“Nei drammi di Čechov gli esseri umani vivono nel segno della rinuncia. Soprattutto li caratterizza la rinuncia al presente e alla possibilità d’incontrarsi; la rinuncia alla felicità in un vero incontro” – così chiosa Peter Szondi nella “Teoria del dramma moderno“, in apertura alla sua trattazione dell’opera del più celebre drammaturgo russo.
E se non si può in alcun modo rifuggire nella fruizione di “Zio Vanja” a quel senso totalizzante e, persino soffocante e claustrofobico, di disperazione che accompagna il passare inesorabile del tempo, in questa regia Roberto Valerio tenta di imprimere al personaggio di Zio Vanja (Giuseppe Cederna) un’impronta giocosa di salvezza. Il neo-direttore del Teatro Nuovo Giovanni da Udine rinuncia ai contorni malinconici e tutti slavi che contraddistinguono, tradizionalmente, Zio Vanja, in favore di un personaggio che diventa parte integrante di quell’incontro sui generis tra commedia dell’arte e teatro russo, che sarà proprio della sperimentazione teatrale di inizio Novecento.
Quella di Roberto Valerio è una scena scarna e povera di colori, in cui i gialli, i marroni e i verdi sono impastati tra loro nelle luci e nel mobilio. Incastonata sotto una fitta coltre di polvere, si riesce ancora a scorgere qualche granello di speranza, che prende corpo non appena a essere sovvertita è la tranquillità dell’umile tenuta di campagna del signor Ivan Petrovič Vojnickij detto Zio Vanja – affidato qui a Giuseppe Cederna che, con la sua energia vivace e incontenibile, ne fa quasi un ‘giullare di Dio’. Quest’ultimo è accompagnato dalla devotissima nipote Sonja, un’anima candida che zampilla fuori dal corpo della contadina minuta, energica ed espressiva di Mimosa Campironi, vera depositaria dell’impronta onirica cechoviana.
L’intera vicenda si snoda, quindi, intorno all’arrivo dell’anziano professore Serebrjiakov (Alberto Mancioppi) e della sua giovane e seducente moglie Elena Andreevna (Caterina Misasi) che si attirerà non soltanto l’interesse, a tratti morboso, di Zio Vanja ma anche quello del medico cinico e disilluso Astrov, a sua volta oggetto del desiderio non corrisposto di Sonja. Controparte del Cederna ‘giullare di Dio’ Pietro Bontempo, nei panni di Astrov, sa farsi interprete fino in fondo, con quel suo fare violento, dell’autentica e controversa natura dell’uomo malinconico che tenta, invano, di strapparsi di dosso la solitudine di cui è prigioniero.
E come spesso accade nell’alveo dell’arte russa, anche in questo caso, si ha la sensazione che in Čechov tutto torni. Perché a tornare non è soltanto, in conclusione dell’opera, quello strano senso di smarrimento che accompagna il mancato incontro – quasi sfiorato per un attimo tra Elena e Astrov, eppure reso ineffabile dal tempo – ma è anche la circolarità ingarbugliata e solo apparentemente borghese che accompagna l’intrigo amoroso. Quest’apparenza borghese rappresenta la linfa vitale di un intreccio che rischia continuamente di perdersi dentro se stesso, è il ritmo della rinuncia alla vita, è il ritmo suicidario dell’attesa dell’altro, della corrispondenza che, come Čechov sa bene, non può che venirci dall’incontro sublime con la natura.
Giuseppe Cederna
ZIO VANJA – dal 8 al 12 febbraio al Teatro Parioli di Roma
di Anton Čechov
adattamento e regia Roberto Valerio
e con (in ordine alfabetico) Pietro Bontempo, Mimosa Campironi, Massimo Grigò, Alberto Mancioppi, Caterina Misasi, Elisabetta Piccolomini
Costumi Lucia Mariani – Luci Emiliano Pona – Suono Alessandro Saviozzi
Allestimento Associazione Teatrale Pistoiese – Produzione Associazione Teatrale Pistoiese con il sostegno di Ministero della Cultura, Regione Toscana