Che non ci si lasci ingannare dal nome: malgrado la Conventicola contenga nell’etimologia la medesima origine del convento, non si tratta di un ritrovo per nottambuli fratacchioni, né un luogo che raduni segreti cospiratori, come suggerisce il vocabolario; e nonostante si picchi di proporre performance di artisti Ultramoderni, tranquilli, sono tutti avveniristi d’epoca, o, meglio, d’époque. A San Lorenzo, cuore della vita notturna della capitale, sotto la cinta delle antiche mura labicane, c’è l’associazione di Mirko Dettori e Maria Freitas, un locale che apre i battenti ai soli soci (la tessera si può richiedere online o all’ingresso) non prima delle 21.30 ma in compenso chiude (in questo periodo) ad alba inoltrata. Si consiglia, vivamente, di arrivare dopo aver cenato per poter meglio gustare gli speciali cocktail e gli inebrianti infusi dei barman, artisti anche loro, ma del bancone naturalmente. Il Sior Mirkaccio, come si fa chiamare dagli aficionados, si presenta con un paio di mustacci alla Bismarck, anzi più lunghi, ma che rispetto al baffo del Cancelliere di Ferro, contrastano con una «pelata» alla Yul Brynner. La sua cordialità padana è condita da una frizzante simpatia immediata e contagiosa. Un meridionale vulcano di entusiasmo quando comincia a parlare della sua creazione inaugurata già nel 2016. La Conventicola degli Ultramoderni è stata ideata sui ricordi dei cafè chantant parigini, dei vecchi cabaret con chiara impronta nostrana del varietà e dell’avanspettacolo; un intrattenimento vivace e innocente, anche se di base dotta ed edulcorata, tra musica e comicità d’altri tempi.
Mirkaccio accoglie gli spettatori uno ad uno, presentandosi in sala: tra loro si possono trovare anche stranieri di passaggio per Roma, o il console estero, in visita alla Farnesina, in cerca di gaio svago; due egiziani in stile rapper a cui lo showman, in perfetto inglese, dice che il suo bisnonno arrivò in Italia proprio dalla terra delle piramidi. Ospiti, certamente, con poca voglia di dormire e con un gran desiderio di ascoltare intramontabili melodie d’antan; di sorridere a cuor leggero, e di ammirare le sfarzose esibizioni burlesque. Tutto si svolge in pochi metri quadrati. Sul piccolo palco, però, c’è spazio per un massiccio pianoforte verticale: «Non è uno strumento qualunque, era in casa di Arturo Benedetti Michelangeli», tiene a precisare il padrone di casa. Ora è lui che lo suona, e le prime note sono quelle di Stardust di Hoagy Carmichael, la canzone che da noi fu ribattezzata «Polvere di stelle», perfetta introduzione al mondo della Conventicola, dove si alternano brani più conosciuti ad altri che sembrano scritti tanti anni fa, ma che invece sono stati composti soltanto qualche ora prima. Con Mirko al piano c’è, in fondo al palco, Giovanni Cicchirillo alla batteria (che l’altra sera ha sostituito lo stimatissimo Alberto Botta), percussionista con occhiali da sole per ripararsi dai raggi dei proiettori o per proteggere lo sguardo da ciò che ancora ha da venire.
Ed ecco, infatti, la sciantosa, la bella Madame De Freitas. «Diva divina» proveniente dal Brasile, in abiti tipici da avanspettacolo italiano e francese, simbolo di un passato assai gaudente: «Abbiamo acquisito il prezioso materiale di una sartoria teatrale dismessa che ci ha aiutato molto all’inizio». Maria Freitas, però, oltre a essere cantante e soubrette dello spettacolo, è anche costumista e ci tiene a far sapere che i costumi di scena sono tutti ideati e confezionati da lei. Il privilegio di poter visitare il camerino degli artisti conferma al cronista che il retro è, in pratica, un grande magico baule (di quelli che usavano una volta le dive del varietà) stipato di piume e paillettes, di lunghi guanti da sfilare, di organze e di voile: autentico paradiso di voluttà, come cantava Gino Franzi negli anni Venti a ritmo di tango. È lì, in quella piccola stanza, quasi un retrobottega, racchiuso il cuore del vecchio tabarin, luogo di gai e folli momenti d’ebbrezza e di fugaci amor dei nostri antenati. Così Madame De Freitas, con quei vestiti stravaganti, con quei gesti suadenti, con quegli sguardi ammiccanti, rievoca ironicamente il sogno che fu dei nostri nonni. Lei è il ricordo perduto di un tempo sconosciuto alle nuove generazioni. Ed è emozionante scorgere in fondo alla sala i più giovani applaudire sorridenti.
