Laura Caparrotti e la fondazione della compagnia italiana più attiva a New York: tra passione e visione, alla ricerca della propria libertà
A volte, una delusione non è la fine di tutto. È un bivio, una svolta, una finestra inattesa.
Laura Caparrotti, attrice e regista romana, ha attraversato un momento di crisi e l’ha trasformato in occasione. Partita da una delusione in Italia, ha ricominciato da capo a New York, con poca conoscenza dell’inglese, ma con il coraggio di chi non si arrende e la forza di chi crede nella propria passione. Oggi è fondatrice e direttrice artistica del Kairos Italy Theater, la compagnia italiana di riferimento a New York, e ideatrice del festival In Scena, che porta il teatro italiano negli Stati Uniti.
La sua è una storia di passione, reinvenzione e futuro. Un messaggio forte: non bisogna mai scoraggiarsi. A volte guardare oltre – anche oltreoceano – può portarci là dove non avremmo mai immaginato. E in America, a differenza dell’Italia, non esiste un limite d’età per realizzarsi. Conta la qualità, l’impegno, la determinazione e la passione.

The Worth of Women
Com’è iniziata la tua relazione con New York? È stato un amore immediato?
Sono andata in America per la prima volta nel ’93, per poche settimane, per fare una scuola di danza. Non parlavo inglese, ma avevo sempre ballato fin da piccola. Avevo scelto New York grazie a mia madre, almeno così mi dicono, perché io non me lo ricordo! Mi disse: “Le altre città le conosci, vai a New York”. E così ho fatto. Mi è piaciuta talmente tanto, mi sono trovata talmente bene, che sono tornata più volte.
Poi, nel ’96, dopo una grande delusione a livello teatrale – lavoravo come aiuto regista con lo Stabile di Torino – sono successe cose spiacevoli con il regista e la moglie, che era anche la prima attrice. Ho perso il lavoro. Sai, quando sei giovane certe cose ti segnano. Così ho mandato tutto a quel paese e sono tornata a New York.
All’epoca era molto più facile fare stage nei teatri: mi proposi in diversi luoghi e uno dei primi a rispondere fu il teatro The Chitken. Era l’opposto di tutto ciò che avevo fatto fino a quel momento: il più sperimentale dei teatri sperimentali! Non parlavo inglese, mentii spudoratamente sul mio curriculum, ma mi buttai lo stesso. E piano piano, con l’inventiva italiana, mi sono fatta capire, conoscere… e da lì è cominciato tutto. Ho iniziato a fare piccoli spettacoli, a conoscere il mondo teatrale italiano a New York, ho incontrato Mario Fratti – una colonna del teatro italiano a New York – e da lì le cose hanno preso forma. Ma tutto è nato così, quasi per gioco.
E poi, nel 2000, la nascita del Kairos Italy Theater. Com’è avvenuta?
Esatto. Dal ’96 facevamo spettacoli che andavano bene e, a un certo punto, ho sentito il bisogno di dare una forma a tutto questo. Lavoravo spesso con un gruppo di attori, alcuni dei quali collaborano con me ancora oggi. Così ho deciso di creare una compagnia vera e propria. In realtà, Kairos era già il nome di una compagnia che avevo fondato in Italia. Quando lo proposi in America, però, la gente pensava fosse qualcosa di egiziano – “Cairo” – quindi aggiunsi Italy, ed è diventato Kairos Italy Theater. Il nome mi piaceva e piaceva anche agli altri: Kairos è una divinità greca che rappresenta l’occasione colta al momento giusto. E direi che ci stava benissimo.
Sei direttrice artistica fin dall’inizio, giusto?
Sì, sono la fondatrice, direttrice artistica… e anche tesoriera. Ho fatto tutto, all’inizio!
In che lingua recitate?
Abbiamo cominciato in italiano, poi abbiamo fatto spettacoli in doppia lingua. Avevamo questa formula che si chiamava Double Theater: lo stesso atto unico veniva recitato prima in inglese e poi in italiano, nella stessa sera, con attori diversi. Era una cosa interessante, ma oggi non la facciamo più. Per la maggior parte degli spettacoli attuali usiamo l’inglese, perché il pubblico è quasi tutto americano. L’unica volta in cui ho usato i soprattitoli è stato per Tosca e le altre due con Franca Valeri e Adriana Asti – proprio oggi, tra l’altro, è venuta a mancare Adriana. Un grande dolore.
Quindi il pubblico non è principalmente italiano?
