asciughino. Ma qui non ci sono indumenti da asciugare; a sostituirli grafemi, singole lettere, costellazioni vaganti di segni alfabetici, dapprima criptici e sospesi e, successivamente, leggibili e significanti. Sono diramazioni di Pippo che in scena respirano, ed enunciano e adducono, esprimono e dicono: addottrinano. Sono lì per interrogare e convocare, dai più adulti ai più giovani, nell’ardire di resistere, l’ardimento di avversare e la prodezza di ribellarsi e boicottare. A che serve esistere senza il coraggio di lottare?
La medesima forza la ritroviamo, in secondo luogo, anche in uno scrittoio, anzi due: due piccole scrivanie poste, insieme a dei fogli, alle estremità della scena e adibite a sorreggere l’antiquariato di una coppia di macchine da scrivere, la cui antichità non impedisce loro di racchiudere un messaggio “moderno”: dissentire contro la disonestà mafiosa, contestarla e ostacolarla, contraddirla e rifiutarla.
Un appello la cui profondità si lascia piacevolmente incorniciare, attraversandola, dalle sonorità inconfondibili di Franco Battiato: gli accenni di misticismo e classicismo e quelli elettronici e futuristi. Che sia il Battiato robotico o quello contemplativo e ascetico, anche lui come Fava sapeva bene esercitare l’arte del filosofare: di riflettere ed elucubrare, entrambi a vantaggio della trasparenza e della consapevolezza, dell’autenticità e della responsabilità.

La coabitazione di Franco e Pippo, seppure all’apparenza dissonante, al contrario è corroborante allo spettacolo: d’altronde, possiamo reputarli unanimemente due osservatori siciliani, che dall’inchiesta alla musica, hanno condiviso l’eclettismo e l’intellettualismo, l’intensità culturale della significazione e l’attitudine a stendere parole, oltre la superficie. Quelle parole oggi ci servono ancora, perchè è di là dalla sudicia superficie dell’iniquità che si scopre un’inestimabile incanto da conservare, praticando integrità. L’incanto di un’isola battezzata Sicilia: un diamante da tutelare dal cielo fino al mare. E tocca a voi scegliere come operare.
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Le parole di Pippo – Liberamente ispirato alle interviste a Giuseppe Fava – Adattamento: Angelo D’Agosta – Regia e interpretazione: Orazio Torrisi, Angelo D’Agosta – Produzione: Associazione Città Teatro – Foto: Dino Stornello – Catania, Piccolo Teatro della Città (3-4 dicembre 2025)




