L’attore sino-italiano Shi Yang Shi porta sul palco di Palermo “Arle-chino”, tratto dalla sua personale autobiografia, “Cuore di seta”. Una vita a cavallo tra due culture, alla ricerca della propria identità
Per la prima volta su un palco siciliano, Shi Yang Shi ha portato in scena il suo ArleChino, un monologo intenso che unisce autobiografia, teatro civile e storia cinese. Il titolo richiama la Commedia dell’Arte, ma solo per suggestione: della maschera del servitore rimangono la resilienza e l’astuzia, declinate qui nella vicenda personale dell’attore sino-italiano. Le rappresentazioni si sono svolte dal 19 al 23 novembre scorsi, nella Sala Strehler del Teatro Biondo a Palermo.

Shi Yang Shi
Sul palco, con una tuta multicolore e tantissimi elementi scenici, Shi alterna italiano e cinese in un racconto vivace e partecipato, spesso in dialogo diretto con il pubblico. Al centro, la sua storia: nato nel 1979 nel nord della Cina, arrivato in Italia a undici anni con la madre, ha vissuto il percorso di molti immigrati della prima generazione. Anni di lavori manuali, spesso in nero, tra l’impiego da lavapiatti in un villaggio turistico e le vendite ambulanti sulle spiagge romagnole; l’inserimento difficile nella scuola italiana e la necessità di fingersi sedicenne (avendo in realtà solo dodici anni) per evitare problemi ai datori di lavoro. Una realtà dura, superata grazie a determinazione e capacità di adattamento.
Ogni oggetto di scena viene man mano “pescato” dalle sabbie contenute in diversi sacchi che circondano l’attore, a simboleggiare la memoria, quello strumento magico indispensabile per dar voce a ciascun capitolo della propria storia familiare. Shi ripercorre anche il suo cammino formativo: dall’approdo alla Bocconi alla scelta radicale di lasciare l’università per tentare la via della recitazione all’Accademia Paolo Grassi di Milano, dove non ottenne il passaggio al secondo anno. Un episodio che oggi, visto il suo successo, assume un sapore paradossale. Lo spettacolo ricostruisce inoltre un secolo di storia cinese attraverso i racconti dei suoi antenati, interpretati dall’attore con rapidi cambi di voce e postura: dalla rivoluzione del 1911 alla guerra civile, dall’invasione giapponese alla nascita della Repubblica Popolare. Poi la dittatura, con le insensatezze figlie di un estremismo cieco, che porteranno una famiglia benestante di medici e imprenditori a voler ricominciare il proprio futuro lontano dall’oppressione. Sul fondale, tre pannelli verticali proiettano immagini e filmati d’epoca che accompagnano la narrazione. Il nodo centrale è la domanda identitaria: cinese o italiano? Una condizione ibrida che l’attore restituisce con lucidità, ironia, e lo smarrimento di essere stato spesso visto come uno straniero, da entrambe le parti: non a caso il sottotitolo dello spettacolo, che palesa anche il legame con la maschera multicolore di Arlecchino, è Traduttore – traditore di due padroni.
Il momento più drammatico arriva nel ricordo del rogo di Prato del 1° dicembre 2013, in cui morirono sette operai cinesi. La rappresentazione, proposta per la prima volta esattamente quattro anni dopo la tragedia (1 dicembre 2017), vuole essere un omaggio alle vittime. Qui Shi interpreta insieme il capo cinese della fabbrica, le autorità italiane e l’interprete che li media, passando da una lingua all’altra e modulando tre diverse fisicità in un crescendo di tensione. Emergono anche critiche al sistema italiano: burocrazia pesante, tassazione elevata, norme di sicurezza non sempre rispettate.
Non manca un toccante riferimento alla tradizione del kintsugi, che Shi trova significativa, per quanto inventata dagli “storici nemici”, i giapponesi: riparare un oggetto rotto con l’oro, trasformando le crepe in valore. Una metafora della propria identità, frutto di ferite e riconciliazioni. Lo spettacolo nasce dal libro autobiografico Cuore di seta (Mondadori). Il titolo fu scelto casualmente da un gruppo di ragazzi incontrati dall’autore su un treno regionale, come ricorda l’attore stesso. Oggi Shi Yang Shi è uno degli interpreti cinesi più richiesti in Italia, attivo anche come traduttore e consulente linguistico per personalità del mondo culturale e istituzionale.
La regia di Cristina Pezzoli, con la collaborazione di Andrea Lisco, mette in luce la resistenza di Shi, che regge da solo un atto unico serrato senza cedimenti. Eppure è proprio la scelta strutturale che caratterizza l’opera a mettere in luce qua e là qualche scricchiolio tecnico: ogni frase del copione viene recitata due volte, in cinese ed in italiano; la durata dello spettacolo tocca così i 100 minuti, sintetizzabili in 50. La ripetizione del medesimo concetto nei due idiomi fa sì che qualcosa nel pathos narrativo si perda per strada, spingendo l’attenzione dell’attore a terminare velocemente la battuta, talvolta mangiandosi qualche parola.

Shi Yang Shi
Forse troppo ambiziosa anche la prova fisica richiesta al protagonista. Molti sono i cambi di abito in scena, così come gli oggetti da utilizzare con precisione anche solo per pochi secondi. Sul finale, il pubblico rimane piuttosto irrigidito, temendo che l’ultima prova di equilibrismo finisca in un disastro (non è a rischio l’incolumità dell’attore, si teme solo una imbarazzante caduta di oggetti). Ma il numero va bene, forse per un pelo, e la tensione si smorza in un applauso sentito del pubblico italiano e cinese presente in sala. Un ringraziamento a un personaggio che non sarà nè un giocoliere nè un funambolo, eppure, destreggiandosi abilmente sulla cresta di confine tra due culture, ha saputo portare in scena il suo mondo con sensibilità e soprattutto con rara autenticità.
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Arle-chino Traduttore-traditore di due padroni con Shi Yang Shi di Cristina Pezzoli e Shi Yang Shi
regia Cristina Pezzoli riallestimento Andrea Lisco scene e costumi Rosanna Monti – clown coach Rosa Masciopinto – Teatro Biondo di Palermo – Sala Strehler dal 19 al 23 novembre 2025





