La Casa del Mago: Il nuovo romanzo di Emanuele Trevi

L’autore riconduce alla magia della vita, esorcizzando la morte delle morti, ovvero la morte del padre.

di Claudio Marrucci

Leggendo La casa del Mago, di Emanuele Trevi, edito da Ponte alle Grazie, 256 pp., 18 euro, mi sono venuti in mente i versi di Camillo Sbarbaro: “padre se anche tu non fossi mio/ padre, se anche fossi a me estraneo / per te stesso, egualmente, t’amerei”. Il romanzo, di Emanuele Trevi (premio Strega 2021 con Due vite), affronta il mistero della morte; una costante, negli ultimi anni, della scrittura di Emanuele Trevi, come se la scrittura, in quanto parola evocativa possa riempire il vuoto provocato dall’assenza dei defunti. A essere evocato, in La casa del mago, è lo stesso padre di Emanuele Trevi, noto psicoanalista junghiano. Il romanzo, a dire il vero, si presta a una duplice lettura. La prima, essoterica, riguarda una sorta di auto-fiction che deve molto alla psicoanalisi applicata alla letteratura, nella quale il narratore, l’Emanuele Trevi personaggio, racconta il suo difficile rapporto con il padre.

Difficile, non perché il padre fosse un violento o dedito al vizio. Difficile, perché suo padre era un “uomo difficile” (“è fatto così” era solita spiegare Trevi-madre a Trevi-figlio), ovvero un uomo enigmatico, colto, raffinato, un guaritore in pubblico che però, in famiglia, scopriva il lato debole, soprattutto in tarda età, tanto da aver bisogno delle cure parentali dei figli, come qualsiasi altro genitore anziano. A questa lettura, già molto densa di humor e ironia, nonché di una semplicità magistrale inerente all’essenza stessa delle cose della vita, semplici eppur meravigliose, come il risveglio in un treno, dopo che i ladri avevano svaligiato il vagone nel quale Trevi-padre e Trevi-figlio dormivano, perché Trevi-figlio si era dimenticato di chiudere a chiave il vagone di notte; a questa lettura, ricca di suspense, con due donne a ore (una governante e una prostituta, entrambe peruviane) e con una misteriosa Visitatrice che appare, ogni tanto, nella casa di Trevi-padre, dopo la morte di quest’ultimo.

A questa lettura essoterica, dicevo, se ne accosta un’altra, esoterica, annunciata dal titolo stesso del romanzo: La casa del Mago. Emanuele Trevi, già in Viaggi iniziatici, aveva affrontato tematiche spirituali e metafisiche, ma in questo caso, come si suol dire, affonda il coltello nella carne. Infatti, il padre del protagonista, essendo uno psicoanalista, è come se curasse l’anima delle persone con la parola, ovvero con l’interpretazione di un orizzonte simbolico, nel quale l’opera di Jung è assimilabile a quella di un piccolo Grimorio. Per questo Trevi-padre è accostato a un guaritore, a uno sciamano, a un mago. La magia, in particolare, si evidenzia nel potere evocativo della parola, ma anche in strane e fortuite coincidenze, e soprattutto nella carica di energia psichica che conservano piccoli oggetti della vita quotidiana che si trasformano in veri amuleti o talismani. Mi riferisco a un cavalluccio, una poltrona, una scrivania, a fiori di loto, a dei vasi, a una coperta bucata di lana (cimelio della lotta comunista e partigiana di Trevi-padre, medaglia al valor militare), a dei sassi levigati, a una lucerna romana di terracotta, a un’edizione de Il libro dei mutamenti

Questa energia psichica, banalmente, è rappresentata da ricordi, sensazioni, emozioni che fanno assumere agli oggetti contenuti nel “museo dello scrittore” (così chiama Trevi-figlio l’insieme dei cimeli del padre di cui non riesce a disfarsi) una funzione emotiva che trascende la loro mera funzione d’uso. Un passo importante che, secondo me, val bene evidenziare è a cavallo delle pagine 116 e 117, quando Trevi-padre trasmette a Trevi-figlio “il segreto” della levigazione della pietra: “È un ricordo vecchio, forse in assoluto il più vecchio che ho di lui, intriso di luce e solenne come si addice a tutte le trasmissioni di segreti. Potevo avere tre anni, ma evidentemente era l’età giusta per imparare la differenza tra un sasso qualunque e un sasso lavorato con metodo e pazienza”. Le pietre sono elementi simbolici in quasi tutte le religioni del mondo, basta ricordare Matteo 16, 13-20:”E io a te dico: tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le potenze degli inferi non prevarranno su essa”. Tuttavia la famiglia Trevi, come ricorda il narratore in alcuni commoventi passi sul periodo fascista e sulla seconda guerra mondiale, è di origine mista (cristiana ed ebraica).

Emenuale Trevi

Eppure in altri rituali odierni, che si rifanno al mito della costruzione dei templi, il “sasso qualunque” potrebbe essere espressione simbolica dell’uomo non ancora reso libero dalla conoscenza, mentre il “sasso lavorato” potrebbe essere un simbolo di crescita personale e di elevazione spirituale. In questo senso, Trevi-padre inizia alla vita, ovvero alla conoscenza, Trevi-figlio, quando quest’ultimo aveva “tre” anni (anche la numerologia nell’auto-fiction, può essere finzionale e quindi simbolica, “la memoria è una grande romanziera”, scrive Emanuele Trevi a pag. 209). Si tratta di una trasmissione di valori, privata e intima, ovvero misterica. Un mistero, ben inteso a cui tutti, volendo, possono avere accesso. Infatti l’oralità della lingua di Trevi, sempre colta e sorvegliata, in grado di mischiare gli stili, l’alto e il basso, anche per sdrammatizzare il dolore, e per questo ironica; l’oralità della lingua di Trevi sembra appropriarsi della pagina, e trasportarci con Trevi, figlio e padre, nella Casa del mago, farci vivere i loro ricordi e i loro riti di passaggio. Sembra di sentirlo Trevi-figlio, seduto nel suo studio, dentro la “casa del mago”, smadonnando contro la signora delle pulizie peruviana che non riesce ad avere la forza di cacciare, mentre ci racconta la storia della sua vita che, in fondo, è anche la nostra. Infatti chi di noi non ha mai avuto un padre, una madre, un nonno, un amico di cui si è preso cura e poi ci ha lasciato?

Chi di noi non si è mai imbattuto in un oggetto (una penna, un quadro, una fotografia, un mobile, una casa…) che in virtù dei ricordi che “lo segnano”, dell’energia psichica che “lo investe”, smette di essere oggetto per diventare talismano, amuleto? Ne La casa del mago, Trevi-scrittore compie un percorso essoterico e esoterico al tempo stesso, perché svela, rivestendolo di parole, il significato della magia, trasformandola in arte, riconducendo, cioè, l’orizzonte simbolico della magia, alla magia della letteratura che è, in definitiva, la magia della vita, esorcizzando la morte, in particolare la morte delle morti, ovvero, per uno scrittore di sesso maschile, la morte del padre. Del resto, come scrive lo stesso Emanuele Trevi, citando Ernst Bernhard: “come l’opera degli alchimisti, il cambiamento interno è un processo di trasformazione della materia e il suo risultato è l’oro puro del sapere profondo”.

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