Al Teatro Ghione di Roma Antonello Avallone si fa protagonista di una commedia venata di drammaticità, che tratta temi scomodi e non teme la censura
La storia di Lenny Bruce inizia dalla fine. Il protagonista viene presentato dalla sua stessa voce, mentre giace cadavere al centro della scena. Comincia così Lenny – ipotesi di un omicidio, spettacolo con testo di Giuseppe Pavia con cui la Compagnia delle Arti ha calcato il palco del Teatro Ghione per due sere consecutive, 8 e 9 ottobre. Uno spettacolo potente, scomodo e necessario. Il racconto della vita di Lenny Bruce, icona della comicità americana e simbolo della libertà di espressione, prende forma sul palco in equilibrio tra cinismo e delicatezza, umorismo corrosivo e dramma umano.

Il 3 agosto 1966, come si accennava, Lenny giace a terra morto per overdose. Da quel momento inizia un lungo flashback che ricostruisce la sua parabola artistica e personale con ritmo incalzante e viscerale. La regia guida lo spettatore in un viaggio senza sconti nell’epoca d’oro del varietà – e dei suoi lati oscuri, attraversando gli anni ’50 e ’60 tra luci accecanti di locali notturni e camerini impregnati di fumo e disperazione. Tuttavia, l’atmosfera riesce a conservare una patina di charme, un fascino ovattato e conturbante, che le interazioni tra i personaggi, anche quando più aspre, non scalfiscono mai del tutto. Qualcuno potrebbe vederlo come un difetto, una corrispondenza mai raggiunta tra l’estetica patinata e sfavillante di un secondo dopoguerra fatto di lusso, croonerismo ed eleganza, e i temi crudi di una scottante attualità che non piò essere raccontata con le mezze parole. Eppure la forza di Lenny sta proprio nel mantenere costante questa ambiguità confortevole, mettendo gradualmente a nudo i costumi privati di allora, che in molti casi sono pure quelli di oggi.
La sceneggiatura, infatti, è tagliente, viva, brutale. Non si limita a raccontare la biografia di un uomo, ma mette in scena il conflitto eterno tra arte e censura, tra verità e moralismo, tra uomo e società. Lenny Bruce non viene mai santificato: viene mostrato nella sua interezza – geniale, autodistruttivo, visionario, fallibile. L’amore tormentato con Honey Harlow, i tradimenti, le dipendenze, il peso dei continui arresti per oltraggio alla morale, l’ipocrisia e la corruzione delle autorità, tutto viene portato in scena con crudo realismo e un pizzico di dolente ironia. La comicità, fulcro della carriera di Bruce, è ben rappresentata attraverso monologhi tratti dai suoi show originali, capaci ancora oggi di far ridere e riflettere, dimostrando una forza comunicativa intatta. Ma è nei momenti di solitudine, dietro le quinte e nei camerini, che emerge tutta la fragilità di un uomo troppo avanti per il suo tempo.
Lo spettacolo è reso ancora più incisivo da una scenografia efficace: un gioco sapiente di luci e proiezioni trasforma il palco in una New York claustrofobica e contraddittoria, madre e carnefice del suo figlio più scomodo. Una prova attoriale dignitosa per il cast, con i personaggi secondari che rimangono volutamente un passo indietro rispetto al protagonista, permettendo a quest’ultimo di emergere in tutto il suo carisma. Un plauso va ad Antonello Avallone, capace di incarnare Lenny con autenticità brutale: il corpo che si contorce, la voce che si spezza, lo sguardo sempre in bilico tra provocazione e lacerazione. Intensa anche l’interpretazione di Giulia di Quilio, forte di un’esperienza maturata sia nel teatro che nell’arte del burlesque, background evidente nella scioltezza di esecuzione delle coreografie che intervallano gli sketch del comico. Ugualmente efficace il commento musicale della cantante Flaminia Fegarotti, che si dimostra versatile a scandire il cambio di epoca in parallelo ai fatti narrati, passando dal più classico standard del jazz, Autumn leaves, all’inno sixties This boots are made for walking di Nancy Sinatra, fino ad arrivare a Bob Dylan con la sua epocale Blowing in the wind.

Lenny – ipotesi di un omicidio è un atto d’amore verso chi ha avuto il coraggio di sfidare l’ipocrisia del suo tempo con la sola arma della parola. Lenny Bruce, figura mitica dello spettacolo del secondo Novecento, avrebbe catturato l’attenzione del pubblico anche dopo la sua morte, grazie al grande schermo: Bob Fosse volle nientemeno che Dustin Hoffman per il film biografico Lenny, candidato a 6 premi Oscar e vincitore della Palma d’Oro a Cannes per la migliore interpretazione femminile di Valerie Perrine nel ruolo di Honey. Era il 1974. In tempi più recenti, molti hanno definito Bruce il padre della stand-up comedy moderna, e probabilmente non a torto. Oggi questa figura, che ha continuato a ispirare ben oltre i suoi soli quarant’anni di vita vissuta, rivive sul palco, non solo come comico, ma come martire laico della libertà d’espressione. E noi spettatori non possiamo che uscirne più consapevoli, più inquieti e un po’ più liberi.
Dopo la prima nazionale al Ghione di Roma, le prossime date previste al momento sono dal 13 al 23 novembre a Ostia, Teatro Manfredi; inoltre, l’anno prossimo a Torino l’8, 9 e 10 maggio al Teatro Gioiello.
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Lenny – Ipotesi di un omicidio di Giuseppe Pavia – regia: Antonello Avallone – con (i.o.a. ) Antonello Avallone, Riccardo Bàrbera, Giulia Di Quilio, Giuseppe Renzo, Francesca Cati e Flaminia Fegarotti scene: Alessandro Chiti – costumi: Red Bodò – disegno luci: Manuel Molinu – produzione: Compagnia delle Arti – Roma – Teatro Ghione 9 ottobre 2025