La bellezza umana, imperfetta di Diego Dalla Palma

“Bellezza imperfetta” sta continuando il suo viaggio nei teatri, tra emozione e successo. L’intervista.

Chi, per professione e per carriera, si occupa di bellezza ha e dovrebbe avere una chiara e diretta idea di cosa sia e che cosa significhi questa parola. La bellezza, ad un primo tentativo di definizione, consiste nella proporzione, nell’estetica, nell’armonia delle forme, nei canoni, nella giovinezza. Di bellezza sono piene le passerelle, i canali televisivi e social, le campagne pubblicitarie. Tra gli “addetti ai lavori” che sulla bellezza hanno fondato la loro intera vita ne figura uno, di fama internazionale: Diego Dalla Palma, maestro di stile, truccatore, Look Maker, costumista, scenografo che restituisce un’idea completamente stravolta grazie ad uno spettacolo teatrale in scena, da nord a sud, in questi mesi.

La sua è una Bellezza imperfetta: un’antitesi, un paradosso, se poi ci si affianca il sottotitolo “fra vacche e stelle” risalta da subito l’essenza controcorrente del messaggio e del senso comunicati da quest’intenso spettacolo. Tutte le definizioni comuni e superficiali cadono di fronte al racconto di una vita. La Bellezza imperfetta portata in scena da Diego Dalla Palma è una bellezza che passa dalle ferite e dalla memoria; una bellezza che si fa storia e assume le sembianze di una donna unica, decisa, dalle labbra rosse, lo sguardo umile e vivo, il portamento elegante e fiero. Un continuo oscillare tra semplicità e ricchezza d’animo, di spirito, un’antitesi solo apparente anche in questo caso. Questa donna si chiama Agnese ed è la madre di Diego Dalla Palma.

Attraverso il ricordo e la narrazione delle loro vite ad una sola voce, Dalla Palma sveste i panni dell’esperto make up artist, per rivelarsi figlio nella sua fragilità portando sul palco l’unica bellezza che conta davvero. Quella imperfetta, umana, sofferente, che sa di amore, di libertà perché fatta di scelte e dolore impastato agli errori, alle cadute. La vera, autentica bellezza è tale proprio perché imperfetta, mancante, ma caratterizzata da quello spessore e da quell’autenticità che solo i fatti e le esperienze della vita le conferiscono.

Bellezza imperfetta si compone di diversi momenti, segnati dai colori e dalle sfumature, dalla musica, dalle citazioni e dalla voce di un figlio che ripercorre il suo cammino con amore, rispetto, poesia, sincerità, coraggio. Tutto se stesso senza paure o banalità. I suoi racconti si intrecciano con i ricordi legati alla madre, le lire in tasca, il cielo stellato, la malga, il coma, le partenze e i ritorni, il dolore come eterno amante. La vita diventa, allora, la testimonianza di una grande umanità fatta dal saper morire per rinascere, dalla gratitudine e dal riconoscimento, dal perdono, dal saper essere se stessi fino in fondo, nonostante tutto.

Ed è in questa vita, come in tutte le esistenze, che si rivela la bellezza, quella vera, quella imperfetta e autentica. L’antitesi. Una bellezza, aggiungerei, mortale, non in senso negativo, ma pienamente umana, vissuta e da vivere fino all’ultimo giorno. Con coraggio.

Com’è nata l’idea di realizzare questo spettacolo teatrale, “Bellezza imperfetta. Fra vacche e stelle”?

L’idea e la proposta sono partite da Giancarlo Marinelli, al tempo direttore artistico del Teatro Olimpico di Vicenza, oggi alla guida di Arteven. Era rimasto colpito da una serie di pensieri e di ragionamenti sulla bellezza che avevo raccontato ad un convegno. In seguito, mi ha contatto chiedendomi di abbozzare un’ipotesi di performance teatrale. All’inizio non ho accettato, poi, ragionandoci su, ho avanzato un paio di idee che gli sono piaciute e siamo partiti con questo progetto, dando vita a “Bellezza imperfetta”.

Come descriverebbe sua madre Agnese? 

Mia madre è stata la regista della mia vita. Una frase che dice tutto di lei e dell’importanza che ha avuto e che ha, ad aggi, per me. Ho sempre pensato che dentro di lei ci fosse qualcosa di irrisolto, una sorta di sfida personale, che ha riversato su di me.

Che cosa prova quando racconta determinati episodi, particolari e sofferenti, della sua vita sul palcoscenico?

