Togliatti riscritto da Moretti ci piace di più

«La storia non si fa con i se», ossia anteponendo condizioni ipotetiche alla cronaca dei fatti, ma non si fa nemmeno con le speranze, come invece è accaduto spesso nell’Italia del Dopoguerra, e non si fa neanche con le false illusioni come si tentò prima del Secondo conflitto. Nanni Moretti, però, sa bene che lui non è un professore e non sta scrivendo un libro di storia, ma sta girando un film, dove la sceneggiatura, non essendo un saggio di Hegel, ha il vantaggio di poter essere modificata in ogni momento, seguendo capricci e umori dell’autore. Soltanto con queste premesse, che un cineasta conosce molto bene, è possibile comprendere quanto sia lecito nell’arte cinematografica cambiare il corso della storia e illudersi di farla più bella, o forse migliore.

La storiaNell’ottobre del 1956, a seguito della rivolta in Ungheria che mirava a staccarsi dall’asfissiante controllo sovietico, oltre che liberarsi dalle catene della dittatura, truppe armate dell’Urss invasero la nazione fino a raggiungere Budapest (il 4 novembre). Morirono circa 3.000 persone. Le ripercussioni, così si disse, raggiunsero immediatamente la sede del Partito comunista italiano, guidato da Palmiro Togliatti, che ufficialmente non offrì mai il suo appoggio alle vittime, rimanendo sempre in bilico tra una caparbia incoscienza e un mutismo piuttosto ambiguo. Per lui parlava la prima pagina dell’Unità, il quotidiano fondato da Gramsci: i cui titoli spesso erano lunghi, tortuosi e complessi fino all’incomprensione. Soltanto con il tempo e con la pazienza degli storici si riuscì a scardinare la cortina che proteggeva i misteri del segretario del Pci, che non ha mai lasciato un memoriale; soltanto con le supposizioni di giornalisti emeriti si è giunti a capire che Togliatti fosse «un esecutore fedele degli ordini di Stalin» (Montanelli). Negli anni ’80 furono addirittura trovate le prove che documentavano la sollecitazione di Togliatti affinché l’Armata rossa invadesse l’Ungheria prima che il nuovo spirito ribelle si potesse dilagare ad ovest.

Barbora Bobulova e Silvio Orlando

Il film – Moretti interpreta un regista di cinema, che altri non è che se stesso, anche se si chiama Giovanni, in procinto di girare un film proprio sugli eventi che coinvolsero l’Italia comunista nell’ottobre del 1956. Nel film di Giovanni, il segretario della sezione Pci del Quarticciolo, una periferia romana, dove vengono ospitati i componenti (compresi gli animali) di un circo, è Ennio, un attento coordinatore del partito. Le notizie che giungono dall’Ungheria sono ogni giorno più raccapriccianti, e quando la moglie di Ennio chiede come comportarsi con i circensi, lui risponde che bisogna «aspettare di conoscere la posizione del Partito», cioè di Togliatti. Una frase che oggi ci lascia sgomenti e che dimostra quale afflato dittatoriale soffiava da sinistra anche nel nostro paese.

Ennio, rendendosi conto della viltà del suo stesso atteggiamento, viene preso da un gran senso di colpa e di tale impotenza che, al termine delle riprese, si sarebbe dovuto impiccare. Ma, quando anche il cappio è pronto, appeso al soffitto, e Giovanni sta lì spiegando la scena da girare, c’è un ripensamento improvviso: «No, questa scena non mi piace. Non la voglio fare», dice il regista. Moretti preferisce riscrivere il finale della sua sceneggiatura: non è possibile che quell’ideologia, figlia del pensiero marxista, che aveva regalato tante meravigliose speranze al popolo, abbia generato una pagina di storia tanto sporca. D’altronde il pensiero politico di Giovanni s’era capito bene sin dall’inizio: quando, di fronte a un manifesto con i faccioni di Lenin e Stalin, ha strappato il ritratto di Baffone. Fosse stato un set di qualche anno fa, probabilmente, avrebbe strappato anche Baffino!

Questo è, riassunto, il tema centrale del film, che è ben strutturato in ogni parte; anche tutti i personaggi che ruotano intorno a Giovanni e a Ennio (un Silvio Orlando sempre più consapevole delle proprie capacità di ottimo attore) sono ben approfonditi: da Margherita Buy, sempre al meglio della sua mestizia, a Barbora Bobulova, nel ruolo di una incantevole attrice «reazionaria» e intraprendente, fino a Mathieu Amalric, reprensibile produttore francese pieno di fantastici entusiasmi.

