“JUDITH” al Belli: La recensione

di Laura Dotta Rosso

Finalmente uno spettacolo nel quale la regia è palpabile, potente, crea un punto di vista e lo fa senza entrare nel testo in punta di piedi. La rassegna “Trend- nuove frontiere della scena britannica”, organizzata con il sostegno del comune di Roma,al Teatro Belli dal 13 ottobre all’11 dicembre, propone lo spettacolo “Judith” di Howard Barker con la traduzione di Enrico Luttmann e la regia di Massimo Di Michele, in scena il 25 e 26 novembre.

Noi spettatori entriamo in sala cercando il posto a sedere, non immaginando che la performance sta già avendo inizio; il sipario non è presente, i tre attori sono già sul palco vivi, attivi e con piccoli gesti, danno vita ai loro personaggi. Ci troviamo di fronte a un tappeto di limoni che ricopre il palcoscenico e un divano rosso fuoco. Non serve altro per introdurci nell’atmosfera, per vivere l’intensità e l’energia che una donna con un vestito lungo blu, un’altra con abiti completamente neri, un uomo con giacca, pantaloni eleganti e un corsetto nel petto, tipicamente femminile, vogliono trasmetterci. L’uomo inizia a parlare, con voce tetra, cupa, profonda, quasi non sembra umano. Parla di morte e, senza accorgercene, ci poniamo interrogativi sull’intelletto, mentre i nostri occhi sono magnetizzati dalle immagini che ci scorrono davanti. “Niente è più naturale del pensare, per quanto poco il pensiero influisca sul risultato”, ma ecco che appena abituati a un’atmosfera, subito siamo scaraventati su quella successiva, come un meccanismo vorticoso, come corpi snodati capaci di produrre linee e segmenti, come bambole, il cui movimento è consecutivo e fluido.

La foga dell’avidità, il desiderio di possedere l’altro, la voglia di prevaricare, la voracità dell’intelletto, la carnalità per nascondere le incertezze, per soffocare ogni tentativo di autenticità.”E’ falsa la credenza che nell’ignoranza si possa nascondere la verità”. Nell’inesperienza c’è pochezza di spirito, c’è necessità di un capo che li governi, indichi loro la strada da perseguire, c’è bisogno di uno stratega , un simbolo, un oggetto da mitizzare. La pièce è ispirata dal racconto biblico tratto dal “Libro di Giuditta”, testo contenuto nella Bibbia cattolica, ma non accolto nella Bibbia ebraica perchè considerato dalla tradizione protestante, apocrifo. La protagonista è Giuditta, che riuscirà a liberare la città di Betulia, assediata da Oloferne, generale del popolo degli Assiri. Sarà messa alla prova, scoprirà il desiderio, l’irrefrenabile amore provato nei confronti di un assassino. “Judith” sarà il mezzo per affrontare realtà, sincerità, sensualità, appagamento mentale, fisico, pressione psicologica e macabra energia sessuale, la verità della menzogna.

I tre interpreti Federica Rosellini, Aurora Cimino e Giuseppe Sartori sono coscienti, capaci, consapevoli e intensi. Giocano con i loro corpi, sembrano un carillon attraente e seducente. Ogni gesto ha uno svolgimento, una funzione e una conclusione. Le musiche di Stefano Libertini Protopapa spezzano le previsioni della platea, colgono gli stati d’animo e favoriscono l’intesa tra i personaggi. Si mangiano i limoni, con distruttiva insicurezza, paura, forza, perversione e spirito di eroismo. “Judith” è completo, affascinante ma soprattutto sincero, uno spettacolo dove non si è provato a fare qualcosa, si ha voluto lasciare, elegantemente, la propria firma.