Ascanio Celestini nei suoi 35mq da cui scrutare l’esistenza del ‘pueblo’ al Teatro Vittoria
Dopo diversi anni, Ascanio Celestini e Gianluca Casadei riportano Pueblo in scena al Teatro Vittoria di Roma. Questo spettacolo rappresenta la continuazione di un percorso iniziato con Laika e conclusosi con Rumba. L’asino e il bue del presepe di San Francesco nel parcheggio del supermercato, formando una trilogia dedicata alla gente comune, al “pueblo” – termine spagnolo scelto non a caso per richiamare il concetto di un popolo umile e resistente, caratteristico delle culture latinoamericane.
Pueblo è il secondo capitolo di questa trilogia che esplora le vite di chi anima il tempo e lo spazio del nostro vivere quotidiano, spesso invisibile ma sempre presente. Con la sua inconfondibile capacità narrativa, Celestini intreccia storie di persone semplici ma cariche di dignità e forza, costruendo un’epica del quotidiano. In questo contesto, le storie relegano i personaggi ai margini, trasformando la loro resilienza in eroismo e la loro solidarietà in un valore umano profondo. La drammaturgia di Celestini è colma di empatia e riesce a trasmettere una connessione unica tra i personaggi e il pubblico, evocando un’umanità che si muove tra la periferia urbana e quella dell’animo.
In scena, Celestini interagisce con Pietro, interpretato da Gianluca Casadei, il suo interlocutore silenzioso che, con la fisarmonica, sottolinea le parole del narratore. Tuttavia, è la voce registrata di Ettore Celestini, figlio di Ascanio, che dà vita a un dialogo intimo e immaginativo. La storia si sviluppa quasi come un passatempo per una giornata di pioggia: attraverso il racconto, Celestini ci invita a immaginare la vita degli altri e a riconoscere in ogni personaggio un frammento di noi stessi. Con gesti e movimenti che animano i personaggi, Celestini guida il pubblico a “sentirsi”, anche solo per un istante, nei panni di chi racconta, a giocare al meraviglioso gioco dell’immaginazione e dell’empatia, del mettersi nei panni di.
Attraverso una finestra simbolica, lo spettatore osserva scorci di vita: Violetta, confinata in casa con la madre; Domenica, la senzatetto sempre ai margini di un’esistenza che sembra già svanita; il mondo di un supermercato con lavoratori licenziati; il bambino zingaro di otto anni libero di fumare senza divieti, Said vittima dei videopoker e la vecchia del bar che sorseggia cappuccini decaffeinati. Ogni vita è tratteggiata nella narrazione e resa vivida dalla voce di Celestini, che, raccontando Violetta, confessa al suo interlocutore silenzioso: «Pietro, io non so niente di lei, ma se vuoi ti racconto tutto». Nel mondo di Celestini, ciò che non può essere raccontato non esiste.
La scenografia è essenziale, due tende bianche a circoscrivere i 35 metri quadrati dell’abitazione, una vecchia televisione e una pentolina rossa, oggetti semplici che evocano un interno raccolto e modesto. Fuori, la pioggia continua a cadere, e Celestini, nel suo racconto, costruisce un mondo poetico, abitato da eroi inconsapevoli di un’epopea di quotidianità e dignità.
La luce fredda della torcia che illumina la scena nel supermercato durante una visita notturna materializza nell’immaginario del pubblico, vite spettrali di una esistenza ai limiti, che Domenica incontra mentre vaga tra gli scaffali.
Le storie si dispiegano come una matrioska, racconto dentro il racconto, e ogni strato aggiunge una riflessione critica sulle ingiustizie sociali: Domenica, cresciuta tra abusi e silenzio, è un’anima fragile alla ricerca di un’identità; Said, estradato in Alegria, promette di tornare dall’amata; le suore severe dell’istituto che accolgono Domenica dopo la morte del padre. In Pueblo, Celestini porta in scena questo microcosmo di emarginati, restituendo loro voce, dignità e poesia. È uno specchio per la società, una domanda aperta su cosa significhi realmente “essere civili”.
Quando il sipario si chiuderà alle spalle degli spettatori, la richiesta che Celestini rivolge al pubblico è chiara e diretta: riflettere su cosa significhi restare spettatori e non agire davanti alle vite di chi, spesso, resta nell’ombra.
Pueblo – di e con Ascanio Celestini – con Gianluca Casadei, fisarmonica – voce fuori campo Ettore Celestini – Teatro Vittoria 8/11/2024
Foto di ©Grazia Menna