La parola che è linfa e morte

A partire dalla leggenda ebraica del Golem, la storia di una donna e della sua metamorfosi dentro e attraverso la parola.

All’accendersi delle luci, una prospettiva obliqua; l’occhio balza sulla sinistra, immancabilmente sospinto
verso la sola fonte di luce. Oltre la parete di vetro, la donna sola riversa lo sguardo verso terra, sorseggia una birra da un bicchiere di plastica.

Monica Piseddu e Woody Neri in Il Golem di Juan Mayorga per la regia di Jacopo Gassmann

Il buio compete col silenzio al preludio de Il Golem di Juan Mayorga, in prima nazionale al Teatro India di Roma dall’11 al 23 marzo per la regia di Jacopo Gassmann che nell’affrontare un testo particolarmente denso, enigmatico e stratificato, ne sottolinea l’attualità e la persistenza simbolica nel tempo.

Le parole di un altro

Solo dopo sopraggiunge il rumore, ha la voce di Salinas ( Elena Bucci) la donna vestita di nero, una voce che rompe il silenzio e per poi riversarsi con schiettezza e vigore sulla malinconia circolante e placida che attorniava l’attimo precedente.
So di tuo marito! E qualcosa si muove negli occhi di Felisia (Monica Piseddu) una paura baluginante e imprevista, una curiosità timorosa e senza filtri: nella disperazione immobile, di fronte al rischio di perdere suo marito, l’appello della donna misteriosa appare un appiglio per la salvazione.

Solo tre parole, tre parole al giorno, tre nuovi innesti nella testa, per porre fine al buio.
Un canto fuoricampo, una voce di rivolta, e la prospettiva si sposta, in un luogo diverso, in un diverso giorno, in un ospedale che non è un ospedale, forse quella donna non è davvero la stessa persona con cui ho parlato ieri, forse è trascorso più tempo.

La stanza delle lingue

Ciò che immancabilmente sfugge è il nesso profondo tra guarigione e parola, in che modo possa la parola consentire di salvare una vita, di sfuggire al rischio della morte. La malattia di Ismael è rara, e mentre fuori si consuma la guerriglia, Felisia si strugge nella comprensione di uno strano manoscritto nella traduzione di un linguaggio che non conosce, e si sforza di imparare i disegni che si celano dietro alla complessità dei grafemi.

Le pareti sono enormi specchi, su di esse l’immagine si catapulta, l’identità si rovescia in un lontano che è altro da sé: così, nella lettura compulsiva di un antico manoscritto una donna dimentica sé stessa e si tramuta nella culla di un’identità differente, di una memoria scomparsa.

Quell’ospedale dove tutto accade, si fa allora il luogo eletto di un trapianto, di una parola che attraversa il corpo fino a trasfigurarlo, di un corpo che nell’atto di tradurla, tradisce se stesso fino a perdersi: così nel Golem, che è materia originaria, si scatena la potenza del mondo, la parola pura che attende di essere pronunciata per agire sul reale, per plasmarlo e scalfirlo.

Pronuncerai parole antiche

Un canto di rivolta è il suono che permane di fronte alla trasfigurazione, un canto che forse è più antico della memoria, e che ritorna come un rintocco, un canto d’ira e di speranza.

Monica Piseddu e Woody Neri

Se allora l’ospedale e il misterioso paradiso che esso contiene, equivalgono ad uno spazio sospeso e impercettibile dove tutto è soggetto a trasmutazione, a restare è una voce ancestrale, che è materia acustica grezza, fonema ancora informulato. Ciò che precede la parola è il grido originario, un grido d’ira e di speranza, un grido di rivolta in grado forse di arrestare la disgregazione, di riportarci in quel luogo dove la parola non uccide ma salva.

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Il Golem di Juan Mayorga – traduzione Pino Tierno – regia Jacopo Gassmann – con Elena Bucci, Monica Piseddu e Woody Neri – video Lorenzo Letizia, aiuto regia Giulia Bartolini, direttore di scena Nanni Ragusa, fonica Giorgia Mascia, tecnico luci Yann Arthus Hamelin, luci Gianni Staropoli – scene e costumi Gregorio Zurla – foto di Laura Farneti, produzione Teatro di Roma – Teatro Nazionale, Sardegna Teatro e Teatro Stabile dell’Umbria – prima nazionale Teatro India 11 – 23 marzo 2025

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