Quando il grido dell’umanità si fa sempre più forte
Destinazione non umana è un titolo esplicito e ostile da leggere sul cartellone di una rassegna di pièce teatrali, ma veicola alla perfezione il significato di uno spettacolo radicale e indelebile, in scena al Teatro India dal 23 al 28 aprile 2024. In un’ora e trenta viene riproposta l’agonia provata all’interno delle carceri. Scontare una pena significa spingersi ai bordi del baratro nell’attesa che il tempo scorra, null’altro è concesso fare. Questo affanno ricorda la cattività riservata agli animali feroci, sollecitata dall’isolamento, dalla solitudine, dall’ansia, dalla paura, dalla rabbia, dalla frustrazione e in assoluto dalla perdita di controllo sulla propria vita. Sette è il numero delle emozioni che si susseguono vorticosamente durante la rappresentazione e il numero dei personaggi che le patiscono.
Sette detenuti siedono sulle postazioni delle celle con i corpi ricoperti di tatuaggi e i vestiti impolverati, di colori diversi. I colori li diversificano esteticamente, invece per il trascorso rimangono ugualmente persi. Si ripercorrono le scene della giovinezza e della maturità fino alla vecchiaia degli uomini. Al fianco, tre figure femminili, le “cavalle fattrici”, salgono egregiamente sul palco sovvertendo la romanità degli altri con interpretazioni in dialetto pugliese (una lunare Gabriella Indolfi) e napoletano (una Chiara Cavalieri particolarmente incisiva ed efficace). Le donne appaiono se i protagonisti le sognano a occhi aperti, similmente a delle tentatrici immaginarie. Premettendo che anche la tentazione, quindi il piacere, ha ormai smesso di rifiorire.
L’ora d’aria concessa ai protagonisti viene sfruttata per dare il via a una gara di interessi, in cui tutti insieme scommettono sui cavalli da corsa. La trama vuole che i cavalli siano malati senza possibilità di cura. Una menomazione causata dalle ossa spezzate, che non potendosi sanare, costringono i cavalli a una fine lenta e dolorosa. Un particolare che rimarca il tema della caducità. E così ogni individuo vede il suo animale di fiducia come l’unico essere vivente in grado di regalargli delle vittorie, negate dalla privazione della libertà, dalla separazione dalla famiglia e dagli affetti. Sullo sforzo bestiale di esistere contro e nonostante la volontà, i prigionieri si paragonano alla carne, agli scarti, ai pezzi avariati, a ciò che viene rifiutato, allontanato e ancora peggio dimenticato, lasciato marcire. Uomini e animali non sanno di somigliarsi, eppure lo spettatore lo intuisce e la destinazione della reazione al lavoro artistico incontra inevitabilmente lo struggimento.
Essendo la storia priva di morale, la narrazione crea uno scalpore che non si placa con l’individuazione istantanea di un inizio, uno svolgimento e una fine, provocando un’instabile e pungente arrendevolezza. Le luci semispente favoriscono alternanze visive frenetiche mentre in sottofondo si ascoltano rumori appositamente fastidiosi, provocati delle catene legate ai piedi dei detenuti. Le urla, le incitazioni e i momenti di degrado verbale superano la tradizionale via del buon costume. Nelle orecchie risuona il rimbombo di note musicali ripetute a oltranza, collaudando il prologo di un brutto presentimento. Quando sul finale arriva una bambina con in mano dei cavalli giocattolo ci si sente improvvisamente scossi. Lei mostra una totale ingenuità nel non sapere ancora di quanto la vita possa diventare dura per chi non ha saputo capirne il valore.
A interpretare la storia la compagnia Fort Apache Cinema Teatro, diretta dalla regista e autrice Valentina Esposito. Si tratta dell’unico progetto italiano che coinvolge stabilmente attori professionisti e attori ex detenuti o detenuti in misura alternativa. L’impatto sociale e comunicativo non è indifferente, fondamentalmente perché la vasta gamma di sensazioni negative che si portano dietro questi professionisti di cinema e palcoscenico ha un risvolto liberatorio, differente dalle conseguenze avverse che potevano avere le loro vite in seguito alla detenzione. La pena dopo essere stata scontata si è trasformata, con una tempra impressionante, in rivincita personale, resa possibile grazie alla risonanza benefica della recitazione. Se è opinione comune ritenere che il teatro debba avere lo scopo di arrivare al cuore di chiunque possa seguirlo, comunicando la sua essenza a un pubblico eterogeneo, è effettivamente positiva, coesa e organica la riuscita di Destinazione non umana.
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Destinazione non umana – scritto e diretto da Valentina Esposito – con Fabio Albanese, Alessandro Bernardini, Matteo Cateni, Chiara Cavalieri, Christian Cavorso, Viola Centi, Massimiliano De Rossi, Massimo Di Stefano Michele Fantilli, Emma Grossi, Gabriella Indolfi, Giulio Maroncelli, Piero Piccinin Giancarlo Porcacchia, Fabio Rizzuto, Edoardo Timmi – costumi Mari Caselli – trucco Mari Caselli ideazione scenografica Valentina Esposito – scenografia Edoardo Timmi – musiche Luca Novelli – luci Alessio Pascale – fotografo di scena Jo Fenz – assistente costumista Costanza Solaro Del Borgo – assistente al trucco Simona Prundeanu – fonico Luigi Di Martino – organizzazione Ilaria Marconi, Giorgia Pellegrini, Martina Storani – Una produzione Fort Apache Cinema Teatro – Teatro India dal 23 al 28 aprile 2024
In collaborazione con Ministero della giustizia – Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, Garante delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale del Lazio, Sapienza Università di Roma, Atcl – Spazio Rossellini Polo Culturale Multidisciplinare della Regione Lazio, Artisti 7607, CAE Città dell’Altra Economia di Roma.
Foto di copertina: Gabriella Indolfi e Chiara Cavalieri