Squadra vincente non si cambia, dice un motto sportivo. E sull’onda del successo ottenuto due anni prima con «Red dust» (Lo schiaffo), la Metro Goldwyn-Mayer propone, non il seguito della storia, ma l’eco del clamore cinematografico che la protagonista di quella pellicola ottenne. Venne ripescata una vecchia commedia teatrale di Caroline Francke e Mack Crane, che fece da canovaccio per stendere la trama di una vicenda che nell’originale ruotava intorno alla vita privata di una famosa diva di Broadway, trasformata per l’occasione in una star del cinema. Motivo per cui furono richiamati lo stesso regista, Victor Fleming, la star Jean Harlow, il costumista Adrian, e lo sceneggiatore John Mahin.
Fleming, che da poco aveva interrotto una relazione con Clara Bow, propose di scrivere sul copione alcuni particolari della scandalosa diva del muto (nel 1927 in «Hula» apparve ricoperta soltanto da un velo bagnato). Fu la stessa Jean Harlow a insistere affinché, gli affari privati di Lola Burns (il personaggio che avrebbe interpretato), fossero i suoi e non quelli di altre attrici. Così i suoi fan vennero a sapere che la casa natia in Georgia aveva grandi vetrate e interni tutti bianchi, che amava i cani di grossa taglia, e che alcuni membri della sua famiglia le chiedevano continuamente soldi in prestito che non restituivano mai. Tutta questa «intimità» fu trascritta nella sceneggiatura dalla vita reale di Jean Harlow.
Bombshell (la bomba) è una commedia assai stravagante e divertente, soprattutto dissacrante sul mondo del cinema. È Hollywood che prende in giro Hollywood; è il clan delle dive che sbertuccia le dive. Soltanto l’eccezionale sense of humor di Jean Harlow avrebbe potuto reggere «l’affronto». Le cronache del set, infatti, riportano che le riprese furono interrotte molto spesso proprio dalle risate della protagonista che spesso era costretta a fermarsi per riacciuffare la concentrazione; in particolar modo quando dovette girare velocemente, e di nascosto dalle dirette interessate, una sequenza nel camerino volante (quello che si appronta dietro le quinte) solitamente usato da Joan Crawford e da Norma Shearer. Quest’ultima, infatti, viene nominata nel film come una star intoccabile.
Quando Lola, dopo la seduta di trucco, arriva per la prima volta sul set, dove si sta girando «Red dust», ritroviamo la botte piena d’acqua che due anni prima accolse la Harlow, nelle vesti (anzi no, era nuda!) di Vantine Jefferson. Fu la scena che fece salire alle stelle la fama della bionda, e come in un omaggio a se stesso, Fleming (incarnato da Pat O’Brian, il regista che qui si chiama Jim ed è innamorato della star) esplode in un’autentica sfuriata di gelosia nei confronti di un corteggiatore inopportuno. Ovvio, manca Clarke Gable, ma nel contesto di questa pirotecnica pellicola leggera e frizzante avrebbe ingiustamente rubato la ribalta alla guest star.
Il protagonista maschile, Space, (Lee Tracy) è il press-agent del produttore cinematografico, colui che organizza le notizie da mandare ai giornali per pubblicizzare la pellicola in uscita. Mancano ancora pochi ciak e il film sarà terminato; i contratti con le agenzie di distribuzione sono già partiti; le date per le serate di gala sono già fissate, insomma, è per lui il momento cruciale e ogni movimento della star deve smuovere la stampa e far urlare le prime pagine dei quotidiani con il suo nome. «Il fine giustifica i mezzi»: è la frase che il mondo dello spettacolo da sempre ha preso alla lettera. E se non fosse per i mezzucci usati, spesso il fine si trasformerebbe in un flop! Space è il maestro dei mezzi, degli stratagemmi, delle trovate imbarazzanti, delle pensate fantasiose, tutti espedienti che servono a far montare la popolarità di Lola. Space sfrutta ogni sua debolezza e ogni distrazione per costruirle una storia clamorosa alle spalle, perfino usando attori poco conosciuti che interpretano i ruoli più incredibili. Space, in effetti, è l’antesignano del nostro Enrico Lucherini che per oltre settant’anni, prima con Matteo Spinola e poi Gianluca Pignatelli, ha costruito le lucherinate, «cattiverie a fin di bene». E, come Space, era prontissimo ad avvertire i fotografi prima che uno scoop, abilmente organizzato, si palesasse davanti ai loro flash già puntati.
Il lavoro di Space, in realtà, non differisce molto da quello del regista di un film. Lui organizza la scena, il luogo e il tempo in cui tutto deve accadere. Anche lui si serve di un copione – non sempre scritto – che gli consente di ripassare le scene per accordare i movimenti dei comprimari ben istruiti sul daffare. Suggerisce ai reporter qual è la posizione migliore per riprendere la scena (come il regista piazza la cinepresa). L’unica differenza è che mentre sul set la protagonista viene aiutata e coccolata, servita e riverita, vezzeggiata e protetta dallo staff e dal regista, quando è sotto la custodia di Space resta abbandonata a se stessa ed è l’unica ignara dei finti complotti di cui è vittima.
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Bombshell (Argento vivo), un film di Victor Fleming del 1933. Dall’omonima commedia di Caroline Francke e Mack Crane. Jean Harlow (Lola Burns), Lee Tracy (Space Hanlon), Frank Morgan (Pops Burns), Franchot Tone (Gifford Middleton), Pat O’Brien (Jim Brogan), Una Merkel (Mac), Ted Healy (Junior Burns), Ivan Lebedeff (Marquis Hugo), Isabel Jewell (A girl friend), Louise Beavers (Loretta), Leonard Carey (Winters), Mary Forbes (Mrs. Middleton), C. Aubrey Smith (Mr. Middleton). Sceneggiatura, John Mahin, Jules Furthman e Norman Krasna. Costumi, Adrian. Regia, Victor Fleming. Per la rassegna «Hollywood proibita. Il cinema senza censure del Pre-Code» al Palazzo delle Esposizioni, sala Cinema