Nanni Moretti e Margherita Buy

Etica politica ed estetica cinematografica – La decisione che ha portato Giovanni a modificare il finale del suo film, e che quindi l’obbligava a riscrivere con l’immaginazione una vergognosa pagina della nostra storia contemporanea, deriva da un alto senso etico di Moretti, cittadino onesto, offeso nell’animo, quando ha dovuto prendere atto che la storia del Pci (da cui egli ha attinto i principi sociali della sua esistenza) non era proprio così come gliel’avevano raccontata. Questo senso etico di Giovanni regista, si riflette in un esemplare senso estetico quando si trova sul set di un altro film: un filmaccio qualunque, di quelli che oggi se ne girano tanti, dove si assistono a ripetute scene di insensata violenza, prive di ogni sensibilità artistica. Giovanni, irritato dallo scempio a cui assiste, ferma il ciak (è uno dei momenti più esilaranti del cinema di Nanni Moretti) e interviene a favore dei futuri spettatori, prendendo, paradossalmente, le difese della macchina da ripresa che, poverina, non può opporsi alla volontà del regista, ed è costretta quindi a filmare ogni scempiaggine che gli viene imposta. Chiama come sostenitori del buon gusto Renzo Piano e Corrado Augias che spiegano con logica ineccepibile i motivi per cui quella scena è un errore oltre ad essere un orrore. Ma non c’è niente da fare: anche lo spettacolo più brutto deve andare avanti, perché sicuramente su Netflix troverà opportuna stupidità per essere trasmesso in 190 paesi. Il senso estetico viene sconfitto sul set cinematografico (l’ossessiva critica ai sabot ne è l’ennesima prova) esattamente come il senso etico viene calpestato in politica.

Il titolo – Nella simbologia sovietica il sole dell’avvenire rappresenta la luce che irradia le speranze socialiste, speranze ormai giunte al tramonto. Nella locandina, infatti, il sole non sembra accecante e sotto non si ergono le mani del popolo, ma un solo omino, forse proprio Moretti, rassegnato a osservarne il declino, o in attesa di veder l’effetto della sua immaginaria visione. Il sol dell’avvenire è una summa, condita d’ironia, dei temi più cari all’autore: la politica, il comunismo soprattutto, la psicanalisi, l’amore per il cinema, e anche una certa autocelebrazione con una lunga passeggiata notturna in monopattino per Roma, così come una volta la attraversò in Vespa. Che la pellicola sia un omaggio a se stesso e alla sua filmografia, lo testimonia l’ultima scena partigiana, nella quale si vedono, durante una manifestazione ai Fori Imperiali a sostegno dell’Ungheria (del ’56), gli attori protagonisti dei film del passato: Anna Bonaiuto, Giulia Lazzarini, Renato Carpentieri, Lina Sastri, Dario Cantarelli, Elio De Capitani e altri. Non pervenuta, Laura Morante!

Conclusioni – Finora abbiamo parlato benissimo, senza torcere un capello né all’autore, né al regista: anzi, aggiungo volentieri che sono stati apprezzati anche gli omaggi ai grandi talenti del nostro cinema. Di Fellini, oltre a una breve sequenza presa dal finale de «La dolce vita» (che però è del 1960), c’è il circo in primo piano che ricorda «8 e mezzo». Di Visconti si riconoscono alcune severità educative che usava quand’era a lavoro sul set: «Rimaniamo concentrati», ripete infatti Giovanni che impone di rispettare la sceneggiatura senza improvvisazioni, non come faceva Cassavetes che usava il copione come fosse un semplice canovaccio della commedia dell’arte. Eppure un arduo ostacolo è stato imposto al pubblico proprio dalla recitazione del protagonista che aiuta poco la fluidità e la leggerezza del dialogo. Uno stile atassico esasperato al punto che rischia di mettere in imbarazzo anche chi tenta (da vero attore) di interpretare un personaggio. Malgrado si rida molto, difetti recitativi e intonazioni monocorde, sono un’impasse impegnativa per lo spettatore che, sia per rispetto all’autore che per affetto all’attore, cerca con fatica di superare per potersi godere al meglio un film politicamente scorretto, finalmente, e per questo assai arguto e gustoso.

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Il sol dell’avvenire – Un film di Nanni Moretti (2023). Con Nanni Moretti (Giovanni), Margherita Buy (Paola), Silvio Orlando (Ennio), Barbora Bobulova (Vera), Mathieu Amalric (Pierre), Jerzy Stuhr (Jerzy), Teco Celio (Psicanalista), Valentina Romani (Emma), Elena Lietti (Executive Netflix), Laura Nardi. Sceneggiatura di Francesca Marciano, Nanni Moretti, Federica Pontremoli, Valia Santella. Regia di Nanni Moretti

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