Riportare determinati fatti della mia vita sul palco ha un significato preciso: continuare il mio tragitto, il mio percorso, con sincerità. Proseguire i miei passi sulla strada della lealtà, finché sono in vita. Non ho avuto difficoltà, sono sincero d’istinto anche perché certi eventi li avevo già rivelati prima di quest’esperienza teatrale. Anche a mia madre, che continuava ad avere una visione idilliaca dei preti, ho raccontato, senza crudezza, alcune parti del mio vissuto. Non è stato, però, liberatorio né risolutivo. Raccontare per me è come cercare un rifugio, a fatica, dove potermi riparare. Un elemento, però, è stato determinante nella mia esperienza: il coraggio. Le situazioni si affrontano con gradualità, grazie ad una serie di stimoli verso il coraggio. Il coraggio è premiante in tutto, è stato ed è la chiave di lettura della mia vita. 

Com’è riuscito a individuare, nella sua vita, le sei tappe (coraggio, diversità, dolore, consapevolezza, disciplina, destino) che strutturano il percorso del suo spettacolo? Si sente più legato a qualcuna di queste voci? 

Tutto parte dal coraggio, è il coraggio che porta bellezza. A livello profondo, c’è un punto originario, una fonte, ossia il dolore. Il dolore accende e conduce alla reazione, fatta di coraggio. Per vivere ed esprimere la propria diversità occorre essere coraggiosi. La consapevolezza è fatta di coraggio: essere consapevoli della propria diversità, del percorso doloroso, di essere nel giusto è un atto di coraggio fondamentale. Poi la disciplina, un elemento basico. Nel mio lavoro è stata centrale, ho cercato di colmare le mie lacune, ciò che non sapevo e quello che nessuno mi voleva insegnare con rigore e disciplina. Ho voluto a tutti i costi, maniacalmente, apprendere e conoscere il massimo possibile nel mio lavoro. La disciplina mi ha spinto a cercare il modo di camminare e andare avanti in maniera dritta, eretta perché, da ragazzo, le sconfitte e certi eventi mi avevano incurvato. Anche oggi, mi armo di pazienza e di disciplina e mi impongo determinati doveri, qualche esercizio ginnico per il mio fisico, per esempio. Alla fine come ultima tappa, c’è il destino, che non si estrapola da nessuna parte, ma arriva da sé. Il destino avvolge o sconfigge: nella vita accadono entrambe le azioni, come è successo a me. Il destino può abbracciare in maniera favorevole in determinati periodi della vita, può ritornare e sconfiggere in altri momenti. Ma è sempre il coraggio che chiude il cerchio e collega ogni singolo valore e voce. Il coraggio permette il superamento del dolore, sostiene e valorizza la diversità, conduce alla consapevolezza, sprona verso la disciplina ed è sempre il coraggio a suggerire di affrontare il destino così com’è.

Ph. Roberto De Biasio

Parliamo delle donne al suo fianco sul palco: per quali motivi le ha scelte? Che cosa rappresentano per lei?

Per quanto riguarda Vera Dragone, al mio fianco in ogni tappa teatrale, è stata fatta una selezione: volevamo una figura che sapesse recitare e cantare, capace di accompagnare il racconto e le scene con un tocco di eleganza e delicatezza. Con lei, ritengo che ci siamo riusciti: Vera è una ballerina, un’attrice e una cantante, sa dare il giusto senso poetico, leggero ai sei valori che vado a trattare durante lo spettacolo. L’altra interprete fissa è la violoncellista Livia de Romanis, una professionista con un curriculum importante, scelta per seguire e scandire, tramite la musica, il percorso di “Bellezza imperfetta”. Sono presenti, poi, una serie di donne, una diversa per ogni serata, che si intervallano nella lettura di un brano finale molto importante. Ho scelto queste donne per diverse motivazioni, pensando soprattutto a mia madre: alcune di esse sono seducenti o profonde, altre gitane, libere, coraggiose o matte. Sono donne sopra le righe ma con una particolarità fondamentale: le ho scelte e le scelgo in relazione a quella parola chiave, il coraggio. Devono essere donne, nei loro modi personali e differenti, coraggiose.

Quali altre donne parteciperanno ai prossimi spettacoli?

