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La (intramontabile) lezione di Falstaff

Il copione di Matilde d’Accardi, che rilegge l’Enrico IV di Shakespeare e lo sospende nel mondo moderno, offre una sorpresa e una battuta sagace ogni secondo

Il vantaggio del rappresentare Shakespeare in epoca moderna è la possibilità di fare tutto. Le raffigurazioni moderne sono ufficialmente sdoganate, come anche le modifiche ai copioni, e la versatilità del soggetto rende immortali e correnti copioni e personaggi che appartengono, fisicamente, a un’altra epoca. 

La lezione di Falstaff - Teatro di Roma

Questo è lo sguardo che Matilde d’Accardi e il regista Tommaso Capodanno rivolgono all’Enrico IV di Shakespeare – con elementi dell’Enrico V – quando scrivono e rappresentano La Lezione di Falstaff, un copione che sin dalle prime scene trabocca energia, verve e intento satirico. 

La Lezione di Falstaff è sospeso nel tempo, tra i veri Enrico Bolingbroke IV d’Inghilterra e i giorni nostri, senza pretesa di accuratezza storica o di nascondere i propri intenti. Sua Maestà appare sul palco in giacca e cravatta, elegantissimo, tale che potresti scambiarlo per un modernissimo uomo d’affari se non fosse per la piccola corona dorata. Il figlio Enrico V, identificato dai suoi amici goliardi col nomignolo Hal, indossa invece un cappello con la visiera e una t-shirt del Padrino, di quelle che puoi comprare in stock alle fiere o nei negozi specializzati. Ma il messaggio è più chiaro che mai: è un ragazzo come tanti, che con la corona non c’entra niente – non importa quanto il re padre cerchi di farcelo entrare con la forza. 

Il cast – eccezion fatta per Giulia Sucapane, che presta volto e corpo a Sir John Falstaff – condivide in modo fluido e impercettibile ruoli multipli, mostrando una società, e con essa un sistema eterno, dove le divisioni sociali e politiche non sono che costumi che si indossano. Ogni personaggio ha lati nascosti, contraddizioni, aspetti di sé stesso che stridono con la loro percezione esterna e pubblica. Enrico IV si presenta con maestà e severità, ma trascorre tutte le sue scene in lacrime. Peto e Bardolph, popolani e membri del seguito di Falstaff, hanno personalità caricaturali – l’uno ripete continuamente “già” alle battute degli altri, l’altro ripete continuamente termini desueti che i compagni vogliono sentirsi spiegare – dalle quali emerge tuttavia un legame forte e certo con i loro compagni di avventure. Poins, il terzo membro del gruppo, insulta Falstaff un attimo prima con ogni sorta di stilettata – per poi indirizzarlo come “Fratello Jack” nel momento del pericolo. 

Persino la presenza di attrici che interpretano ruoli maschili, con livelli intermittenti di drag che riprendono i rispettivi ruoli nella moderna politica – generali, segretari, ereditieri, criminali di basso livello – si può interpretare come una presa di posizione sulla natura teatrale, volatile, dei giochi di potere della politica. Nonché un occhiolino al vero Shakespeare, ai cui tempi accadeva il contrario: tutti i ruoli, inclusi quelli femminili, erano interpretati da uomini. E al centro c’è Sir John Falstaff, l’unico uguale a sé stesso. L’unico che guarda dall’esterno, con leggerezza e distanza, capace di dissacrare anche la sua morte. Che perde il suo protetto dietro alla corona, ma non lo piange, perché la sua lezione la conosceva già. 

La lezione di Falstaff - Teatro di Roma

La lezione di Falstaff è una revisione shakespeariana esilarante, pungente, ma con un retrogusto amaro che non manca di far riflettere. Si dice che l’opera di Shakespeare sia immortale, ma è compito dei produttori di oggi darle vita in modo da tenerla a galla e adattarla a un mondo in continua mutazione. E basta poco per farlo: un buon cast, costumi parlanti, idee chiare. 

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La lezione di Falstaff – di Matilde D’Accardi – liberamente ispirato all’Enrico IV di William Shakespeare – regia di Tommaso Capodanno – con Andrea Basile, Federico Gariglio, Eleonora Lausdei, Federica Quartana, Giulia Sucapane – Teatro Torlonia – 18-30 novembre

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