La festa prima del naufragio, il naufragio: la folla indistinta si dimena nella traiettoria circolare, caracolla a terra trasformandosi in una composizione di resti, di sedie e di corpi riversi.
“Nei dolci letti di fiori i pensieri sbocciano all’ombra di una pergola” – all’oscillare della luna metallica solo un uomo alza il suo canto, aggrappato ad una scala sul lato del proscenio e lasciando poi voce a una naufraga approdata in un’Illiria di cui non conosce nulla.
Predisposta all’introduzione dei personaggi e funzionale a presentare la morfologia dei loro intrecci è la premessa di “La dodicesima notte” di William Shakespeare rappresentata al Gigi Proietti Globe Theatre Silvano Toti di Roma a partire dal 28 Luglio per la regia di Loredana Scaramella.
Se la commedia originaria faceva riferimento a un preciso segmento temporale corrispondente al numero dei giorni che trascorrono dal Natale all’Epifania, anche la sua ultima rappresentazione appare costruita su una precisa idea di temporalità tradotta nell’urgenza che sembra guidare le azioni di tutti i personaggi: dalla smania d’amore del Conte Orsino (Diego Facciotti) spinto dalla tenacia nel conquistare il cuore di Olivia (Carlotta Proietti), all’insofferente nostalgia di Viola e Sebastiano (Elisabetta Mandalari e Giulio Benvenuti), gemelli figli del Duca di Messina, separati dal naufragio ma protesi ad un inevitabile ricongiungimento.
Se Viola, nell’assumere le maschili sembianze di Cesareo, vede crescere dentro di lei un repentino sentimento per il conte, Sebastiano troverà l’appoggio di Antonio (Gabrio Gentilini) capitano di vascello e suo salvatore.
Così come l’elemento temporale, anche il leitmotiv della beffa- travestimento si fa motore della vicenda e detonatore di situazioni che sfiorano il paradosso pur risultando inevitabili nella costruzione dei loro esiti: laddove il camuffamento di Viola diviene per lei fattore salvifico e imbrigliante, allo stesso tempo e la relega a una situazione che le rende impossibile una diretta espressione d’amore, è ancora una volta l’inganno a produrre la mascherata di Malvolio (Federigo Ceci) che, precipitando a piè pari nel tranello di una lettera ambigua, si mostra infine ridicolizzato per vesti e tratti buffoneschi.
A farsi portavoce di una verità contorta ed imbevuta di ricorrenti sillogismi è Feste (Carlo Ragone) che alternando urla, canti e danze acrobatiche, si rivolge ai personaggi esortandoli e di volta in volta concedendo loro suggerimenti frammentari sulle realtà che li riguardano.
Sebbene strutturata sull’alternanza fra azione e parti cantate, la commedia lascia forse uno spazio eccessivo all’espressione di quest’ultime pur trovando negli intermezzi coreografici la scansione di un ritmo interno ancor più amplificato dall’intervento sonoro del Quartetto William Kemp (Adriano Dragotta, Daniele Ercoli, Alessandro Duccio Luccioli, Daniele De Seta).
Lodevole l’abilità canora di un cast variopinto quanto armonico (Giulio Benvenuti, Federigo Ceci, Diego Facciotti, Gabrio Gentilini, Paolo Giangrasso, Elisabetta Mandalari, Roberto Mantovani, Loredana Piedimonte, Carlotta Proietti, Carlo Ragone, Mauro Santopietro, Antonio Sapio, Federigo Tolardo) la cui forza espressiva appare adiuvata dalla scelta originale dei costumi (Susanna Proietti).