La vedova e quel marito “troppo” sopra le righe!

Al Teatro Tor Bella Monaca “Nell’ardore della nostra camera” di Massimo Sgorbani, protagonista una Donatella Busini tutt’altro che rassegnata

Sul palco del Tor Bella Monaca una bara, quattro ceri e una sedia. Una donna che piange accanto al feretro di suo marito.

La vicenda diretta da Paolo Orlandelli inizia così, con queste premesse: il pubblico entra a sipario aperto su questa scena, protagonista involontario del luttuoso raccoglimento.

Un momento difficile per chiunque, accresciuto dalla “Traviata” di Giuseppe Verdi interpretata dall’indimenticata Maria Callas.

Davanti al feretro una donna e il ricordo di suo marito. L’ultimo addio alle spoglie mortali dopo il fatale giorno. Una scena commovente, una fotografia toccante.

In questa situazione nasce un dialogo crudo e schietto, frutto della sincerità – e ormai – della totale mancanza di peli sulla lingua, da parte di chi parla ad un morto.

Perché il morto, se si crede, forse ascolta ma sicuramente non risponde.

A poco a poco il pubblico apprende la vita dei due. Il matrimonio e più in generale le vicende di famiglia.

Il figlio maschio disprezzato fin da piccolo e per questo traumatizzato – il suo romanzo non l’ha ancora scritto – e la figlia femmina fin troppo amata.

Possiamo intendere il testo teatrale, in modo più generale e distaccato dai casi specifici, anche come una critica alla nostra società.

L’uomo nella bara potrebbe essere anche inteso come il simbolo della vacuità delle ambizioni odierne: il consumismo più sfrenato e l’attenzione nell’apparire.

Degna di nota è stata poi la riflessione sul culto del corpo. Tema delicatissimo che ben sintetizza quella riflessione che il monologo ha stimolato, come critica dei giorni d’oggi.

Nel testo si è infatti riflettuto molto su questo tema: osservando come in realtà la società (almeno quella teista) sia di fatto più interessata alla conservazione del corpo che alla vita eterna della sola anima.

Del resto, anche lo stesso cristianesimo promette, alla fine, la resurrezione della carne.

Il monologo era, come già detto, molto crudo, e potremmo aggiungere altri due aggettivi, come schietto e diretto.

In questa direzione, per dirne una, di grande effetto è stato il paragone fatto tra la sofferenza in croce di Cristo e l’esercizio sportivo per far crescere gli addominali.

Donatella Busini ha saputo brillantemente portare in scena il suo personaggio. Afflitto dal dolore fisico e affettivo. Una donna in lutto esile e tremolante, con la voce spezzata da una vita difficile. Un malessere tanto fisico quanto interiore.

Nella storia – improvvisamente – un colpo di scena ribalta la situazione. Ma di cosa si tratta?

Noi non saremo certo qui a svelarvi di cosa si tratti. Nell’ardore della nostra camera comunica emozioni e imprime nel cuore degli spettatori tutta la sua dirompente, dissacrante e liberatoria verità.

Nell’ardore della nostra camera di Massimo Sgorbani – Regia di Paolo Orlandelli – Con Donatella Busini – Scene Georgia De Conno – Costumi Patrizia Moretti – Ipazia Production – Foto Andrea D’Errico