No, direi che il 90% è americano. Gli italiani a New York vanno poco a teatro, anche a Broadway. Non so bene perché, forse perché costa molto, forse perché il teatro non è percepito come essenziale. Certo, se c’è un nome famoso… allora funziona. Ma in generale è così.
Organizzate anche un festival, giusto?
Sì, dal 2013. Il festival In Scena! è nato perché quell’anno era stato proclamato “anno della cultura italiana negli Stati Uniti” e mi chiesero di organizzare qualcosa col teatro. Io proposi un festival, perché non ne esisteva uno dedicato al teatro italiano in America. Funziona così: apriamo un bando (quest’anno l’1 agosto), selezioniamo un massimo di 8 compagnie professionali italiane, con spettacoli che abbiano avuto almeno 5 repliche. In due settimane portiamo gli spettacoli in tutti e 5 i distretti di New York. Gli spettacoli sono con sopratitoli in inglese, anche se ultimamente abbiamo avuto performance in inglese fatte da italiani. E il pubblico viene, partecipa, apprezza molto. Ogni tanto portiamo il festival anche in altre città: Chicago, Los Angeles, Toronto, Washington… quando è possibile, lo facciamo girare.
Il teatro può essere un ponte tra culture diverse?
Uno dei motivi per cui ho scelto di concentrarmi sul teatro italiano è che, in America, veniva considerato “etnico”, destinato solo agli italiani. Ma io dicevo: “il teatro è teatro”! Anche se la lingua è diversa, l’esperienza può essere universale.
Una volta ho diretto uno spettacolo in una lingua che non conoscevo. Dopo un po’, sembrava quasi che la parlassi: il teatro ti entra dentro. E con Kairos abbiamo vinto su questo piano: oggi il 90% del nostro pubblico è americano.
Un esempio concreto?
Ne ho tanti! Uno è lo spettacolo Web Bully, sul bullismo online. Alla fine, durante l’incontro con gli studenti, uno di loro disse: “È interessante sapere che anche da voi c’è questo problema”. Capisci? Si sentono meno soli, più vicini. Oppure nella commedia: vedere personaggi riconoscibili, simili a quelli che conoscono, li avvicina alla cultura italiana. Non è più qualcosa di esotico: è umano.
C’è un aneddoto o un’esperienza che ti ha particolarmente colpita?
Quest’anno, durante il festival, abbiamo ospitato Come il polipo in una chitarra del Teatro ON di Salerno. Alla seconda replica – l’ultima – non sapevamo dove mettere la gente, era tutto pieno. Alla fine dello spettacolo ci sono stati grandi applausi, sono salita sul palco per ringraziare… e io e il direttore artistico ci siamo guardati e ci stavamo per mettere a piangere. Non mi era mai capitato prima. Emozione pura, forte.
Un altro spettacolo che porto nel cuore è Il merito delle donne, tratto da un testo di Moderata Fonte, del 1600. È un testo pazzescamente contemporaneo: racconta come le donne sarebbero migliori degli uomini, se solo avessero le stesse possibilità. L’abbiamo fatto per la prima volta nel 2017 e poi ripreso in tanti contesti, l’ultima volta nel 2024 in Scozia. Sette donne in scena. Io sono una delle poche ad averlo fatto in tutte le versioni. Un giorno ho notato che, pur trattandosi di un testo profondamente femminista, le attrici andavano a parlare sempre con il regista uomo. E allora ho realizzato che, anche in uno spettacolo come questo, la figura maschile continua ad essere il punto di riferimento. E lì ho capito quanto ancora ci sia da lavorare.

Tosca e le altre due
Cosa ami di più del tuo lavoro, oggi?
Fare teatro. Recitare. Anche se adesso, forse per l’età, ho voglia di dare spazio ai giovani. Abbiamo inserito due mentorship nel festival: una per la traduzione e l’adattamento, in collaborazione con Hystrio, e una per la regia. Anche se in America, per fortuna, puoi essere considerato emergente anche a 60 anni! Non esiste la barriera dell’età. Quest’anno è stato il primo anno per la mentorship di regia, e devo dire che è stata una delle cose più belle. Ma recitare è il mio primo amore, e voglio tornarci un po’ di più.
Grazie a Laura Caparrotti per aver condiviso con generosità la sua storia e il suo sguardo. La sua esperienza ci ricorda che ogni fine può essere un nuovo inizio, e che il coraggio di guardare oltre può aprire strade inaspettate.
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Intervista a Laura Caparrotti del 31 luglio 2025 – le foto sono concesse dalla compagnia Kairos Italy Theater e sono tratte dallo spettacolo The Worth of Women, e dallo spettacolo Tosca e le altre due