Le dita di Mirko, tra un revival di Natalino Otto e un classico di Petrolini, continuano a sfiorare la tastiera che fu di Don Arturo, e dopo aver dedicato ‘O surdato ‘nnammurato a una fresca sposa proveniente dalla Grecia (nb, ancora col velo bianco, ma già senza sposo!), introduce il cantante confidenziale, Calomino, scicchissimo nel suo gangster style, in ribalta per intonare il meglio di Fred Buscaglione, oppure, travestito da messicano, per riproporre Tipitipitipso col calypso, un pezzo forte tra i ballabili del Dopoguerra. Inoltre agli Ultramoderni può sembrare normale esibirsi col sombrero o con la paglietta, due simboli di allegrie canore di epoche molto differenti. Quindi è la volta del Colonello Fernandez, criminale della comicità, pronto a torturare gli spettatori con tre barzellette lampo, di quelle che al Salone Margherita (di Napoli o di Roma fa lo stesso) degli anni d’oro avrebbero suscitato fischi, pernacchi e lanci pomodori sul palco. Ma il pubblico di oggi è impreparato e timoroso: ubriacato com’è dal video della tivvù o dallo schermo del virtuale, partecipa con timidezza, non priva di una certa reverenza, al vivo clamore dell’antico cabaret che tra un lazzo e una provocazione rispolvera un Vecchio scarpone, un Abat-jour, e quel qualcosa che da sempre Si fa ma non dice.
Qualcuno, al tavolo, ordina una bottiglia di champagne e, quando si sente lo scoppio del tappo, l’effluvio di Montmartre inebria la sala. Le luci si abbassano e Rose Selavy rapisce l’attenzione degli spettatori con la prima attrazione del burlesque, ma nel corso della nottata seguiranno anche quelle di Tina Dindondan e di Emilie Bonreve. Ma altre ne arrivano quando a malincuore lascio la sala festosa; fuori anche c’è una forte emozione tra i protagonisti usciti a prendere una boccata d’aria. È arrivata una notizia fantastica: la loro insegnante di burlesque, Ginevra Joyce, ha appena vinto il primo premio per il miglior burlesque classico al Festival Hall of fame di Las Vegas. Mi incammino lungo la strada e mi sorprendo a canticchiare ancora Natalino Otto: Solo me ne vo per la città, / passo tra la folla che non sa, / che non vede il mio dolore, / cercando te, sognando te, / che più non ho. È il ritmo nostalgico di chi ha trascorso una piacevolissima serata.
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La Conventicola degli Ultramoderni del Sior Mirkaccio. Cabaret d’intrattenimento per chi la notte non voglia dormire: musica e comicità, tabarin, cafè chantant, burlesque, sulle antiche orme del teatro di varietà e avanspettacolo. Showman, Mirko Dettori (Sior Mirkaccio), accompagnato dal batterista, Alberto Botta o Giovanni Cicchirillo, la sciantosa Diva Divina Madame De Freitas, il cantante confidenziale Calomino, il criminale della comicità Colonello Fernandez, et les femmes burlesque Rose Selavy, Tina Dindondan ed Emilie Bonreve e altri artisti. La Conventicola degli Ultramoderni, via di Porta Labicana, 32; prenotare al 340 799 6017. Aperto il giovedì, il venerdì e il sabato dalle 21.30. Musica dal vivo fino alle 5 del mattino. Ingresso riservato ai soci.
Info: http://www.ultramoderni.com/1/la_conventicola_4474038.html
Foto in evidenza: Sior Mirkaccio e Madame De Freitas © ph. Guido Laudani