In bilico tra dimensione del reale e dell’immaginario, tra corpo e sogno, dall’1 al 6 marzo Gianni De Feo ha portato sul palco dell’Off/Off Theatre lo spettacolo “Bambola (La strada di Nicola)”. Una “Bambola” un po’ Nicola e un po’ donna, coatta ma anche profondamente emotiva. Una prostituta che vive in libertà i propri sentimenti e che una notte si innamora, di un uomo che in realtà è proiezione della sua metà diurna, di un Nicola ordinario, incanalato nei binari della consuetudine.
De Feo interpreta e dirige un testo firmato da Paolo Vanacore per la produzione di Florian Metateatro. Musiche originali composte da Alessandro Panatteri, risultato di una ricerca protrattasi per due anni.
La narrazione è in prima persona. Nicola racconta la tortuosa strada della sua vita a partire dalla nascita, sul limitare degli anni Sessanta del Novecento in un isolato qualunque della periferia romana. Tutto intorno si sente il rumoroso sfondo delle femministe, agguerrite nel rivendicare la libertà delle proprie scelte sessuali. Agli antipodi, il clima ovattato entro le mura di casa, dove una madre frustrata e vittima di un destino sempre avverso trova sollievo nelle canzoni di Nicoletta Strambelli. Un’icona di forza e libertà tanto ammirata da divenire ossessione per la donna e nome per il nuovo arrivo in famiglia che, appunto, viene a chiamarsi Nicola. Maschio anche se in realtà il desiderio propendeva per una femmina.
Nicola lo capisce sin da piccolo, di non essere mai veramente accettato dalla madre. Trova invece rifugio caldo e sicuro tra le “ali d’aquila” di un padre protettivo e sensibile, espressione di forza virile, che riversa su di lui tutto il suo puro amore, senza giudizio né aspettative. Dai brividi che produce ogni abbraccio paterno Nicola capisce che nel proprio Io esistono diverse anime, con identità differenti. Una maschile, l’altra femminile.
La convivenza si conferma nel periodo della formazione, supera i drammatici lutti del padre e della madre, e ispirato dalle canzoni di Patty Pravo – che De Feo interpreta con forte espressività – diventa realtà quotidiana nel momento in cui Nicola, solo, entra nel mondo degli adulti. Ma forse è solo un sogno, forse è solo prodotto dell’immaginazione di un lungo sonno, su un letto di ospedale.
Perché Nicola in realtà (forse) è Giovanni, un uomo realizzato nel lavoro, con una famiglia e una vita appagata. Fino a che, passati i Quaranta, in lui scatta un desiderio di erotica trasgressione che si traduce in viaggi notturni sulle vie del piacere. Alla ricerca di uomini travestiti da donne. Qui accade che una sera incontra Bambola. La seduce, la ama, poi la rinnega. Per ritornare infine sui suoi passi fino a compiere, sulla strada, un violento incidente. E’ l’inizio della fine terrena, o della fine di un’invenzione consolante: coma vegetativo, un lungo sogno che dura 10 anni e lo traghetta lassù, da mamma e papà.
Bambola è una creatura di periferia. Nei suoi abiti appariscenti, allegra e scanzonata, condivide il marciapiede con una miriade di personaggi, tra battute scurrili, intercalari di borgata, ma anche slanci sentimentali e poetici. La notte è buia e la luna di carta pare finta, come se tutto fosse immaginato su un set cinematografico. Con l’ingresso amoroso il racconto diventa melodramma e si colora di tinte morbide. Sopra a tutto, rimane impressa la figura del padre collocato nel ricordo di un Natale lontano e sempre presente tra le lucine accese tutti i giorni dell’anno. Lo spazio in cui si svolge l’azione è un non-luogo delicato e sognante, pieno di scatole-contenitori decorate che fanno il paio con i fantasiosi abiti di Roberto Rinaldi con cui Gianni De Feo dà i contorni alle sue creature. Uno spazio plastico che accompagna lo spettatore verso il fondo su cui troneggia un albero stilizzato e luminoso, simbolo della vita e delle sue scelte, a volte mancate come i rami tronchi, a volte fiorite e felici. Nicola/Bambola cambia continuamente pelle. In equilibrio costante tra il maschile e il femminile. Nel mentre, sugli arrangiamenti di Panatteri, canta. Canta “Il paradiso”, “Ragazzo triste”, “Nel giardino dell’amore”, “Se perdo te”. Le prime canzoni di Patty Pravo, spirito libero per elezione. Leggiadra, densa come questa drammaturgia. Una storia in apparenza incoerente. Con un finale che spiazza.