Il gioco del teatro è talmente irrazionale che a volte succede anche che un monologo non somigli affatto a un monologo. Sarà per l’anomalo Spazio scenico, sarà per la poliedricità dell’interprete, sarà per la brillantezza del testo, o per la coinvolgente messinscena, ma risulta davvero difficile annoverare Come l’Australia sotto il genere monologante. Forse ha ragione Mina quando suppone che in Italia non ci siano più veri attori, anche se così non è.
Mina, diminutivo di Minerva, è il personaggio scritto, diretto e interpretato da Claudia Genolini, ma mentre la dea della giustizia è rappresentata, da qualche millennio, come una coraggiosa guerriera, con tanto di lancia e scudo, la nostra protagonista porta con sé soltanto una piccola timida valigetta, dentro la quale è stipata tutta la sua vita: da quando, bambina, s’incapriccia con il padre per marinare la scuola, fino a quando decide di andarsene all’altro mondo lasciando sul palcoscenico del mondo soltanto un mucchietto di ricordi che qualcuno forse raccoglierà. Li ha «rubati» per lei Claudia Genolini raggruppandoli cronologicamente, ma concentrandosi soprattutto sulla fascia d’età che va dai 18 ai 45 anni. Un’età che corrisponde, appunto, al nucleo di un’intera esistenza e che a questa dà valore e qualità, a seconda delle scelte che si fanno. A tal proposito non possiamo dimenticare l’altra Minerva, quella denominata anche Atena, o Pallade Atena, che fu la dea della saggezza. E infatti, la virtù che Mina assolutamente non conosce è proprio la saggezza. L’unica precauzione sensata che prende, in tutta la sua vita, è quella di evitare di rimangiare i pomodori al riso della mamma, una ricetta diabolica per l’acidità di stomaco, simbolo di un rapporto (madre-figlia) sul quale bisognerebbe indagare. Infatti ogni sua decisione da prendere e perseguire è sempre quella che porta al fallimento. Lo dice anche il sottotitolo in locandina: «storia universale di quelle persone che scelgono sempre la cosa sbagliata».
La storia di Mina scivola molto piacevolmente, facendosi largo in una assortita e gustosa selezione musicale, per circa ottanta minuti, durante i quali la bravissima interprete finge di indossare, di volta in volta, gli abiti (che costituiscono l’essenziale scenografia) che accompagnano la protagonista in una costante e progressiva disavventura. Una delle caratteristiche che accomuna queste persone, dedite a un soffuso autolesionismo, è la totale mancanza di un’adeguata comprensione con il proprio sentimento d’amore. Così Mina s’innamora prima di Matteo, un attore che un attimo dopo già la tradisce, poi di Pierpaolo, un surfista che forse – quizás quizás quizás – poteva essere quello giusto, poi sposa Giuseppe solo perché ha avuto la delicatezza di chiederle la mano, poi arriva Davide senza neanche un perché, mentre la vita di Mina si riempie di «quizás quizás quizás». Quella stessa monotona cantilena che la perseguita da quando era piccina.
Ma la forza di Mina (che poi è il fascino di questo personaggio ben riuscito) sta tutta nella sua dolcezza e nella sua vivacità, anche nei momenti più duri. Nonostante i giorni (e gli anni) passino inesorabilmente, e malgrado sembri che lei stia soltanto perdendo tempo, la speranza dell’amore non l’abbandona mai, cosicché nel momento in cui la vita le chiede quando, come e dove poter incontrare un attimo di felicità, lei sceglie il percorso più ardito: l’Australia, terra di ragni, canguri e coccodrilli.
Sarà la volta buona? Quizás quizás quizás!
____________________
Come l’Australia (o se preferite, storia universale di quelle persone che scelgono sempre la cosa sbagliata), scritto, diretto e interpretato da Claudia Genolini. Teatro Lo Spazio, fino al 27 gennaio