In uno dei prossimi spettacoli in scena a Roma, avrò al mio fianco Barbara Alberti, per esempio. Nei futuri appuntamenti, in Veneto, non abbiamo ancora stabilito chi ci sarà, ma vorrei due attrici importanti, di spessore. Più a sud, invece, vorrei la presenza e il contributo di un’attrice pugliese, ma la fase di definizione non è ancora conclusa, per cui non faccio nomi. Ho escluso molte date per la grandezza dei teatri, non miro a spazi con più di mille persone perché l’atmosfera rischia di diventare dispersiva e difficile da gestire. Ho bisogno di sentire il respiro della gente in sala. È un momento quasi intimo e delicato, evocativo. Il ruolo di ciascuna di queste interpreti ne è la prova: sono donne con le marce accese. Le donne, in realtà, hanno tutte le marce ma alcune, purtroppo, non le accendono.

Durante lo spettacolo, oltre a “bellezza”, emerge un termine particolare: la “luccicanza”. Che cos’è e che cosa significa?

La luccicanza è una dote speciale, unica. Dolore e coraggio conducono alla luccicanza, alimentano, sostengono questa luce che ogni persona ha nell’anima. La luccicanza traspare dagli occhi ma si riconosce, si vive e si sente nell’incontro con l’anima dell’altro.

Altro concetto che ricorre spesso in “Bellezza imperfetta” è il perdono. Che senso ha per lei questa parola?

Io sono un grande coltivatore e cultore del perdono. Nella mia vita, credo che il perdono mi abbia portato vittorie e certezze tali che, se tornassi indietro, non potrei che perdonare come ho fatto. Come ho cercato di fare, sempre. Non sono stato perdonato, però, con la stessa reciprocità. Ho subito tanti torti e, sicuramente, anch’io li ho fatti subire ad altri, con la differenza che io ho perdonato quello che mi è stato fatto. Purtroppo, non è avvenuto e non sta accadendo il contrario.

Lei, invece, ha qualcosa da perdonarsi?

Ho due fatti legati ai miei genitori da perdonarmi. Non aver capito la malattia di mia madre in tempo, quindi averla maltrattata sotto certi aspetti. L’altro evento è non aver ascoltato i racconti di mio padre sulla guerra, perché era chiaro che, per lui, questo narrare coincideva con una sorta di psicoanalisi, di rivelazione e condivisione di sé. Io non l’ho capito e sono stato ingiusto nei suoi confronti.

“Bellezza imperfetta” rappresenta una rivelazione di parte della sua storia e della figura straordinaria di sua madre Agnese. Sui social, qualche settimana fa, ha affidato un video in cui lei parla di se stesso, si espone in una sorta di breve confessione: perché questa scelta in questo momento?

Nei miei libri e nei miei interventi ho sempre riportato il mio vissuto con estrema franchezza, ho voluto ripetere e confermare quest’intento anche con questo video. Non ho più voglia di sentirmi, in qualche modo, ricattabile per chissà quale motivo o evento passato. Ricevo molte critiche, non soltanto lodi, certe persone mi attaccano e mi detestano. Quindi ho preferito, per primo, raccontare esattamente ciò che sono: una persona miserabile, meschina, scellerata, con difetti, a volte peggiori, a volte diversi, dagli altri. Questo è quello che ho voluto trasmettere perché mi sentivo in difetto, preferisco che la gente sappia chi sono veramente, nel bene e nel male. Ho delle doti e delle qualità positive, importanti che i miei genitori mi hanno trasmesso come la ricerca della verità, la lealtà, il desiderio di libertà, un richiamo costante, continuo, come un tormento, verso l’onestà. In virtù di questo, ho deciso di svelare e di svelarmi a tutti: io sono così, non verrò annullato, demotivato, cancellato da chi mi augura la morte. Chi mi giudica e pretende di sapere ha campo libero, può parlare: io sono questo e sono il primo ad ammettere la mia vita e le mie scelte. Quella confessione è stata ritenuta da qualcuno come un atto crudele e violento nei confronti di me stesso, come mi volessi del male. Tutto il contrario: io voglio essere libero. Invecchiando alcuni pensano che non serva più a niente mettersi a nudo, rivelarsi per ciò che si è. Vale la pena, invece, essere se stessi fino all’ultimo giorno della propria vita.

Con questo suo primo spettacolo, le sta piacendo fare teatro?

Si mi piace molto, perché sono me stesso, non ho grandi pretese. Non ho velleità da attore, non ho ambizioni artistiche in quel senso. “Bellezza imperfetta” è fatta di tappe ma, in sostanza, rappresenta un trofeo indubbiamente importante per me. È un’esperienza che va a fine carriera della mia vita a premiare la mia coerenza, il mio desiderio di essere leale, onesto e coraggioso.

Immagine di copertina/in evidenza: Ph: Roberto De Biasio