Cerca

John Lennon: l’eco di una voce che si ostina a non morire

Il ricordo dell’intramontabile artista a 45 anni dalla sua morte, avvenuta l’8 dicembre del 1980

Il 1980 è stato un anno di svolta, segnato da eventi drammatici come la strage di Bologna e l’incidente aereo di Ustica, che hanno concluso il periodo degli “Anni di piombo”. Contemporaneamente, è stato un anno di transizione culturale verso un nuovo decennio, caratterizzato da un maggiore individualismo, consumismo e leggerezza.

Una foto di John Lennon scattata nel 1980, anno della sua morte – © ABC News

In ambito musicale si registrò una forte evoluzione della musica elettronica e la nascita di nuove tendenze, con il ritmo al centro di tutto, a costruire un beat potente e ripetitivo, progettato per non smettere di ballare. Tutto era al servizio dell’imperante comandamento edonistico che cristallizzava anche nella musica l’imperativo di occuparsi giusto “del qui e dell’ora”. A infrangere quella sfrenata voglia di evasione, come una curvatura beffarda della Storia, l’8 dicembre 1980: sarebbero bastati quattro colpi di pistola sparati dalla mano di uno psicopatico (Mark David Chapman) diretti a colpire la persona di John Lennon, consegnandola al mito.  

Tutti sanno quel che successe in quel giorno di 45 anni fa e non mette conto ricordarne la cruda e scarna cronaca. Ci piace piuttosto osservare che da allora, ogni 8 di dicembre, quando si avvicina quella ricorrenza, il nome di John Lennon risuona più forte, come un riflesso di vetro nella memoria collettiva, chiaro e intatto come qualcosa che doveva necessariamente scomparire per sempre per poter rimanere indelebile nella memoria di tutti. Come accade per le leggende: perfino i dati temporali, quelli che di solito non si curvano sotto il peso della dimenticanza, diventano soggettivi e vaghi. Si dice che morì un lunedì (proprio come quest’anno, l’8 dicembre del 1980 cadeva di lunedì), e che nevicava. Già, perché come accade alle morti che finiscono col nutrire la memoria di tutti e a diventare mito, il tempo ha da subito cominciato a chinarsi intorno a quella data.

Ogni anno, l’8 dicembre non è solo un giorno: è un ritorno, una ripetizione, una eco che si ostina a ricordare l’uomo che continuava a credere nella pace anche quando il mondo preferiva il rumore. E così Lennon non è mai del tutto scomparso, ma – come gli eroi omerici – asceso in cielo.

Per lui, la sua canzone più famosa, quella delicata ballata al pianoforte intitolata Imagine, pubblicata un decennio prima, è stata il piedistallo su cui si è andato costruendo l’immateriale monumento dell’Artista. Da quel maledetto sparo di 45 anni fa (e con una resistenza che dura ancora oggi), la sua voce appoggiata su una melodia semplice e dolce ha continuato a irrorare sentimenti e parole d’ordine che rendono alto – almeno nei proponimenti – l’agire umano. La sentiamo ancora dappertutto, al supermercato, nei fondali dei servizi televisivi (quando qualcuno si ricorda ancora del dovere della pace), nelle pubblicità, in quel suo invocare debole il diritto all’immaginazione contro ogni brutalità, come fosse una raccomandazione (un comandamento?) da imprimersi bene nella mente.

La melodia, si diceva, è intenzionalmente calma, riflessiva e quasi meditativa. Il suo scopo non è far ballare, ma creare uno spazio intimo in cui l’ascoltatore possa concentrarsi sulle parole e impegnarsi nel difficile esercizio dell’immaginazione. Già, perché solo immaginando si possono ipotizzare finestre verso un futuro emancipato da confini, proprietà, abusi e fondamentalismi che dividono ingiustamente l’umanità.

Un’utopia che per essere consegnata al suo destino immortale aveva evidentemente bisogno di costruirsi intorno a un’assenza.

Frame tratto dal video del brano “Imagine”

C’è qualcosa di profondamente intimo nel modo in cui il mondo continua a commemorare John Lennon. Non si tratta della nostalgia popolare, né di un culto della celebrità: è piuttosto il rito sommesso di chi riconosce, in quella voce interrotta, la propria incapacità di accettare il silenzio.

Lennon è morto, sì, ma la sua assenza — come le grandi assenze del Novecento — continua a parlare, una parola dopo l’altra, nell’eco di una canzone che non conosce davvero fine.

__________________

Imagine – di John Lennon – dall’album “Imagine” – prodotto da Phil Spector, John Lennon, Yōko Ono – Apple Records – 1971

error: Content is protected !!